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L'UE e noi

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Il Next Generation EU e le riforme che ci chiede l’Europa

Il primo passo per attuare il Piano di Rilancio consisterà, secondo le aspettative della Società italiana, nella semplificazione delle procedure amministrative per la pianificazione, la progettazione e l’autorizzazione dei lavori pubblici e delle numerose attività della filiera logistica.

In genere il cittadino italiano non sa quanto siano stretti i rapporti con la Commissione europea in tutti i campi dell’Economia, della finanza e della fiscalità.

Soprattutto con la nascita dell’euro, gli accordi sottoscritti dagli Stati membri hanno fatto nascere una serie di incontri e di documenti, fra i Ministeri nazionali e le varie Direzioni Generali della Commissione, che determinano numerosi adempimenti, suggeriti da Bruxelles, e inseriti nella legislazione italiana. La governance degli stati membri, che si manifesta, soprattutto, nell’applicazione delle Direttive e delle Risoluzioni europee, ha ridotto enormemente lo spazio di scelta dei Governi nazionali. Uno fra gli aspetti più significativi, che ci deriva dall’appartenenza all’Unione, è quello che siamo sollecitati a una continua innovazione, che non avverrebbe, se restassimo chiusi nella semplice visione nazionale.

Le Direzioni di Bruxelles hanno la possibilità di monitorare, frequentemente, le innovazioni che avvengono nei singoli Stati; non solo, ma non dovendo dipendere dalle mediazioni politiche, che condizionano spesso le scelte nazionali, possono procedere a scegliere le migliori pratiche, attuate nei singoli Stati, per suggerirle, come esempio, a tutti gli altri.

La necessità di raggiungere un buon livello di convergenza, fra le diverse economie, autorizza e stimola la Commissione a suggerire frequenti raccomandazioni ai singoli Stati e a verificarne la realizzazione. In genere, il cittadino, immerso nella propria realtà nazionale, ha la convinzione che i sistemi fiscali, che i processi del mercato del lavoro, che le pratiche a cui è soggetto nella vita quotidiana, debbano essere gli stessi anche negli altri Stati.

Ma non è così! Chi ha avuto l’opportunità di vivere per un periodo, in un altro Stato, e ha avuto modo di osservare l’organizzazione e l’articolazione degli adempimenti burocratici, ai quali siamo sottoposti nella vita di relazione, si rende conto che vi sono modi diversi, per risolvere gli stessi problemi. Ad esempio, se devo acquistare una macchina usata, in Belgio, sono obbligato a fare un controllo tecnico, con una spesa di 40 euro, ma la nuova targa mi viene poi data immediatamente, nell’ufficio dell’ispettorato, con una spesa di 7 euro. Se affitto, come privato, una casa di mia proprietà in Belgio, non pago tasse sul reddito d’affittanza, ma solo la tassa annuale sull’immobile, che è leggermente più alta che in Italia. E gli esempi possono essere molti altri! Ma la sostanza è che, se si chiede ad un Cittadino belga, se è contento dell’organizzazione e dell’efficienza della sua Nazione, risponde, quasi sempre, positivamente. Non abbiamo la stessa risposta in Italia.

Se un Cittadino belga perde il lavoro, ha diritto a una paga mensile, che dura, in genere, due anni. Ma ogni giorno è impegnato in ore da trascorrere in corsi di formazione, sia linguistici, sia tecnici e ogni settimana ha un colloquio con Assistenti specializzati, che valutano la preparazione e propongono eventuali nuove assunzioni.

Dal primo mese della pandemia, nel mese di marzo; i parrucchieri, i ristoratori, i negozianti e gli altri lavoratori, impegnati nelle libere professioni, si sono visti accreditare 1.200 euro al mese (molto di più se avevano familiari a carico), direttamente sul loro conto corrente.

Qualcuno può obiettare che il Belgio ha 10 milioni di abitanti, l’Italia 60. Però la Lombardia ha gli stessi abitanti del Belgio. Se non lo può fare, vuol dire che è stato sbagliato il modo in cui noi, nel 1970, abbiamo finalmente dato concretezza alla nostra Costituzione e, con l’entusiasmo di allora, abbiamo creduto di semplificare la burocrazia, con la creazione delle Regioni. Forse l’abbiamo aumentata!

Esempi simili a questi sopra indicati, si manifestano in altre nazioni, nei Paesi Bassi, in Danimarca, in Svezia, in Finlandia, dove il debito pubblico è sotto controllo ed è alta la produttività del lavoro e ha meno incidenza il lavoro inutile, che genera debito “cattivo”. Gli Stati cosiddetti “frugali” hanno risolto meglio, e prima di noi, gli aspetti distorsivi e gli sprechi della finanza pubblica, e sono in grado di gestire una tassazione più favorevole, nei confronti delle imprese. Quando la Commissione europea, anche attraverso il “Semestre europeo”, richiama l’Italia, con una serie di raccomandazioni, perché proceda a riforme strutturali, che riducano la spesa inutile, ha davanti a sé gli esempi virtuosi di altri Paesi, dai quali trarre insegnamenti.

La Commissione ha recentemente ribadito, nel Rapporto per Nazione 2020 sull’Italia, che le principali vulnerabilità del Paese risiedono nell’elevato debito pubblico e nella bassa crescita della produttività. Secondo l’analisi della Commissione, che è stata svolta prima del diffondersi del Covid-19, il debito pubblico italiano, pari al 134,8 per cento del PIL nel 2019, rappresenta un rilevante squilibrio macroeconomico di medio-lungo termine. Secondo il Rapporto della Commissione, la produttività del lavoro, nel 2018, ha subito un peggioramento, in particolare nelle Regioni del Mezzogiorno e nei servizi. La minore produttività si è tradotta in una perdita di competitività esterna, con la conseguente perdita complessiva di quote di mercato.

Cionondimeno, la Commissione riconosce che l’Italia rimane il secondo Paese manifatturiero e il terzo esportatore dell’Unione Europea, mostrando una dinamica relativamente elevata della produzione industriale. Con riferimento al mercato del lavoro, nonostante la debole crescita economica, l’occupazione, misurata in termini di persone occupate, è cresciuta e il tasso di disoccupazione è sceso sotto il 10 per cento. Ma per i giovani, il tasso di disoccupazione rimane ancora intorno al 28 per cento, uno dei più alti livelli in Europa. A questo si aggiunge l’elevata incidenza del part-time involontario e dei lavoratori scoraggiati. Con riferimento ai crediti deteriorati, l’Italia ha compiuto progressi nella loro riduzione. Tuttavia, lo stock dei crediti inesigibili e delle inadempienze probabili rimane ancora su livelli relativamente elevati, in particolare per le banche di minori dimensioni. A dicembre 2019, quando l’emergenza sanitaria non aveva ancora colpito l’Europa, la Commissione Europea ha definito le priorità della strategia annuale nei seguenti ambiti:
• la sostenibilità ambientale;
• la crescita della produttività;
• l’equità;
• la stabilità macroeconomica.

Anche in conseguenza degli squilibri macroeconomici sopra descritti, il Consiglio Europeo ha fissato le raccomandazioni, per il 2020, per l’Italia, che riguardano quattro aree principali di azione:

Raccomandazione 1, Per quanto riguarda la politica di bilancio, si raccomanda di perseguire la riduzione del rapporto debito/PIL, la revisione della spesa pubblica e la riforma della tassazione, nonché di non invertire precedenti riforme in materia pensionistica e di ridurre la spesa pensionistica

Raccomandazione 2. Si raccomanda di proseguire: nel contrasto al lavoro sommerso e nel miglioramento delle politiche attive del lavoro, sia come sostegno alla ricerca di lavoro, sia come potenziamento del sistema di formazione; nel sostegno all’occupazione femminile; nel miglioramento della qualità dell’istruzione con investimenti mirati, in particolare, al rafforzamento delle competenze digitali.

Raccomandazione 3 e 4 Si raccomanda di proseguire negli sforzi per: l’aumento delle risorse per la ricerca, l’innovazione, la digitalizzazione e le infrastrutture, l’efficienza della Pubblica Amministrazione, la gestione delle aziende partecipate dalla Pubblica amministrazione, il funzionamento della giustizia e la promozione della concorrenza nel settore privato.

Raccomandazione 5 Si raccomanda di favorire la ristrutturazione dei bilanci delle banche e migliorare l’accesso delle imprese ai mercati finanziari.

Con l’avvento della pandemia, che ha sconvolto e messo in crisi l’economia di tutti gli Stati membri, la Commissione europea, con un notevole salto di qualità nella tradizione europea, ha varato il Programma di Ripresa e Resilienza (Next Generation EU) e ha chiesto agli Stati di predisporre interventi per il rilancio di importanti filiere e settori produttivi, quali: la sanità e la farmaceutica, il turismo e i trasporti, le costruzioni, la produzione, lo stoccaggio e distribuzione di energia, la meccanica avanzata e la robotica, la siderurgia, l’auto e la componentistica, l’industria culturale. Il Piano di Rilancio si basa su un’ampia ed equilibrata analisi dei punti di forza e di debolezza del Paese, nel contesto della crisi causata dalla pandemia. Lo Strumento Europeo per la Ripresa rappresenta un grande passo in avanti per l’Europa e un’occasione per il Paese per rilanciare gli investimenti e attuare importanti riforme all’interno di un disegno di rilancio e di transizione verso un’economia più sostenibile dal punto di vista ambientale e sociale. L’Italia come gli altri Paesi europei, sulla scorta delle raccomandazioni avanzate dalla Commissione, ha predisposto il proprio Piano, costruito intorno a tre linee strategiche:

Modernizzazione del Paese

Modernizzare il Paese significa disporre di una Pubblica Amministrazione efficiente, digitalizzata, ben organizzata e sburocratizzata, veramente al servizio del cittadino. Significa, inoltre, creare un ambiente favorevole all’innovazione, promuovere la ricerca e utilizzare al meglio le tecnologie disponibili, per incrementare la produttività dell’economia e la qualità della vita quotidiana.

Transizione ecologica

La transizione ecologica deve essere la base del nuovo modello di sviluppo. Per realizzarla è necessario, in primo luogo, ridurre drasticamente le emissioni di gas clima-alteranti, in linea con gli obiettivi del Green Deal europeo; in secondo luogo, migliorare l’efficienza energetica dell’economia e la qualità dell’aria nei centri urbani e purificare le acque interne e marine. Si deve, inoltre, intervenire per un aumento delle aree verdi urbane e per la riforestazione. La riconversione ecologica deve rappresentare anche un’occasione di nuova competitività, per la maggior parte del nostro sistema produttivo, con l’obiettivo di coniugare la forte vocazione industriale con una maggiore armonia con la natura.

Inclusione sociale e territoriale, parità di genere

L’inclusione sociale rappresenta la cultura che porta a ridurre le disuguaglianze e la povertà, e la si deve attuare anche attraverso l’istruzione e la formazione. Per questo diventano di enorme importanza: la conoscenza degli strumenti digitali; una migliore qualità della vita nei centri urbani e nelle periferie; la riduzione del gap infrastrutturale fra Nord e Sud. È altresì importante migliorare il sistema sanitario, duramente colpito dalla pandemia, per tutelare la salute di tutti, soprattutto dei meno abbienti. La realizzazione della parità di genere, richiede di intervenire sulle molteplici dimensioni della discriminazione nei confronti delle donne, che riguardano, principalmente, una maggiore partecipazione al mondo del lavoro, la segregazione e la qualità del lavoro, l’accesso alle risorse finanziarie, le disuguaglianze tra donne e uomini nell’allocazione del tempo dedicato al lavoro, al lavoro domestico e alle attività sociali, l’uguaglianza di genere nelle posizioni decisionali, a livello politico, economico e sociale.

Le tre linee strategiche verranno attuate, dal Governo italiano, attraverso nove direttrici di intervento:
1) Un Paese completamente digitale;
2) Un Paese con infrastrutture sicure ed efficienti;
3) Un Paese più verde e sostenibile;
4) Un tessuto economico più competitivo e resiliente;
5) Un piano integrato di sostegno alle filiere produttive;
6) Una Pubblica Amministrazione al servizio dei cittadini e delle imprese;
7) Maggiori investimenti in ricerca e formazione;
8) Un’Italia più equa e inclusiva;
9) Un ordinamento giuridico più moderno ed efficiente.

Il primo passo per attuare il Piano di Rilancio consisterà, secondo le aspettative della Società italiana, nella semplificazione delle procedure amministrative per la pianificazione, la progettazione e l’autorizzazione dei lavori pubblici e delle numerose attività della filiera logistica. L’impegno principale è quello di rimuovere gli ostacoli che negli ultimi anni hanno rallentato, non solo gli appalti e gli investimenti pubblici, ma anche le iniziative e gli investimenti dei privati e, più in generale, la crescita dell’economia.

Un primo ambito di rafforzamento degli investimenti pubblici deve riguardare le infrastrutture di comunicazione e, in particolare, il rinnovamento e lo sviluppo delle infrastrutture di telecomunicazione e di trasporto: 5G e fibra ottica; data center distribuiti; ferrovie; strade; ponti; aeroporti; porti e intermodalità, e il completamento di una rete ferroviaria ad alta velocità, in tutto il Paese, in particolare nelle Regioni del Sud, all’interno di un piano di mobilità sostenibile.

Inoltre, è necessario insistere sulla riconversione del trasporto pubblico su gomma, verso veicoli a basse emissioni, attraverso, per il momento, il GNL (Gas Naturale Liquido), del metano biologico da rifiuti, ottenuto con la termovalorizzazione, e successivamente, dallo sviluppo, già in atto, dell’idrogeno. Un’attenzione particolare va riservata agli interventi per il ripristino del degrado idro-geologico, così diffuso nel nostro Paese.

La realizzazione di questo Piano può però concretizzarsi veramente, se il Governo italiano ha la disponibilità e la capacità di aprire un confronto chiaro e continuo con le Forze sociali (Sindacati) e con la Società civile organizzata, e sa utilizzare, al meglio, le proposte e le profonde sensibilità, delle quali queste forze sono portatrici.

*Antonello Pezzini nasce in provincia di Novara nel 1941. Si laurea in filosofia e consegue due master, ha un trascorso da preside di liceo, da consigliere comunale della Dc a Bergamo, da presidenza della locale Associazione Artigiani a membro del CDA dell’Istituto Tagliacarne. Sviluppa uno spirito imprenditoriale nel settore dell’ abbigliamento e ha insegnato economia all’Università degli Studi di Bergamo. La passione per l’energia sostenibile è più recente, ma in breve ne diventa un esperto in campo europeo: oltre alla carica al Cese, è membro del CDA di un’azienda che si occupa di innovazione tecnologica e collabora con società di consulenza energetica.  Dal 1994 è membro del Comitato Economico e Sociale Europeo in rappresentanza di Confindustria.

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