Chiara Alessandri dovrà passare trent’anni in carcere per l’omicidio di Stefania Crotti, rivale in amore e moglie dell’uomo con cui aveva avuto una breve relazione l’estate precedente al delitto. Dopo la sentenza dello scorso 18 giugno, il tribunale di Brescia ne ha diffuso le motivazioni.
Secondo i giudici la 44enne, tre figli di 7, 8 e 12 anni che non vede da quando è detenuta, è l’artefice del piano diabolico messo in atto a Gorlago il pomeriggio del 17 gennaio 2019. Quel giorno, con la complicità di un amico inconsapevole, aveva portato la vittima nel garage della sua villetta per affrontarla.
Secondo l’accusa, l’imputata era accecata dal desiderio di vendetta per l’allontanamento di Stefano Del Bello, marito di Stefania (aveva 42 anni) madre di una bimba di 8 anni. Quel pomeriggio la ricerca di un confronto fisico da parte della Alessandri, scrive la Corte, appare spiegabile con un intento violento e vendicativo di distruzione e annientamento dell’antagonista. Si era legata al marito della vittima, con il quale aveva avuto una breve relazione, un attaccamento morboso, come viene descritto, e volte aveva un atteggiamento che faceva paura. E quel giorno della trappola mortale, aveva messo in atto un piano per liberarsi della concorrente in amore per riprendersi l’uomo amato.
Un disegno perseguito con ferocia anche nei minimi particolari, covato, per considerevole lasso temporale, una volontà soppressiva della rivale in amore. La Crotti, una volta nel garage, era stata aggredita a colpi di martello. Il suo corpo era stato poi ritrovato semi carbonizzato nelle campagne di Erbusco, dove, secondo i successivi risultati dell’autopsia, sarebbe arrivata incosciente ma ancora viva. C’erano tracce di fumo nei suoi polmoni. Per tale ragione il processo si è svolto a Brescia (è competente il tribunale dove è avvenuta la morte).
Difesa dall’avvocato Gianfranco Ceci, la Alessandri ha sempre negato di avere dato fuoco al cadavere ma solo di aver colpito Stefania con il martello, dopo che quest’ultima a suo dire l’aveva attaccata per prima. Ma contro di lei i carabinieri del Nucleo investigativo di Bergamo avevano raccolto una lunga serie di indizi, che da subito hanno convinto gli inquirenti a contestare la premeditazione.
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