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L'anniversario

Breccia di Porta Pia, 150 anni dopo: quel 20 settembre che chiuse un’epoca

Quando i cannoni di Cadorna aprirono il varco nelle mura aureliane, si chiudeva il Risorgimento eroico e garibaldino e cominciava un nuovo tipo di Risorgimento, politico, economico e culturale, cui proprio la conquista sabauda di Roma diede un’impronta decisiva

Sono molte le riflessioni storiche possibili sulla presa di Roma, a centocinquant’anni dalla breccia di Porta Pia: in quel 20 settembre del 1870, in qualche modo, si concludeva un’epoca e un’altra iniziava.

Potremmo dire che, quando i cannoni di Cadorna aprirono il varco nelle mura aureliane, si chiudeva il Risorgimento eroico e garibaldino e cominciava un nuovo tipo di Risorgimento, politico, economico e culturale, cui proprio la conquista sabauda di Roma diede un’impronta decisiva. Roma era stata il chiodo fisso di Garibaldi, nell’arco di tutta la sua carriera rivoluzionaria e patriottica: a cominciare dalla repubblica romana del 1949, di cui lui fu il braccio armato, mentre le menti furono Mazzini, Saffi e Armellini. Ma Garibaldi non rinunciò mai al suo sogno di conquistare Roma: la città eterna agiva su di lui come una calamita. Ne progettò la conquista nel 1860, a villa Spinola, prima di optare per la Sicilia; tornò a prenderla di mira nel 1862, quando le fucilate dei bersaglieri di Pallavicini lo fermarono, ferendolo al piede; ci riprovò nel 1867, e fu sconfitto a Mentana dai papalini.

Alla fine, Roma cadde in mano italiana grazie agli avvenimenti internazionali e alla spregiudicatezza della destra storica. La quale destra storica, a sua volta, aveva alle spalle una lunga storia anticlericale e massonica, che affondava le proprie radici nella tradizione settaria piemontese: non a caso, i beni ecclesiastici erano stati ampiamente rastrellati, tanto da Carlo Alberto quanto da Vittorio Emanuele II, per finanziare guerre e opere pubbliche.

Insomma, l’Italia risorgimentale e la chiesa cattolica non erano certo in buoni rapporti: la sola cosa che impediva al re d’Italia di chiudere la questione romana era la protezione, anche questa di vecchia data, concessa al Papa dalla Francia di Luigi Bonaparte, poi Napoleone III. E Vittorio Emanuele non poteva rischiare d’inimicarsi il suo più potente alleato, conquistando Roma.

Dopo la proclamazione del Regno d’Italia, nel 1864, si giunse, perciò, alla cosiddetta “convenzione di settembre”, che prevedeva il ritiro, entro due anni, delle truppe francesi da Roma, in cambio di una dichiarazione italiana di abbandono della questione romana: a garanzia di questo accordo, il 3 febbraio 1865, con una decisione che scontentò quasi tutti, la capitale d’Italia venne spostata da Torino a Firenze. Napoleone III, però, capitombolò clamorosamente, nella guerra del 1870 contro la Prussia: la schiacciante vittoria prussiana di Sedan, il 2 settembre, aprì la strada alla conquista di Roma da parte del corpo di spedizione piemontese, comandato da Raffaele Cadorna, nemmeno tre settimane dopo la sconfitta napoleonica.

Remore di carattere religioso non ve n’erano, per la natura stessa del governo nazionale: quelle di carattere diplomatico, gli Italiani non le hanno mai rispettate e non le rispettarono neppure quella volta. Così, le artiglierie sabaude spararono, la breccia venne aperta e Roma invasa, al tenue prezzo di una cinquantina di caduti, tra soldati italiani e papalini.

Il premio alla sfortuna va al maggiore dei bersaglieri Pagliari, che morì proprio sulla breccia, in una delle battaglie meno cruente della storia patria. Pio IX si rifugiò dentro le mura leonine e di lì lanciò una serie di anatemi sull’Italia, nonostante l’incasso di un notevole risarcimento, con la legge delle guarentigie del 1871, che gli garantiva un appannaggio notevolissimo e che regolò i rapporti tra Italia e Santa sede fino al concordato del 1929.

Già esisteva il “non expedit”, oggi diremmo “non sta bene”, della chiesa nei confronti della partecipazione dei cattolici alla vita politica: Pio IX lo sottolineò e rafforzò e, nel 1886, sotto Leone XIII, il “non sta bene” divenne un vero e proprio “non si può”.

Così, in pratica, l’elettorato cattolico rimase fuori dai giochi della politica nazionale fino al patto Gentiloni del 1913, lasciando la partita in mano ai liberali di destra e di sinistra. Insomma, la breccia di Porta Pia non fu affatto un episodio singolo e limitato della nostra storia, ma rappresentò il punto d’arrivo di un lunghissimo corteggiamento a Roma da parte dell’Italia e, come dicevamo, fu, al contempo, l’esordio della Terza Italia, liberale, laica fino all’anticlericalismo e sempre più ammiratrice della Germania bismarckiana. Oltre a essere la ragione per cui una via centralissima di Bergamo si chiami “via XX settembre”, naturalmente.

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