Abbiamo ripreso le attività scolastiche preliminari all’inizio dell’anno (esami integrativi, di idoneità, ecc.).
Nell’avvicinarmi alla scuola sentivo un po’ di ansia, non ci ritornavo dal 22 febbraio; nel piazzale mi ha colpito il silenzio, così strano e irreale, i candidati aspettavano il loro turno, opportunamente distanziati e silenziosi.
Il ritrovarsi con i colleghi, le colleghe e il personale è stato piacevole, ma gli sguardi, sopra le mascherine, oltre al sollievo di rivederci, tradivano l’angoscia per quello che è stato e la preoccupazione per quello che sarà. All’interno della scuola tutto è pronto per l’inizio, grazie anche al lavoro incessante di questi mesi del dirigente e dei suoi collaboratori.
Banchi e cattedre distanziati, queste ultime protette con il plexiglas, strisce per terra a delimitare gli spazi, faremo un doppio intervallo, didattica alternata, ingressi e uscite scaglionati, per evitare assembramenti.
Certo, penso a quanto innaturale sia tutto questo, scuola e distanziamento sono un ossimoro. Ma ce la faremo, sono fiduciosa: in tutti questi anni la scuola e gli insegnanti, checché se ne dica e se ne pensi, hanno dimostrato flessibilità, impegno ed inventiva anche, a riempire i vuoti di riforme lacunose.
La decisione di chiudere le scuole è stata giusta, opportuna e doverosa, per la tutela della salute pubblica.
La riapertura mette in luce le carenze strutturali, la mancanza di aule, di spazi e di risorse, che non si possono imputare a questo governo (dal quale alcuni si aspettano la bacchetta magica), ma dobbiamo ripartire.
Ci sono lavoratori che hanno continuato a lavorare per tutto il periodo della pandemia, possiamo farlo anche noi, pretendendo l’adozione di tutte le misure di sicurezza e garantendole, per quanto ci compete.
In fondo, l’apertura delle scuole manda un segnale di speranza.
* Insegnante all’Iis Rigoni Stern Agrario Bergamo
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