Lo sceneggiato “Mastro Don Gesualdo” è la prima produzione della RAI su pellicola ed è datato 1964, un anno importante. Il regista Giacomo Vaccari firma il suo capolavoro, scardinando le regole linguistiche che fino ad allora avevano informato i teleromanzi, consuetudini ereditate dalla tradizione teatrale e tradotte in norme televisive tese a facilitare la sicura comprensione da parte del pubblico della vicenda raccontata. Secondo un originale e anticonformistico stile espressionista, egli afferma senza esitazioni le proprie scelte registiche, sottraendo la scena all’attore, in precedenza protagonista assoluto della narrativa televisiva. I personaggi, anche i principali come don Gesualdo (Enrico Maria Salerno) e Bianca Trao (Lydia Alfonsi), ridimensionati dalla profondità di campo o dal grandangolo o deformati da primi piani esasperati, diventano comparse di un romanzo scritto dalle mani esperte del regista, vero deus ex machina della narrazione. Vaccari utilizza in parte il dialetto e riproduce i quadri corali di Giovanni Verga attraverso il sovrapporsi di voci chiassose; anche queste scelte ribadiscono il rifiuto dell’impostazione pedagogica a vantaggio di un deciso accostamento alla sensibilità e alla suggestione cinematografiche. Ben ridotto, benissimo diretto, splendidamente recitato, sarà ricordato come un “cult movie”. In sei puntate sul Secondo Programma, con: Enrico Maria Salerno, Lydia Alfonsi, Sergio Tofano, Turi Ferro, Franca Parisi, Valeria Sabel, Valeria Ciangottini, Guido Leontini, Franca Di Marzà, Giuseppe Lo Presti, Maria Di Martino, Luigi Casellato, Maria Tolu, Carmelo Mazzà.
Ci sono sceneggiati che mantengono tutto il loro fascino nonostante il passare del tempo. “La cittadella” (Cronin 1937) è uno di questi, grazie alla grande interpretazione di Alberto Lupo e un’ottima sceneggiatura. Rimarrà per decenni il più famoso e replicato teleromanzo e il più clamoroso caso di divismo televisivo: l’attore conquistò una popolarità senza precedenti, venne perfino invitato a un congresso medico e interpellato per diagnosi e cure. La sceneggiatura e la regia coinvolgenti, appassionanti e drammatiche non possono che essere di Anton Giulio Majano, che incollerà al video milioni di telespettatori per sette settimane dal 9 febbraio.
Le vicende del dottor Manson commuovono e appassionano: un uomo tutto d’un pezzo, che odia la meschinità e l’arroganza, sicuro di sé; eppure assaggerà anche lui l’amaro frutto della debolezza umana. Bellissimi i racconti delle tappe della sua vita, davanti ad un caminetto: “Non ricordo più che stagione fosse, ma che importa! Era il tempo della giovinezza, quando si era innamorati e felici e pieni di speranze!” Ma poi il tempo passa, diventa ricco e famoso, mettendo da parte gli ideali che lo animavano all’inizio della professione; sarà la morte di un paziente sotto i ferri di un cattivo chirurgo, da lui raccomandato, che lo farà “rivivere”, nonostante il dolore ed i rimorsi. La scena in cui Manson, sotto un acquazzone, bussa disperato sulla porta di casa del paziente morto, è altamente drammatica: “A Dio non la si fa…a Dio non la si fa…”, ripete continuamente, letteralmente inzuppato, inebetito e impietrito. E poi il finale del suo racconto, con quella splendida frase pronunciata da Manson: “….ma venne l’ora di andarmene. I miei amici, il mio lavoro mi aspettavano. Quando alzai gli occhi, un gran bastione di nuvole si ergeva luminoso… e aveva la forma di una cittadella”.
Cast: Alberto Lupo (Andrew Manson), Anna Maria Guarnieri (Cristina Barlow), Gabriele Antonini (Grenfell), Dario Dolci (Aneurin Rees), Nando Gazzolo (Freddie Hamson), Carlo Hintermann (Danny), Laura Efrikian (Mary Boland), Eleonora Rossi Drago (Francis Lawrence), Lida Ferro (Blodwen Page), Ferruccio De Ceresa (Stilmann). Musiche originali di Riz Ortolani.
La misura del romanzo sceneggiato, questo genere televisivo che deve la sua popolarità al fatto di sgranarsi per settimane, convogliando nel suo incedere le “scorie vitali” di milioni di telespettatori, e insomma svolgendo i suoi materiali drammatici in una tensione di continuo alimentata dalla nostalgia e dall’attesa, è parsa particolarmente idonea nella trascrizione spettacolare dei “Miserabili”. Trascrizione che supera largamente in ampiezza ogni precedente tentativo del genere: 11 ore e venti minuti di spettacolo, 10 puntate, più di quattro mesi di lavorazione. La sceneggiatura di Dante Guardamagna si attiene fedelmente al testo originale di Victor Hugo; la regia di Sandro Bolchi cerca attraverso un attento rigore rappresentativo di cogliere, insieme all’affresco storico, la quotidiana disperazione di volti e gesti. Gli interpreti sono Gastone Moschin (Jean Valjean), Giulia Lazzarini (Fantina), Tino Carraro (Javert), Attilio Duse (un contadino), Elsa Albani (Magloire), Maria Fabbri (Baptistine), Aldo Silvani (Monsignor Benvenuto), Cesarina Gheraldi (M.me Thenardier), Antonio Battistella (Thenardier), Massimo Pianforini (Fauchelevent), Enzo Garinei (il ciarlatano), Loretta Goggi (Cosetta bambina). In onda dal 5 aprile, riscuoterà un enorme successo di pubblico.
Due anni dopo “I giacobini” (e seguito ideale), la RAI mette in onda, sempre sul Canale Nazionale, “I grandi camaleonti”, ancora in sei puntate dall’11 ottobre al 29 novembre 1964. 200 milioni di costo, 53 attori protagonisti e 500 comparse per il secondo originale televisivo scritto da Federico Zardi e diretto da Edmo Fenoglio. Uno sceneggiato quindi non meno costoso del precedente, che narra le vicende che si svolsero dalla fine della rivoluzione alla proclamazione di Napoleone Bonaparte imperatore, interpretato da un immenso Giancarlo Sbragia. Anche il resto del cast fu straordinario, con Raul Grassilli nel ruolo di Joseph Fouché, Mario Pisu in quello di Barras, Valentina Cortese nei panni di Josephine de Beauharnais, Tino Carraro splendido interprete di Talleyrand, Regina Bianchi che recitava la parte della madre di Napoleone Letizia Ramolino. Tra i tanti interpreti una giovane Raffaella Carrà, e poi Umberto Orsini, Tino Bianchi, Enzo Cerusico, Glauco Onorato, Valeria Moriconi, Ileana Ghione, Gianni Agus e un altro giovane attore d’eccezione, Gigi Proietti. Come ne “I giacobini”, la realizzazione dei costumi de “I grandi camaleonti” fu affidata a Danilo Donati, in seguito due volte Oscar nel 1969 per Romeo e Giulietta di Franco Zeffirelli e nel 1976 per Il Casanova di Federico Fellini. Lo sceneggiato, fortunatamente rimasto archivio, offre l’ennesima prova della professionalità dei tecnici RAI e del valore artistico degli attori, tutti provenienti dal teatro.
Sin dal primo incontro tra uno scalcagnato Napoleone e un Fouché in disgrazia, lo sceneggiato mette in evidenza i giochi di potere, i trasformismi e le ambiguità dei personaggi storici che di volta in volta salgono o cadono a seconda delle vicende politiche. I protagonisti sono proprio due giacobini, un giovane militare che tenterà la conquista del mondo e un deputato della
Convenzione che votò la condanna a morte del re Luigi XVI per poi diventare Ministro della Polizia sotto il Consolato e il Primo Impero Francese. In mezzo a Napoleone e Fouché troviamo tutti gli altri, una girandola di opportunisti che si legano a seconda delle convenienze a questa o a quella fazione. Il pregio de “I grandi camaleonti” è stato di aver proposto la storia dell’ascesa di Napoleone senza fare sconti all’entità dei personaggi coinvolti, magari calcando un po’ la mano nella recitazione di Raul Grassilli e Tino Carraro, smaccatamente viscidi nei toni, nelle posture e nella mimica facciale. Gradevole la collaborazione musicale di Gino Negri, che scrisse canzoni per l’occasione facendole cantare a Maria Monti in un fantomatico teatrino dove circolavano i vari protagonisti della scena politica.
Lo sceneggiato televisivo “Il giornalino di Gian Burrasca”, diretto da Lina Wertmüller e trasmesso in otto puntate in prima serata dalla Rai tra il 19 dicembre 1964 e il 6 febbraio 1965, è tratto dall’omonimo romanzo scritto in forma diaristica da Vamba nel 1907 e pubblicato prima a puntate sul “Giornalino della domenica” e in volume nel 1911. Gli episodi destinati ad un target giovanile, furono poi seguiti da un pubblico molto vasto e appartenente ad ogni fascia d’età, grazie anche alla messa in onda di sabato sera; successivamente sono stati replicati nel 1973, nel 1982 e nel 2012.
Le avventure di Giannino Stoppani, il protagonista interpretato da Rita Pavone, sono narrate per mezzo dell’alternanza tra le parti dialogate e quelle cantate dai personaggi che improvvisano semplici balletti nel salotto di casa, dando vita a quello che è stato definito un vero e proprio musical televisivo. Le vicende seguono con notevole fedeltà l’antecedente letterario di Vamba e ne conservano la cronologia e gli errori di grammatica, per rendere più realistica la scrittura da parte di un bambino di nove anni. I disegni con cui Gian Burrasca raffigura la sua famiglia sulle pagine del diario riproducono in modo stilizzato ma fedele le scene recitate dagli attori, che spesso sono le vittime dei suoi continui e ingegnosi scherzi. Rispetto al romanzo, in TV la famiglia Stoppani appare meno severa: soprattutto il personaggio della madre si distingue per la sua positività e per la tendenza a prendere le difese del figlio anche in occasione delle birbanterie più gravi. La lettura del giornalino da parte di Giannino Stoppani seduto alla sua scrivania introduce ogni episodio: il protagonista narra le sue avventure dal proprio punto di vista, rivolgendosi direttamente alla telecamera e tenendo un dialogo ininterrotto con i telespettatori.
Le musiche sono state composte da Nino Rota; Louis Bacalov si è occupato degli arrangiamenti e della direzione d’orchestra. Tra i motivi musicali lanciati dallo sceneggiato, particolare successo ha riscosso la canzone “Viva la pappa col pomodoro”, che ne costituisce la sigla di apertura. La canzone, cantata dalla Pavone, accompagna i titoli di testa scritti con grafia infantile, che riportano l’elenco del personaggi e degli interpreti aggiornato di episodio in episodio. Nei panni del protagonista principale appare la già citata Rita Pavone, che proprio negli anni Sessanta cominciava a farsi conoscere come cantante di musica leggera; il babbo e la mamma sono interpretati da Ivo Garrani e da Valeria Valeri; Elsa Merlini è la zia Bettina. Nelle vesti delle tre sorelle maggiori compaiono Milena Vukotic (Virginia), Pierpaola Bicchi (Luisa) e Alida Cappellini (Ada). Arnoldo Foà e Paolo Ferrari prestano il volto rispettivamente all’avvocato Maralli e al dottor Collalto. In collegio, il direttore e la direttrice, marito e moglie, sono interpretati da Sergio Tofano e Bice Valori.
Il 27 dicembre fu trasmesso il primo episodio, in tre puntate, de “Le inchieste del commissario Maigret”. È stata una serie televisiva di sedici sceneggiati, tratti da altrettanti romanzi e racconti di Georges Simenon. Gli episodi furono divisi in quattro stagioni, per un totale di trentacinque puntate, andate in onda sul Programma Nazionale dal 1964 al 1972 per la regia di Mario Landi, con Gino Cervi nel ruolo di Maigret e Andreina Pagnani in quello della signora Maigret. Altri interpreti fissi erano gli attori che impersonavano gli ispettori coadiuvanti il Commissario Maigret: Mario Maranzana (ispettore Lucas), Manlio Busoni (ispettore Torrence), Daniele Tedeschi (ispettore Janvier), Gianni Musy (il giovane Lapointe), e altri personaggi fissi: Oreste Lionello (il dottor Moers) e Franco Volpi (il giudice Comélieau). Ma nelle puntate della serie sono comparsi moltissimi altri grandi nomi del teatro, del cinema e delle TV italiana: Sergio Tofano, Marisa Merlini, Arnoldo Foà, Ugo Pagliai, Marina Malfatti, Loretta Goggi, Leopoldo Trieste, Gian Maria Volonté, Giuseppe Pambieri, Lydia Alfonsi, Cesco Baseggio, Vittorio Congia, Carlo Hintermann, Angela Luce, Anna Mazzamauro, Didi Perego, Silvano Tranquilli, Giusi Raspani Dandolo. Il delegato di produzione per la RAI era Andrea Camilleri, ancora lontano dal diventare famoso come “papà” del commissario Montalbano (personaggio che deve più di un tratto a Maigret, e quindi a Simenon).
Il successo di pubblico e di critica degli sceneggiati fu vivissimo, e dello stesso Gino Cervi che ne è stato indimenticabile interprete, come, del resto lo è stato interpretando Peppone nei film della serie “Don Camillo” tratti dai racconti di Guareschi; lo stesso Simenon ebbe a dire “È lui il mio Maigret” (un elogio grandissimo, considerando che in Francia i tre film con protagonista il commissario Maigret erano stati interpretati nientemeno che da Jean Gabin).
Mi piace qui sottolineare che le canzoni, come sigla iniziale o finale di un programma televisivo, non s’usano più molto, o almeno non si usano più nello stesso modo. Ma agli inizi della storia della televisione italiana sono state molte le canzoni che, dall’essere proposte come sigle di apertura o chiusura di un programma, sono diventate grandi successi popolari. A proposito di quelle relative alla serie di Maigret, e ricordando che ognuna delle stagioni di programmazione dello sceneggiato ebbe sigle iniziali e finali differenti, ve ne sono di indimenticabili. Sigla iniziale della prima stagione: “Le mal de Paris”, cantata da Marcel Mouloudji. Sigla finale della seconda stagione: “Un giorno dopo l’altro”, cantata da Luigi Tenco. Sigla finale della terza stagione: “Frin frin frin”, cantata da Tony Renis. Sigla iniziale della quarta stagione: “Il respiro di Parigi”, cantata da Amanda.
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