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L'intervista

Roberta Villa: “L’app Immuni? Privacy tutelata, però serve più chiarezza nel suo utilizzo”

Abbiamo chiesto alla giornalista e divulgatrice scientifica bergamasca Roberta Villa, laureata in medicina e chirurgia, un parere sull'applicazione ideata per contrastare la diffusione del Coronavirus

Mentre, finalmente, la app Immuni comincia a essere utilizzata dagli italiani ed è notizia di queste ore che solo nell’ultima settimana è stata scaricata da un milione e quattrocentomila italiani, la giornalista e divulgatrice scientifica bergamasca Roberta Villa, laureata in medicina e chirurgia, si esprime in merito all’applicazione, lanciata lo scorso giugno come un’”arma in più” contro il Coronavirus. E in sintesi dice: “L’app Immuni è un anello della catena, ma manca tutto il resto”.

Utilizzando la tecnologia, questo strumento avverte gli utenti che sono stati a stretto contatto con una persona risultata positiva e che potrebbe quindi aver contagiato gli altri, inviando loro un messaggio di allerta in modo da poter verificare le proprie condizioni e ridurre la propagazione del virus. Sulla sua utilità abbiamo appunto chiesto un parere a Roberta Villa.

Cosa pensa dell’app Immuni?

In questo momento è in corso una forte campagna per promuoverla e le persone, anche spaventate dall’aumento dei casi, la stanno scaricando maggiormente sperando che aiuti a controllare l’epidemia. Personalmente, però, ho alcune perplessità, che non riguardano tanto la tutela della privacy – un problema di cui molti si sono preoccupati – perchè secondo me è costruita in modo da essere rispettosa e non credo che ponga delle serie minacce da questo punto di vista, anche rispetto alla normale gestione della riservatezza dei nostri dati in tanti altri settori: il problema è che questa app è un anello della catena, ma manca tutto il resto.

Che cosa intende?

Viene promosso l’uso di Immuni ma non ci sono messaggi molto chiari su che cosa succeda qualora l’utente dovesse ricevere una notifica di positività. Questa persona deve stare in isolamento, ma a chi si sposta molto e per esempio utilizza frequentemente la metropolitana, potrebbe capitare più volte di essere in isolamento per due settimane senza motivo. Oppure gli viene garantito un tampone rapido? Questi aspetti non sono ben chiari e alcuni sono rimasti bloccati in una situazione piuttosto kafkiana.

A fronte di queste criticità, cosa proporrebbe di fare?

Si dovrebbe definire un percorso privilegiato per facilitare quello che succede dopo che è stato accertato il contatto con un positivo. Inoltre, va considerato che il rispetto della privacy – che è necessario – riduce l’efficacia dell’applicazione perchè rende più difficile il tracciamento. Il fatto che finora siano stati identificati soltanto 7-8 focolai in tutta Italia ne dà conferma: sicuramente dipende dal fatto che l’hanno scaricata in pochi, ma anche da una difficoltà oggettiva legata allo strumento. Sarebbe prioritario, invece, potenziare i mezzi pubblici, implementare i tamponi, validare i test rapidi per facilitare lo svolgimento delle procedure, dare un supporto a chi è costretto a stare in isolamento e predisporre un’adeguata organizzazione sui posti di lavoro.

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