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Arte

Non solo covid

Bergamo colpita si scopre comunità. E l’arte in Gamec lo conferma fotogallery video

La mostra “TI BERGAMO. Una Comunità”, a cura di Lorenzo Giusti e Valentina Gervasoni, aperta fino al 14 febbraio 2021, “racconta la comunità di Bergamo in modo anomalo, rompendo gli schemi soliti"

A legare gli esseri umani più di tutto sembra sia il dolore. Un dolore che “ti insegna a viaggiare a marcia indietro. Da grande a piccolo. Da ricco a povero. Dal superfluo all’essenziale”, per dirla con un aforisma di Fabrizio Caramagna.

E questo qui da noi lo sappiamo bene. Nei mesi scorsi il popolo bergamasco, colpito al cuore dell’epidemia, si è riscoperto comunità. Lo si è visto nei mille gesti di solidarietà e condivisione che hanno stretto i legami tra cittadini, associazioni, istituzioni.

In questa dinamica collettiva anche il mondo dell’arte, che per sua natura è teso all’individualismo, si è trovato a ripensare funzioni, pratiche, linguaggi. La Gamec di Bergamo, da lunghe stagioni vocata all’internazionalizzazione in quanto museo d’arte contemporanea, rivolge oggi lo sguardo, più di quanto abbia mai fatto, al territorio, alla sua identità, mettendolo al centro di una rinnovata costruzione di senso nel segno dell’arte. La mostra “TI BERGAMO. Una Comunità”, a cura di Lorenzo Giusti e Valentina Gervasoni, aperta fino al 14 febbraio 2021, “racconta la comunità di Bergamo in modo anomalo, rompendo gli schemi soliti – spiega il direttore Giusti – perché opere d’arte in senso stretto convivono con creazioni di soggetti di varia natura che si sono espressi negli scorsi mesi. La mostra contamina, mescola i piani, sulla scia dell’esperienza di Radio Gamec, che nei mesi del lockdown ha dato voce senza riserve alle identità del territorio, aiutando a costruire trame di significato, partendo dal locale e idealmente abbracciando una comunità più ampia, nazionale e internazionale. Così come intende appunto fare questa esposizione”.

Un orizzonte di senso che l’assessore Nadia Ghisalberti ha tenuto a sottolineare: “Bergamo ha sopportato una dura prova, ci siamo scoperti fragili ma anche molto generosi. Con questa mostra il Museo si conferma luogo in cui i legami si rafforzano, strumento per rinsaldare relazioni e costruire dimensioni di identità forte”.

Nello spirito dell’iniziativa, l’ingresso alla mostra è gratuito per tutti i mesi di apertura, ma si può contribuire con l’acquisto della T-shirt (al prezzo di 19 euro) con il disegno “Ti Bergamo” di Dan Parjovschi: metà dei proventi sarà devoluta a Cesvi per finanziare un progetto dedicato alla protezione dell’infanzia a Bergamo e l’altra metà andrà a copertura dei costi della mostra.

Il percorso, su due piani, è diviso in sei sezioni e ogni sala ha almeno un audio, “una dimensione sonora – precisa Giusti – per dare l’idea delle tante voci che si sovrappongono” in questa narrazione estremamente plurale di luoghi e di storie.

E l’allestimento è decisamente “polifonico” a partire dal tipo di opere selezionate, da pile di giornali cartacei a contributi audio-visivi, da opere grafiche a installazioni ambientali, da fotografie a file di banchi scolastici. Proprio quest’ultima operazione, con una delle sale del museo trasformata in aula di scuola, è la più evocativa di un “luogo collettivo”, di quelle dinamiche di formazione dei legami che rendono il singolo parte di un organismo comune, la comunità appunto: i banchi dismessi dell’Istituto Vittorio Emanuele, che al Tecnico Commerciale hanno lasciato il posto ai tavolini della generazione Covid, allineati e distanziati su più file, con tanto di cattedra e lavagna a gessetto, sono un tocco di tenerezza e di orgoglio in omaggio a una Scuola che è stata profondamente ferita nei lunghi mesi della chiusura obbligata.

Così come straniante, ma non meno difficile da dimenticare, è l’opera video del duo artistico MASBEDO (alias Nicolò Massazza e Jacopo Bedogni) che, partendo da Ricordo di un dolore di Pellizza da Volpedo – il capolavoro datato 1889 che attualmente chiude il percorso espositivo della Carrara (sala 28) – hanno filmato il viaggio di questa icona pittorica. Riprodotto in grande formato poster, il dolente ritratto della giovane Santina Negri (affranta per la perdita della sorella) è stato affisso ai muri e negli spazi pubblicitari lungo le strade di Bergamo e della Valle Seriana: ha incrociato così gli sguardi e le vite di molti passanti, fino a giungere, portato a spalla, sulla vetta della Presolana, a sublimare nel silenzio dell’ascesa il dolore di un territorio intimamente devastato dall’epidemia.

Nelle diverse sezioni della mostra si incontrano artisti bergamschi di varia generazione, con opere lontane per data e ispirazione, tra cui un cuscino in organza di Mariella Bettineschi con la scritta “Dio conta le lacrime” (1980), il video di Filippo Berta di una performance collettiva di fiammelle accese in Santa Maria Maggiore (2013), il selfie in rosso di Mario Cresci scattato in pieno lockdown sulla soglia di un interno in via Sant’Alessandro, ma anche disegni di Orfeo Locatelli, Trento Longaretti e Alberto Vitali che catturano scorci e luoghi storici della città, tra cui un non meglio identificato “Caffè del Bava” di Locatelli.

Al registro più drammatico della pandemia appartengono i documenti della prima sala, non a caso ribattezzata “Sala stampa”, tra cui il progetto dell’illustratore Emiliano Ponzi per il “Washington Post” che narra la vita quotidiana di un milanese in quarantena, il servizio del giornalista di Bergamonews Davide Agazzi andato in onda lo scorso aprile su Rai2 comn le voci di Alessio Boni e Giorgo Pasotti, una raccolta delle edizioni de L’Eco di Bergamo, i disegni sulla pandemia realizzati da Dan Perjovschi. Addolcisce il tono di questa sezione l’ironia di Bruno Bozzetto, con la delicata ed efficace serie di vignette della cagnolina Doggy e del suo padrone: la matita dell’artista scioglie nel sorriso i paradossi della quarantena che ci ha inchiodati al divano di casa, scherzando sullo smart working e sull’alienante dimensione di tempo e spazio all’epoca del Covid.

Ma il focus della mostra, attraverso centinaia di pezzi tra opere d’arte e produzioni dal basso, come rimarcano i curatori “è sulla comunità, non sul Covid: l’epidemia è stata un attivatore di energie e legami, ma la nostra attenzione è sul senso di comunità”. Una ricognizione sfaccettata, che tocca gli estremi del dramma così come della poesia, della tempra della nostra gente e della capacità di fare fronte comune alle più dure avversità.

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