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Bergamo segreta

Uno specchio sulla città: Palazzo Terzi e il fascino del Seicento a Bergamo  

Nuova puntata della rubrica domenicale di BGY che fa tappa in Città Alta

Vivere in una dimora di sei piani dove poter osservare il sole sorgere sulla città fu il sogno di numerosi nobili bergamaschi.

Nel corso dei secoli in molti ci provarono, fra i quali anche gli esponenti dei marchesi Terzi che nel Cinquecento edificarono il proprio palazzo lungo le pendici del Colle di Rosate.

A causa dell’esiguità degli spazi presenti in Città Alta, la casata orobica decise di acquistare una serie di edifici esistenti su cui porre la propria residenza, demolendone alcuni e recuperandone altri.

L’attuale configurazione venne raggiunta soltanto grazie a una serie di interventi, a partire da quello attuato a partire dal 1631 in occasione del matrimonio fra il marchese Luigi Terzi e la giovane Paola Roncalli che si interessarono della facciata e dell’ala meridionale della dimora.

Nel 1747 l’unione fra Gerolamo TerziGiulia Alessandri diede sicuramente una spinta ulteriore ai lavori, in particolare nella parte esterna grazie all’interessamento di Filippo Alessandri, parente dei due coniugi.

L’architetto bergamasco si occupò in particolare della sezione d’ingresso, sino a quel momento particolarmente risicata a causa dell’incombenza dell’antistante giardino del Conte Ricuperati.

Acquisendo parte del terrapieno, Filippo Alessandri ricavò una piazzetta utile per l’arrivo delle carrozze e all’interno della quale pose una nicchia a grotta con una statua raffigurante l’Architettura.

La figura femminile, realizzata da Giovanni Antonio Sanz, è sovrastata da due putti simboleggiando la Primavera e l’Estate che rimandano quelle presenti sul balcone settentrionale e dedicate all’Autunno e l’Inverno.

Quest’ultime sono visibili sopra il portale d’entrata composto da un arco a tutto sesto e preceduto da due colonne toscane che sostengono il terrazzo.

Osservando più attentamente la sezione nord dello stabile si possono identificare anche le finestre del primo piano, sormontate da timpani spezzati e da busti di personaggi storici.

Accedendo alla struttura è possibile osservare l’ampia terrazza che si affaccia sulle zone verdi sottostanti e sulla parte meridionale del capoluogo.

Particolarmente ammirata dal Premio Nobel Hermann Hesse, l’elegante balaustra è racchiusa fra le due ali del fabbricato e decorata da altre due sculture del Sanz che accompagnavano i visitatori verso il salone di rappresentanza.

Raffiguranti rispettivamente la pittura e la scultura, esse rappresentano insieme a quella presente nella piazzetta le tre arti maggiori.

Il locale, posizionato su due piani, spicca per la sua particolare architettura del soffitto che presenta otto finestre: quattro finte, da cui spuntano i visi dipinti della moglie e dei figli di Luigi Terzi, e quattro vere.

A differenza delle precedenti, tre di esser sono dirette verso il centro cittadino, mentre soltanto una fa capolino sul piano nobile.

Lungo il soffitto è possibile gli affreschi di Gian Giacomo Barbello e le quadrature di Domenico Ghislandi, più noto come padre di Fra’ Galgario.

Il pittore cremonese operò infatti sia sulla volta dedicata all’ “Olimpo” che sui quattro riquadri sottostanti raffiguranti “Minerva che con Marte guida le truppe”, “Orfeo che incanta gli animali”, “Giunone che guida le Furie” e “Flora con cornucopia”, scene riprese dalle “Metamorfosi” di Ovidio.

Ad abbellire l’ampio spazio vi sono inoltre alcune tele eseguite da Johann Christoph Storer all’interno delle quali sono riprodotte alcuni episodi tratti dall’Antico Testamento come “Jette vittorioso incontra la figlia”, “Ammone ucciso per comando del fratello Assalone”, “Davide presenta a Saul la testa di Golia” e “Convito di Assuero”.

Sulla parete occidentale si può infine notare la presenza di un camino di dimensioni notevoli, realizzato con buona probabilità dagli stuccatori ticinesi Sala e abbellito da due leoni laterali che sostengono l’ampio frontone in cui risalta lo stemma araldico celebrante la potenza della famiglia.

Realizzata in marmo bianco di Zandobbio, la parte inferiore dell’opera risale al XVI secolo, mentre quella superiore in stucco e gesso sarebbe frutto di un intervento successivo dell’Alessandri.

L’immagine dell’ “Olimpo” ritorna anche nella “Sala Rossa”, così chiamata per via della tappezzeria di damasco rosso che, armoniosamente, accompagna ancora una volta i dipinti del Barbello, riprodotti in collaborazione con il Ghislandi.

In questo caso alcuni giganti bianchi accompagnano quattro porzioni in cui viene raccontata la storia di Imene, figlio di Apollo e protettore dei matrimoni, la quale conduce l’osservatore a un tema strettamente famigliare.

Arredata nel corso del Settecento, la stanza venne arricchita anche dall’aggiunta di specchiere, porte stuccate e consolles prodotte dalla bottega dei Fantoni.

Numerosi furono gli artisti che lavorarono all’interno di Palazzo Terzi fra i quali Guido Reni, esponente del Classicismo seicentesco,  ma anche Giovan Battista Caniana che si occupò della messa in opera del pavimento della “Sala del Soprarizzo” come di quello della stanza da letto dove è possibile osservare un affresco raffigurante il casto Giuseppe sottrarsi alle avance della moglie del faraone Putifarre.G

Ornato dallo svizzero Carpoforo Tincalla, l’ambiente funse da stanza da letto degli imperatori d’Austria Francesco I e Ferdinando I, giunti a Bergamo rispettivamente nel 1816 e nel 1838.

Nonostante l’apparente vicinanza dei Terzi agli Asburgo, la casata orobica fu particolarmente legata agli ideali patriottici italiani tant’è che nel 1848 nascose nella parete occidentale della stanza il vessillo tricolore della Guardia Nazionale, esposto durante i moti di marzo e attualmente conservata nel Museo del Risorgimento.

In conclusione è impossibile non rimanere ammaliati dallo splendore del “Salottino degli specchi”.

Voluto nel 1740 dall’architetto Alessandri per mostrare la potenza economica della famiglia, lo spazio è accompagnato da una serie di specchi che si. riflettono fra loro e che offrono uno scenario unico nel suo genere, a cui vanno aggiunti il parquet intarsiato del Caniana e i mobili del Teatro Sociale, giunti nella dimora dopo la soppressione dello stesso.

Nonostante i progetti ottocenteschi di Simone Cantoni di cancellare l’impostazione barocca dello stabile a favore dello stile Impero, Palazzo Terzi mantiene intatto ancora oggi il proprio fascino, rispecchiando un’epoca ormai scomparsa.

Fonti

Roberto Ferrante; Palazzi nobili di Bergamo; Bergamo; Grafica e arte Bergamo; 1988

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