L’omicidio di Willy Monteiro Duarte, il 21enne di Colleferro picchiato brutalmente fino alla morte, sta riempiendo le cronache da circa una settimana.
Sul caso, e di come è stato gestito finora a livello mediatico, interviene l’avvocato bergamasco Enrico Felli.
“Quanto è avvenuto a Colleferro nella notte tra sabato e domenica non è solo un grave fatto di cronaca.
Colpisce, infatti, la violenza inaudita e gratuita che l’ha caratterizzato.
Il tutto per un litigio apparentemente banale nato, a quanto sembra, da un commento non gradito su una ragazza. È morta una persona di 21 anni, Willy, per essere stata presa a calci e pugni, anche quando rantolava a terra, dopo che aveva tentato di mettere pace tra coloro che stavano litigando.
Preso a calci e pugni da persone che non sarebbero state parte della lite, ma che sarebbero intervenute in un momento successivo, chiamate perché c’era bisogno di loro.
Si tratta dei fratelli Bianchi, giunti sul posto a bordo di un grosso Suv, che hanno negato ogni responsabilità affermando tra l’altro, di trovarsi al cimitero – sì proprio al cimitero – a fare sesso con delle ragazze.
Di loro parlano le immagini – fisici imponenti con importanti tatuaggi- e la loro passione per le arti marziali che a quanto parte sarebbero state utilizzate anche contro Willy.
Non arti marziali qualsiasi ma una disciplina particolare, la MMA, conosciuta per la sua particolare violenza e caratterizzata da combattimenti dove quasi ogni tipo di colpo è concesso.
E qui sta il punto.
Comprendere se vi era, o vi doveva essere, la consapevolezza in capo a chi ha colpito Willy che i colpi inferti, per la tecnica utilizzata, potevano provocare la morte.
Ovvero se la volontà era semplicemente quella di colpire, sia pure con una particolare violenza, se la morte è stata una conseguenza non voluta o non prevedibile.
Nel primo caso si tratterebbe di omicidio volontario; nel secondo caso di omicidio preterintenzionale, quello per intenderci che commette chi dà un pugno a una persona che cadendo batte accidentalmente la testa a terra e muore.
Questo dovranno stabilire, e potranno stabilire, solo i magistrati.
I fatti rappresentati dalle cronache, le immagini degli indagati ai quali a quanto pare se ne stanno aggiungendo altri, il contesto di violenza e di degrado morale che ne esce, quantomeno per come è stato da più fonti descritto, può portare i più a propendere per la prima soluzione.
È sicuramente comprensibile: nessuno è disponibile ad accettare che un ragazzo venga ucciso e soprattutto venga ucciso con le modalità che ci sono state raccontate. Perché questo sappiamo: ciò che è stato riportato e ciò che emerge dai verbali o dagli stralci dei verbali di alcuni interrogatori che sono stati pubblicati nonostante il segreto istruttorio.
Diviene a questo punto necessaria una riflessione o meglio una domanda.
È lecita una condanna, sia pure a livello mediatico, quando le indagini sono ancora in corso e addirittura non sono concluse?
È giusto pubblicare i verbali quando le indagini sono ancora in corso, quando a indagati che conosciamo se ne stanno aggiungendo altri che non conosciamo?
Di fronte a fatti che urtano la coscienza e provocano emozioni forti come la morte di Willy verrebbe da dire di sì. Ma invece la risposta deve essere no. Costa fatica, ma deve essere no. Sempre.
Troppe volte il desiderio di protagonismo di chi indaga e le notizie che sono state rese pubbliche in violazione del segreto istruttorio hanno provocato danni mediatici e reputazionali irreparabili ai soggetti che sono stati coinvolti e successivamente assolti.
Dobbiamo quindi pretendere con forza che le regole sino rispettate. Da tutti. Anche quanto costa più fatica perché si vorrebbe una condanna immediata. Ne va dei nostri valori e dei nostri principi. E soprattutto non ci convinceremo di quello che ci vogliono talvolta far credere gli altri”.
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