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Arte

Accademia carrara

Sofonisba Anguissola, la pittrice del Rinascimento stimata da Michelangelo

All'Accademia Carrara una sua opera "La Sacra Famiglia" tornata da poco dopo una grande mostra organizzata dal Prado di Madrid. Figura di spicco del tardo Rinascimento e del Manierismo, nonostante la sua notorietà non fu mai pagata in contanti, a differenza dei suoi colleghi maschi, ma solo con doni e rendite

Che le arti visive, e non solo quelle visive, siano state per secoli appannaggio degli uomini non è un mistero. Nascere donna nel passato, si sa, ha significato per lo più dover trovare, se era possibile, un buon partito e occuparsi di faccende private – le ribalte dello spazio pubblico essendo monopolio di padri, mariti, amanti, figli.

Non tutti però sanno che fra i circa 1800 dipinti dell’Accademia Carrara si annovera l’opera di una delle più apprezzate pittrici del Rinascimento, Sofonisba Anguissola.

Cremonese di nascita, Sofonisba fu donna controcorrente, capace di infrangere lo stereotipo della creatività solo al maschile e di aprire le porte alla più attiva partecipazione delle donne all’arte che si verificherà in epoca barocca. Stimata da Michelangelo, dal Vasari, da Rubens, da Van Dyck, visse quasi cento anni tra la Spagna degli Asburgo e i fiorenti poli di Palermo e Genova, distinguendosi come artista e, di fatto, come pioniera del professionismo femminile in arte.

La “Sacra famiglia”, dipinta quando l’autrice doveva avere 24 anni, è un piccolo olio su tela (36,7 x 31,9 cm) ospitato nella sala 18, quella della pittura veneta del secondo Cinquecento. Firmata e datata sul masso in basso a sinistra, su cui poggia San Giuseppe, “Sophonisba / Anagussola / Adolescens / p. 1559 ”, la tela è pervenuta nella collezione della Carrara nel 1891 per lascito testamentario di Giovanni Morelli.

La “Sacra famiglia” riproduce quella di un altro pittore cremonese, Camillo Boccaccino, a cui Sofonisba, cresciuta alla scuola di Bernardino Campi, si ispira. Infatti, lei che come ritrattista si affermò alla corte di Madrid per finezza di tratto ed espressività dei soggetti, per le opere a carattere religioso dipendeva per lo più dai modelli di altri artisti del suo ambiente – pratica diffusa peraltro a quell’epoca nelle botteghe in cui i pittori lavoravano spesso secondo repertori e modelli di altri autori.

Il dipinto restituisce un soffuso clima di affettuose corrispondenze tra la Vergine, che porge una manciata di fiori al figlioletto, l’anziano ma vigoroso San Giuseppe che lascia che il Bambino giochi con la sua barba e il piccolo Gesù che si volge teneramente verso la Madre. Su uno sfondo naturale, scandito da piante, rilievi e una dolce valle erbosa, si affaccia in lontananza un cielo tempestoso sotto cui si indovina un piccolo edificio.

Questo setting e l’accento posto sulla figura di Giuseppe, che come un padre tenero e protettivo tiene stretto il figlio tra le sue forti braccia, ha fatto pensare in passato a un momento di riposo della sacra famiglia durante la fuga in Egitto, interpretazione oggi ritenuta ingiustificata.

Il gioco di sguardi e i riflessi di luce, di cui Sofonisba diventerà sensibile specialista, conferiscono intensità alla scena, che trova il suo denominatore  visivo nel bouquet misto punteggiato di rosseggianti garofani deposto sulla veste di Maria, prezioso decoro cromatico e simbolica allusione alla Passione.

Nella semplicità della scena religiosa, Sofonisba può dare voce al suo talento di “pittrice di anime”, dote che le valse il posto di ritrattista della famiglia reale di Filippo II di Spagna e dama di corte della regina Elisabetta. Educata alla musica, alla letteratura, alla pittura, secondo le linee guida tracciate pochi anni prima (1528) dall’umanista Baldassarre Castiglione nel “Cortegiano”, Sofonisba dà corpo a quell’ideale intellettuale di donna di cultura che a quel tempo sembrava più frutto dell’immaginazione libresca che della realtà della vita. La sua vita si svolse controcorrente, in un’epoca in cui il concilio di Trento (1545-1563) respingeva le funzioni femminili in ruoli sottoposti e molto ridotti sul piano culturale.

Primogenita di una famiglia numerosa, che annoverava altre cinque sorelle talentuose disegnatrici e pittrici, Sofonisba, figlia d’arte e di nobili famiglie cremonesi, nacque senza dubbio in un contesto eccezionalmente privilegiato. Grazie alle spiccate capacità manageriali del padre Amilcare, pittore dilettante, un suo disegno giunse al vecchio Michelangelo il quale ne ammirò l’intenzione espressiva – poi sottolineata dal contemporaneo Vasari che, soggiornando in casa Anguissola, dei ritratti di Sofonisba scrisse “tanto ben fatti che pare che spirino e siano vivissimi”.

Ma fu la sua personalità, straordinariamente indipendente, che le guadagnò libertà di scelte e ammirazione nel mondo dell’arte. Sposatasi trentottenne, tardi per quei tempi, col nobile siciliano Fabrizio Moncada, lasciò la Spagna per Palermo, per poi risposarsi alla morte del marito, nel 1579, con il nobile genovese Orazio Lomellini. Tornata con lui a vivere a Palermo nel 1615, continuò a dipingere nonostante un forte calo della vista e fu proprio nella città siciliana dove Antoon Van Dyck, succedutole come ritrattista alla corte spagnola, le fece visita nel luglio 1624: di questo incontro con la “pittricia”, come lui la chiama, resta lo straordinario schizzo a china del pittore fiammingo sul suo famoso “taccuino italiano”, poi trasferito in un portrait su tela.

Figura di spicco del tardo Rinascimento e del Manierismo, nonostante la sua notorietà non fu mai pagata in contanti, a differenza dei suoi colleghi maschi, ma solo con doni e rendite, mentre esiste documentazione dei pagamenti che per lei incassarono prima il padre poi il fratello Asdrubale. Un destino di subalternità di genere che segnò anche la fortuna della sua opera presso i posteri: la sua figura nel migliore dei casi fu considerata come qualcosa di diverso e come oggetto di curiosità a prescindere dalla qualità delle sue opere, quando non fu letteralmente oscurata dal silenzio.

A parziale risarcimento per questo oblio, la sua arte e personalità sono state oggetto proprio quest’anno della grande mostra organizzata dal Prado (conclusasi a febbraio) per festeggiare i 200 anni della fondazione del prestigioso Museo madrileno: Sofonisba Anguissola e la sua contemporanea Lavinia Fontana, pittrice imprenditrice bolognese che aprì e gestì una sua propria bottega, sono state celebrate con un’esposizione di 65 opere provenienti da importanti musei del mondo, tra cui la “Sacra Famiglia” dell’Accademia Carrara.

Una restituzione di visibilità cui vogliamo contribuire riportando l’attenzione su questo quadro delle collezioni cittadine, una buona prova di pittura di un’allora giovane artista che ha tracciato un cammino fruttifero a lungo rimosso dalla storia dell’arte.

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