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L'intervista

Neolaureato in medicina: Francesco e le aspettative per il suo futuro

Il Covid-19 ha visto in primo piano le figure di medici che, in prima linea, hanno cercato di salvare vite lottando contro il virus, mettendo in pericolo la propria vita. Ma cosa vuol dire essere un neolaureato in medicina in piena pandemia? Lo racconta Francesco Parolini.

Un lungo percorso ricco di emozioni e soddisfazioni, ma anche di difficoltà e ostacoli aumentati anche a causa del Covid19 e tutto ciò che ne è conseguito. Francesco Parolini, giovane bergamasco di Gandino e neolaureato in medicina, ci racconta a tu per tu la sua esperienza e i suoi pensieri in merito al campo medico, sia pratico che di studi.

Quali sono state le emozioni che hai provato durante la cerimonia di laurea, soprattutto dopo il difficile periodo che anche le università hanno dovuto affrontare tra lockdown e restrizioni?

Il giorno della mia laurea ho vissuto una commistione di emozioni veramente intense. Innanzitutto, ho percepito una certa tensione per tutta la mattina, definibile come quella agitazione che deriva dall’incertezza di poter o meno effettivamente ottenere il massimo, nonostante dentro di me sapessi di aver fatto tutto il possibile. Una volta che mi sono trovato di fronte al microfono mi sono pian piano tranquillizzato, cercando di esporre il lavoro che mi aveva tanto appassionato durante la stesura.

Incredulità è invece la mia reazione mentre venivo proclamato: ce l’avevo veramente fatta! Non mi sembrava vero di aver concluso al meglio il percorso di sei anni e non avevo immediatamente realizzato il significato. Poco dopo però, vedendo anche la felicità dei miei cari, in me è esplosa una gioia che mi ha scaldato il cuore.

La cerimonia è stata atipica per la restrizione del numero di accompagnatori (tre per ogni candidato) che potevano accedere fisicamente all’aula magna, tuttavia la possibilità di potermi seguire in via telematica ha fatto sì che io percepissi la vicinanza anche di chi mi ha seguito da casa.

Come si sente un giovane laureato in medicina nei confronti della situazione del covid19? Credi che sarà più difficile riuscire a trovare un equilibrio nel mondo del lavoro rispetto ai Dottori che hanno solcato il mondo lavorativo ospedaliero negli scorsi anni?

Un giovane laureato in medicina non può assolutamente minimizzare quanto avvenuto nei mesi scorsi, è stata una situazione che nessuno si sarebbe mai aspettato. Per questo è necessario fare il possibile per contenere questo nuovo aumento dei contagi, anche responsabilizzando i singoli cittadini affinché si mantenga sempre un comportamento prudente, per non arrivare a restrizioni che paralizzano l’economia.

Per quanto riguarda i neolaureati in medicina, oltre a ciò, bisogna tenersi pronti per entrare in azione nel caso malaugurato che si ripresenti l’emergenza.

Evenienza che auspico che non avvenga.

Quali sono i tuoi prossimi traguardi a livello professionale? Quale sarà il tuo campo specifico?

Fin da piccolo ho avuto la caratteristica di appassionarmi a molti ambiti una volta che iniziavo a conoscerli e ad approfondirli. Questo è ciò che successo anche mentre preparavo le varie discipline del mio percorso di studi, per cui ho un ventaglio di strade che mi piacerebbero percorrere.

Se dovessi sbilanciarmi, mi piacerebbe entrare in una specializzazione chirurgica che mi permetterebbe anche di fare eventualmente attività ambulatoriale, come ad esempio ginecologia.

Come reputi, in generale, il percorso universitario di medicina? Solitamente molti ragazzi si ritirano poiché il percorso è molto lungo e molto difficile. Tu cosa ne pensi?

L’iter che deve percorrere uno studente di medicina è sicuramente impegnativo, non nego che la costanza e l’impegno siano componenti essenziali per il conseguimento di questo titolo di studi. Con questo non vorrei spaventare nessuno, anzi, perché con la determinazione e lo zelo necessari si possono affrontare tutti gli ostacoli che inevitabilmente si incontrano.

Sei anni appaiono lunghissimi (e lo sono effettivamente), ma sono meglio tollerati se condivisi con compagni nelle tue stesse condizioni che diventano col tempo degli amici con cui condividere le avversità e le gioie.

Con uno sguardo nazionale, spesso gli studenti di medicina fanno delle proteste verso il governo per aumentare il numero di studenti ai corsi di specializzazione, c’è davvero questa esigenza per non rischiare di non avere medici specializzati in futuro?

La carenza di medici specialisti è purtroppo un dato di fatto. Il cosiddetto “imbuto formativo” è un problema tangibile, che esclude numerosi medici dalla possibilità di specializzarsi, rimanendo costretti a svolgere lavori precari.

Quest’anno i posti sono stati aumentati, ma in modo insufficiente e soprattutto disomogeneo, lasciando alcuni reparti in grave difficoltà.

Quali sono i problemi nazionali vissuti dai medici? Pensi ci sia una bassa attenzione alla ricerca?

Oltre al difficile accesso ai posti di specializzazione, vi sono numerose criticità che coinvolgono me e i miei colleghi.

Il primo problema che dovrò affrontare sarà la scarsa retribuzione delle borse di studio (se paragonate ad esempio con quelle della vicina Svizzera, il confronto degli emolumenti è imbarazzante), che non tengono conto dei costi della vita differenti che si hanno sul territorio nazionale. La situazione è addirittura peggiore per chi vuole diventare medico di Medicina Generale.

Un ulteriore problema che coinvolge trasversalmente tutte le varie specializzazioni sono le pratiche burocratiche che sottraggono ai medici un’infinità di tempo che potrebbero invece dedicare per curare i pazienti. Per la ricerca l’attenzione è sempre minima perché nel breve termine difficilmente può offrire un ritorno economico e un vantaggio consistente in termini di miglioramento della salute pubblica. Tuttavia, si dovrebbe cercare di essere lungimiranti e comprenderne il valore, perché investendo risorse nella ricerca è la collettività che ci guadagna.

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