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Le notti bianche: quando il protagonista è un giovane sognatore

È del 1848 ma ancorai fa parlare di sé, perché vecchio, soprattutto in letteratura, non è sempre sinonimo di noioso, anzi, spesso vuole dire proprio il contrario

I giorni si accorciano e le notti si allungano; i cocktail alcolici sono stati sostituiti dalle tisane; le t-shirt ora sono sepolte da delle felpe pesanti. Insomma, l’autunno è iniziato, seppur precocemente rispetto a come la natura ci ha abituati negli ultimi anni, e ha portato con sé le notti passate in bianco tra l’ansia per l’inizio delle lezioni universitarie e i ricordi estivi.

La notte ha sempre il suo fascino, come se il buio concedesse all’uomo di spogliarsi di ogni inibizione, di ogni paura e gli lasciasse lo spazio necessario per vivere.

La notte ha sempre ispirato l’uomo.

Anche nella cinematografia ci sono numerosi richiami alla notte. Si pensi alla “luce verde” ne “Il Grande Gatsby”, visibile di notte. Pensando a produzione più leggere, troviamo la tipica frase citata dalla mamma di Ted Mosby, l’inguaribile romantico e architetto di How I met your mother: “Non succede mai nulla di buono dopo le due di notte”.

Anche nell’ arte possiamo trovare molteplici quadri raffiguranti la notte: “La notte stellata” di Van Gogh; “Sera sul viale” Karl Johan di Edvard Munch; “Boulevard Montmartre di notte” di Camille Pissarro. E di conseguenza possiamo intuire come, anche la letteratura abbia risposto a tale richiamo.

Nel 1848, Fëdor Dostoevskij, pubblica per la prima volta sulla rivista Otečestvennye zapiski (“Annali patri” in italiano) “Le notti bianche”.

Sì, lo so, è un libro un po’ antico; ma vecchio, soprattutto in letteratura, non è sempre sinonimo di noioso, anzi, spesso vuole dire proprio il contrario.

Si pensi all’Orlando Furioso, poema cavalleresco del 1516 di Ludovico Ariosto; si parla di meretrici, di magia, di cavalieri, di nobili imprese, ma soprattutto di amore. Un amore così potente (spoiler alert!) da far impazzire il povero Orlando, al punto da mandare il suo senno sulla luna.

Quindi, possiamo dichiarare che un libro per esser avvincente non deve essere fresco di stampa, ma deve essere un buon libro, così come lo è “Le notti bianche”.

Questo romanzo parla della storia di un sognatore. Mentre cammina per Pietroburgo, avvolto dalla sue chimere e dai suoi pensieri, incontra una donna di nome Nasten’ka; la donna è sola e lui le si avvicina.

Ogni notte si incontrano su di un ponte e discutono di sogni, di vita, di tutto quello che è intangibile e di tutto quello che invece lo è. Le spettatrici dei loro discorsi sono solo le stelle. Nasten’ka sta aspettando un uomo e, complici la Luna e il paesaggio, il nostro sognatore si innamora di lei.

È un libro d’amore? Non solo. È un libro che parla della vita e di tutto ciò che la riguarda.

L’esistenza per il sognatore è qualcosa di insopportabile che lo porta a vivere in uno stato di allucinazione perenne, di totale distacco dalla realtà; è una sorta di Forrest Gump di metà Ottocento. Di base è un buono che vede la vita in modo diverso, in un modo che non è malato o perverso, ma, al contrario, puro e innocente, quasi in un modo fanciullesco.

Può essere definito un libro premonitore.

Benché sia stato scritto a metà Ottocento il protagonista è un uomo alienato, distaccato dalla realtà esattamente come è il tipico uomo che ha vissuto il boom della società di massa e che la letteratura e le arti hanno raccontato: un uomo insofferente alla vita.

Citazione migliore:

“Ed ecco che la fantasia già esplode e il libro, preso senza scopo, a caso, cade dalle mani del mio sognatore che non è arrivato neanche alla terza pagina. La sua fantasia è nuovamente pronta a partire, eccitata, e all’improvviso gli balena davanti un mondo nuovo, una nuova meravigliosa vita in tutto il suo splendore. Un nuovo sogno! Una nuova felicità! Un’altra dose di veleno dolce e raffinato! Che cosa importa a lui della nostra vita reale?”

Curiosità:

Nel 1957, Luchino Visconti ha diretto il film “Le notti bianche” tratto dall’omonimo libro. La pellicola è però ambientata a Livorno. Il sognatore, Mario, è interpretato da Marcello Mastroianni. Ha vinto numerosi premi tra cui Festival di Venezia nel 1957; il Leone d’argento e i Nastri d’argento come migliore attore protagonista; un premio per la migliore scenografia e la migliore colonna sonora. Credo sia inoltre interessante sottolineare che il film è stato girato completamente in uno spazio chiuso. Per la precisione al Teatro 5.

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