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Bentornato Springsteen! “Letter to you” è ancora il rock’n’roll che amiamo

Esce oggi il nuovo album del Boss anticipato da un tam tam mediatico straordinario, giustificato dell’importanza che l’artista ha avuto per più di una generazione, in un arco temporale che copre il periodo dai primi anni Settanta ad oggi.

Titolo: Letter to You
Artista: Bruce Springsteen
Voto: ****

Esce oggi il nuovo album del Boss anticipato da un tam tam mediatico straordinario, giustificato dell’importanza che l’artista ha avuto per più di una generazione, in un arco temporale che copre il periodo dai primi anni Settanta ad oggi.

Bruce Springsteen è il mio artista preferito. Oddio ne amo tanti altri: Joni Mitchell, Tom Waits, Van Morrison, Bob Marley, ma per Bruce nutro un sentimento più profondo. Mi ha accompagnato nella mia vita sino da quando, tredicennne, ascoltavo i vinile su stereo francamente imbarazzanti.

I motivi di questo sentimento sono più d’uno e disparati, proverò a enunciarli.

Perché è una persona fragile, delle sue depressioni molto si è parlato, del suo timore di invecchiare anche, del suo attaccamento agli affetti famigliari, delle sue insicurezze. Sono tutti elementi che me lo fanno sentire vicino.

Perché i primi cinque dischi ancora oggi rappresentano la pura essenza del rock’n’roll e, ma è mio parere personale, nessun artista ha prodotto cinque dischi consecutivi di qualità media così elevata.

Perché ha pubblicato lavori veramente brutti, ma tutti con una dignità e un’onestà che in fondo, se non amare, me li hanno fatti accettare (anche se non li ascolto mai).

Perché ogni volta che vado a un suo concerto, mi coinvolge, mi emoziona, mi esalta.

Perché alcune delle le sue canzoni sono le più romantiche che abbia mai ascoltato, prive anche di una patina di retorica che me le renderebbe insopportabili.

Lo amo perché non ho fatto alcuna fatica nel farlo piacere anche a mio figlio.

E poi….

Mi piace Springsteen perché ha una moglie normale, non una stragnocca botulizzata .

Mi piace perché dopo aver lasciato la E Street Band, poi ha avuto il coraggio e l’umiltà di riunirla, capendo quanto avrebbe perso senza.

Mi piace perché ogni volta che può ricorda chi non c’è più ma che tanto gli ha dato: The Big man, Danny, persino il chitarrista di una delle sue prime formazioni, i Castiles, recentemente deceduto e al quale questo disco pare sia dedicato.

Mi piace perché il suo mondo è quello dei perdenti, dei bisognosi, dei sognatori ed è un mondo mai anacronistico, mai retorico ma reale.

Mi piace perché fa poco per piacere…

Mi piace perché quando sale sul palco dà tutto quello che ha e lo fa da 50 anni, incurante dei mali, della depressione, dei problemi legali.

Mi piace perché verso il suo pubblico è sempre stato onesto e trasparente.

Mi piace perché non a tutti piace e quindi mi sembra ancor più mio.

A prescindere dalle mie ragioni, una così spasmodica attesa credo sia dovuta, alla speranza dei fan che il Boss torni ad essere quello di una volta, ossia il rocker che ti fa saltare sulla sedia, ti esalta e ti commuove con le sue storie, quello che ti parla di avventure alla luce della luna piena, quello che ti parla dei problemi della gente.

In realtà è da molto che il Boss non è più lui: è invecchiato molto meglio di tanti altri (non solo musicalmente) ma è anche vero che ci siamo fatti piacere molti dei dischi pubblicati dopo The river, cercando ad ogni costo un perché. Abbiamo apprezzato le storie di fantasmi, delle palle da demolizioni, ci siamo commossi ai racconti delle stelle dell’ovest, anche se poi ai concerti non aspettavamo altro che suonasse Born to Run, Thunder Road, o Rosalita.

In realtà la speranza ad ogni nuova uscita è di ascoltare un disco di rock’n’roll come quelli di un tempo senza tener conto che quello che oggi abbiamo davanti è un signore (tenuto benissimo) di settant’anni che si trova a ragionare sul fatto che il Covid gli ha portato via un paio di tour mondiali, che sono molti rispetto a quelli che potrà fare ancora. E non è certo una questione di soldi.

Springsteen negli ultimi anni si è molto incupito, la rabbia di Darkeness, la vitalità di Born to Run, il romanticismo di Incident hanno lasciato spazio alla tristezza , alla malinconia, alla depressione, all’esigenza di guardare al passato come qualcosa di irrecuperabile, alla constatazione che il pezzo di strada che si ha davanti sia molto più breve di quello che si è trascorso.

Ma ora il Boss (forse sarebbe meglio chiamarlo Bruce) è tornato.

Letter to You è una bella sorpresa: nelle sue canzoni, nei temi affrontati (l’amicizia , la band , la musica, il tempo che passa) e soprattutto perché Bruce ritrova l’energia di un tempo e, miracolosamente, anche il suono di un tempo.

Le orchestrazioni complesse (che pur avevano sortito risultati interessanti con Western Stars), gli arrangiamenti (troppo) scarni o troppo carichi del passato, lasciano spazio in Letter to You a un sano vigore, a un’essenzialità e a una forza per nulla scontata, a una spontaneità che suona dolcissima.

Bruce è tornato, non è più quello degli anni Settanta (ma che senso avrebbe?), ma è importante che sia ancora tra noi.

Letter to You è un sano e onesto disco di rock’n’roll, lui è ancora il cantante di una band, forse  – insieme a quella di Tom Petty – della più grande band mai esistita.

Letter to you, la ventesima uscita della sua ricca discografia esce il giorno 23 ottobre, è stato registrato in 5 giorni a fine 2019, prima della pandemia, a casa Springsteen insieme alla E Street Band al completo, cosa che non accadeva da Wrecking Ball del 2012.

L’album è stato prodotto da Ron Aniello insieme allo stesso Bruce Springsteen, Bob Clearmountain ha realizzato il mixaggio, mentre Bob Ludwig ha avuto la responsabilità del mastering.

Il lavoro è stato anticipato circa un mese e mezzo fa dalla pubblicazione di due video che hanno fatto da apripista dando le immagini al brano che dà il titolo all’album e alla canzone Ghost.

bruce springsteen live (foto Joe Lopez dalla pagina facebook ufficiale del Boss)
foto Joe Lopez dalla pagina Facebook ufficiale del Boss

Il primo, Letter to You è piuttosto bello, non un capolavoro, ma è anche vero che piace sempre più ad ogni ascolto. Bellissimo è il filmato che lo accompagna e che è la cronaca in bianco e nero della riunione della band per la registrazione del brano. L’atmosfera dell’incontro dopo tanti anni è magica, i componenti mostrano sui loro visi tutto il passare degli anni anche se altrettanto evidenti sono i segni della gioia dello stare insieme; anche se l’ età avanza e il rischio che il prossimo tour sia l’ultimo , o almeno uno degli ultimi, che è il peggio che può aspettarsi chi è abituato a vivere girando per gli stadi del mondo, ed anche se il ricordo dei compagni di viaggio che non ci sono più è difficile da cancellare.

Ecco allora gli intensi sguardi di intesa, a testimonianza del legame indissolubile tra chi è stata una guida insostituibile e chi senza i propri compagni di avventura certamente non avrebbe tutto il successo che ha avuto. Il compiacimento, il ringraziamento e anche la malinconia si sublimano in un brano che è il chiaro esempio di ciò che il rock’n’roll dovrebbe ancor oggi rappresentare, pur nella consapevolezza che oramai è un genere per anziani , per gente che i migliori anni della propria vita li ha alle spalle.

Ma francamente della nostalgia chi se ne frega: perché qui sta la bellezza, nella semplicità di quattro note, messe una in fila all’altra, senza sovrastrutture sonore inutili, qui c’è il soul, qui la voglia di regalare un sogno.

Il brano Letter to You dal primo ascolto, pur non essendo un capolavoro ma una ballata come altre di Springsteen, ha fatto ben sperare che questa fosse la volta buona, quella del ritorno del fidanzato di Sandy, del ragazzo che aspetta alla fermata del bus o che è nato per correre, del cantore dello spirito della notte.

Dal punto di vista musicale, sono ben presenti alcuni elementi tipici del songwriting del Boss: melodia ampia, ritmo sostenuto, chitarre in primo piano e solido lavoro all’organo di Charles Giordano, con qualche eco morriconiano.

Può bastare per iniziare…

Al riguardo l’artista ha detto: “Amo l’essenza quasi commovente di Letter To You. E amo il sound della E Street Band che suona completamente live in studio, in un modo che non avevamo quasi mai fatto prima, senza nessuna sovraincisione. Abbiamo realizzato l’album in soli cinque giorni, e quella che ne è venuta fuori è una delle più belle esperienze di registrazione che io abbia mai vissuto”.

La seconda track, resa disponibile in anticipo rispetto all’’uscita dell’album, è Ghost, brano che mostra un grande utilizzo di chitarre e ha una melodia che poco alla volta diviene contagiosa. Le note del sax seminate qua e là e la coda del titolo, concessa alle note del piano di Roy Bittan, fanno da eco alle atmosfere di un tempo e se anche Bruce non fa più le canzoni dei primi cinque album, di queste ci possiamo tranquillamente accontentare; il coro, sempre alla fine del brano ne farà la nuova Promise Land nei concerti futuri.

Il videoclip ufficiale è diretto da Thom Zimmy ed è una sintesi di filmati della E Street Band che lavora in studio a “Letter To You”, di immagini di repertorio di vecchi concerti, e di istantanee d’archivio dei primi anni di carriera di Springsteen, quando suonava in band locali.

Ancora una volta emergono i temi di fondo di questo lavoro che Bruce ha ancora ben evidenziato in una recente intervista dove ha sostenuto che “Letter to You affronta la perdita, la gioia di suonare, la fortuna di vivere facendo musica ed essendo parte di una band, quello strano legame di fratellanza che si crea con gli amici quando sei giovane: oggi suono ancora con le stesse persone con cui andavo al liceo 45 anni fa”.

e street band

La tracklist include nuove registrazioni di tre canzoni già presenti negli archivi del nostro dagli anni ‘70 : in particolare “If I Was the Priest“, “Song for Orphans” e “Janey needs a shooter

La prima, lunga quasi sette minuti, ha un inizio che risente del periodo in cui è stata composta, sino a quando entra la band con le tastiere di Charles Giordano in evidenza a dare quel tono epico tipico di alcuni brani di maggior successo.

L’interpretazione di Bruce è sentita più che altrove, la voce sempre bella, i crescendo strumentali coinvolgenti. Vi troverete echi del Dylan elettrico, quello con la Band, nei confronti del quale il Boss ha sempre avuto devozione e al quale spesso si è ispirato, confermati dalla coda del brano dove protagonisti diventano l’armonica e una chitarra che mi ha fatto saltare sulla sedia. Il mio brano preferito dell’intera raccolta, soprattutto per l’interpretazione e il coinvolgimento di Bruce.

Song fo Orphans ha un inizio di armonica, ed ancora sembra di ascoltare Dylan. Entra poi la E street con Bittan che cesella note, Lofgren a dare il solito solido supporto chitarristico e Bruce a raccontare una storia. Una ballata classica, toccante, intensa. Un ottimo brano.

Ed infine Janey needs a shooter altro brano tra i più belli, quasi 7 minuti di soul, nel senso vero della parola, oltre ad un refrain che resta impresso nella mente. L’arrangiamento è plano ma sono i particolari a fare la differenza, come le note di Bittan, il tappeto sonoro di Charles Giordano, l’armonica e la toccante interpretazione di Bruce che mi riporta al mitico Darkness. La ballata ha un andamento epico, sarà messa alla fine dei concerti del prossimo tour quando l’oscurità inizierà a calare ai confini della città .

Per la cronaca, sembrerebbe che Bruce abbia scritto il brano nel 1972, anche se la melodia era già presente in una precedente canzone dell’anno precedente e poi John Landau l’abbia proposta a Warren Zevon che nel suo album Bad Luck Streakin dancing school ne ha riscritta una nuova versione, modificando anche il testo.

Al riguardo di queste vecchie canzoni Bruce ha detto: “È successo per caso. Stavo pensando di incidere una vecchia canzone per il Record Store Day, così ho pensato a uno di quei brani. L’ho incisa con la band e suonava così bene che era un peccato limitarsi ad usarla solo in quel contesto. Quando ho chiamato la band ho pensato che forse ce ne fosse un altro paio che potevo provare a reincidere. Alla fine, le ho incluse nell’album perché suonavano freschissime. Danno un’idea di come pensavo quando avevo  22 anni, ma la forza, l’intelletto e l’esperienza di che mi sono costruito questi anni danno un altro sapore. È stato un caso fortunato,  penso che i fan apprezzeranno”.

One minute You’re here è la canzone che apre il disco, una scelta strana non fosse altro che tutto quello che seguirà suona completamente diverso. One minute You’re here è una ballata che ha un inizio solo chitarra e voce, quest’ultima ben in evidenza, con un refrain che ti resta dentro (Baby baby baby I’m so alone/Baby baby baby I’m coming home) e che introduce un arrangiamento orchestrale delicato, inframmezzato da alcune note di piano. Una ballata sospesa nel tempo, toccante, malinconica, crepuscolare, in un’unica parola… ispirata.

Burnin’ train è un altro brano tipico della produzione degli anni ’70 caratterizzato all’inizio dal solido drummin di Weimberg e poi da un muro sonoro fatto di chitarre e tastiere che ne enfatizzano l’andamento arrembante. Non mi piace tanto il solo di chitarra che richiama il tema principale ma è un particolare perché il refrain in sé non è niente male. Tutto sommato però uno dei brani più scontati dell’album. Immagino già, dal vivo, il fascio di luci concentrato su Max Weimberg che, eretto sulla sua postazione, picchia come un forsennato.

Last man standing è uno di quei brani che in un qualsiasi lavoro ci sta bene perché senza strabiliare ha una sua dignità, una sua autonomina. L’accoppiata voce e chitarra acustica dell’inizio, l’entrata della band e le note del piano di Bittan , disegnano una cornice sonora da subito riconoscibilissima che riconduce la memoria di noi fan ad alcuni dei grandi brani del passato presenti in Born to Run piuttosto che in “Incident…”; il solo di sax quando arriva suona sin troppo scontato (e quindi famigliare) e il finale, sempre di sax, è una sorta di homecoming di quelli più naturali possibili. Forse manca un po’ di melodia, di quella che ti resta dentro e ti si attacca alla pelle, però alla fine il sapore che ti resta in bocca è più che buono.

Pare che il brano abbia trovato la sua ispirazione nelle gesta di una delle prime band di Bruce, ed in particolare nella figura del suo leader (recentemente deceduto), con il quale ai tempi Springsteen non si lasciò così bene salvo, riappacificarsi molti anni dopo.

In The Power of Prayer ove le rullate di Weimberg si amalgamano alla perfezione con le note del sax di Jake Clemons (al quale viene dato ancora ampio spazio) e quelle del piano di Bittan è un brano di buon impatto: la struttura melodica è convincente e vi è una varietà di ritmi che rendono il tutto assolutamente godibile e convincente . Il brano è ispirato dai ricordi giovanili di Spingsteen

You pack your guitar and have one last beer
With just the ringing in your ears.

Rainmaker potrebbe anche essere una canzone politica, una sorta di atto di accusa nei confronti dell’attuale presidente Donald Trump, verso cui Bruce è sempre stato fortemente critico (tanto da affermare di essere disposto ad andarsene in Australia nel caso di conferma alle prossime elezioni).
Rainmaker a little faith for hire
Rainmaker the house is on fire
Rainmaker take everything you have
Sometimes folks need to believe
In something so bad, so bad, so bad
They’ll hire a rainmaker

They come for the smile, the firm handshake
They come for the raw chance of a fair shake
Some come to make damn sure, my friend
This mean season’s got nothing to do with them

Musicalmente il brano è orecchiabile e si ascolta volentieri anche se sconta la presenza di un arrangiamento appesantito dalla presenza di tastiere un po’ troppo invadenti.

Il tema del tempo che fugge e di un futuro per nulla rassicurante, ma che potrebbe anche riservare , è rappresentato in House of a Thousand Guitars

Well it’s alright and it’s alright
Meet me darling come Saturday night
All good souls from near and far
Will meet in the house of a thousand guitars
Here the bitter and the bored
Wake in search of the lost chord
That’ll band us together for as long as there’s stars
Yeah in the house of a thousand guitars
Well it’s alright and it’s alright
Meet me darling come Saturday night
Brother and sister wherever you are
We’ll meet in the house of a thousand guitars
So we can shake off your guai my friend
We’ll go where the music never ends
From the stadiums to the small town bars
We’ll light up the house of a thousand guitars

Il brano, introdotto dalle note piano di Bittan è una riflessione sul tempo che passa, sul futuro che attende chi ha già molto vissuto, sull’amicizia. Temi in qualche modo che richiamano quelli che Dylan affronta in Crossing the Rubicon dall’ultimo suo lavoro a testimoniare quanto le apprensioni, le incertezze dell’uno lo siano anche dell’altro. All’entrata della band la canzone diviene una ballata di ampio respiro dove, al suono di Bittan si aggiungono le chitarre di Lofgren e Little Stevie che incorniciano un refrain che ti entra in testa in testa con facilità

Chiude Letter to You, I’ll see you in my dreams, ancora una bella ballata sostenuta da un ritmo incalzante, con una melodia ben definita ed il piano di Bittan in bell’ evidenza. Il “solo” di chitarra posto nel mezzo del brano è un poco scontato ma certamente d’effetto ed il finale in crescendo con il sax di Clemons è la degna conclusione di album indiscutibilmente bello.

Ma non è tutto: in anteprima esclusivamente su Apple TV, vedrà la luce anche il docu-film “Bruce Springsteen’s Letter to You” con il dietro le quinte del disco. Il film è stato scritto da Springsteen e diretto dal suo abituale collaboratore Thom Zimny.

Decisamente Letter to You è lavoro riuscito, forse il migliore tra quelli pubblicati dopo The River (anche se personalmente ho un debole per le Seeger sessions) dove il rock ‘n’ roll torna ad essere indiscutibilmente protagonista, il suono è quello che da anni i fan speravano di poter tornare ad apprezzare e Bruce appare in piena salute.

Per la cronaca ho scaricato il lavoro da Apple Music, ho comprato il cd, il vinile ed anche una special edition, così… non si sa mai.

Bentornato Bruce! Per qualche anno sono apposto… potrò anche accettare da qui in avanti qualche lavoro minore…

bruce springsteen clarence clemons

Miglior brano: If I was the Priest

Si, sono un fan sfegatato del boss.

Migliori album:
1) The Wild, the Innocent and the E-street shuffle
2) Born to Run
3) Darkness on the Edge of Town
4) The River
5) Greetings from Ashbury Park
Migliore canzone:
1) Thunder road
2) New York City Serenade
3) Born to Run
4) Incident on the 57th Street
5) Jungleland
6) The Ties thet Bind
7) If I was the Priest
8) Atlantic City
9) My city of Ruins
10) Land of Hope and dreams

Miglior bootleg
Piece de resistance

Migliore canzone interpretata da altri
The Fever: Southside Johnny and the Ashbury Jukes

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