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A settembre

Il referendum sul taglio dei parlamentari: quando, come, quorum e perchè

Il quesito è confermativo, chi vota Sì approva l’entrata in vigore del taglio dei parlamentari; chi vota No, invece, vuole l’abrogazione della legge.

Fra un mese circa, domenica 20 e lunedì 21 settembre, gli italiani sono chiamati al voto sul referendum costituzionale che chiede la riduzione del numero di parlamentari: precisamente i deputati se vincesse il passerebbero da 630 a 400 e i senatori da 315 a 200. La legge costituzionale è voluta da Movimento 5 Stelle ed è stata approvata dal Parlamento ma senza la maggioranza qualificata dei due terzi.

La richiesta di referendum è arrivata da 71 senatori, come previsto dalla Costituzione. L’adesione alla raccolta firme è stata trasversale tra i partiti, ma la maggior parte dei firmatari appartengono al centrodestra, con 42 di Forza Italia e 9 della Lega.

Il quesito è confermativo, chi vota Sì approva l’entrata in vigore del taglio dei parlamentari; chi vota No, invece, vuole l’abrogazione della legge. Il referendum non ha quorum. A oggi, tra i partiti, i più decisi sostenitori del Sì sono il Movimento 5 stelle, la Lega e Fratelli d’Italia.

Quesito e Quorum

La domanda sulla scheda è: “Approvate il testo della legge costituzionale concernente modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari, approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana – Serie generale – n. 240 del 12 ottobre 2019?”.

Votando Sì, l’elettore si esprime a favore del taglio del numero dei parlamentari. Votando No, sceglie di abrogare la legge costituzionale.

Il referendum costituzionale non ha quorum, quindi non esiste una soglia minima di votanti da raggiungere perché la votazione sia valida. L’esito determinerà l’entrata o meno in vigore della legge a prescindere da quanti cittadini andranno alle urne.

Chi vuole e chi no il taglio dei parlamentari

Il M5S ha fatto della legge sulla riduzione dei parlamentari la propria battaglia politica. La sua approvazione faceva parte del “contratto di governo” siglato da Cinque Stelle e Lega alla nascita del governo Conte I, in seguito al voto del marzo 2018. Il disegno di legge costituzionale è stato incardinato al Senato e, tra il febbraio 2019 e il maggio 2019, si è conclusa la prima lettura in entrambe le Camere, dove la legge è stata approvata con una maggioranza qualificata di due terzi.

La seconda lettura, invece, è avvenuta nel luglio 2019, pochi giorni prima dello strappo politico della Lega che ha determinato la fine del governo Conte I. Al Senato, la legge è stata approvata ma senza la maggioranza qualificata e questo ha aperto alla possibilità di sottoporla a referendum.

La Costituzione, infatti, prevede che una legge costituzionale possa essere oggetto di referendum confermativo nel caso in cui, in almeno uno dei quattro passaggi alle Camere, non sia stata approvata da una maggioranza di due terzi dei parlamentari.

Il governo Conte II, formato da una maggioranza composta da Movimento 5 stelle, Partito democratico e Leu, è nato nel settembre 2019, ma i grillini hanno vincolato il loro sostegno al premier alla garanzia che i nuovi alleati votassero il Sì definitivo al taglio.

Nella prima lettura, infatti, Pd e Leu erano all’opposizione e avevano votato contro. Il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, ha garantito l’appoggio al taglio dei parlamentari, ma lo ha vincolato all’approvazione in tempi veloci di una nuova legge elettorale e della modifica dei regolamenti di Camera e Senato.

Nell’ottobre 2019, quindi, la Camera ha approvato definitivamente la legge costituzionale con il Sì quasi unanime e solo 14 voti contrari. Immediatamente, però, è partita la raccolta delle firme necessarie per proporre il referendum.

I promotori dell’iniziativa sono stati i senatori Tommaso Nannicini del Pd, Andrea Cangini e Nazario Pagano di Forza italia e il 10 gennaio 2020 hanno depositato in Cassazione le 71 firme di parlamentari necessarie per attivare l’iter referendario.

Tra i firmatari, figurano esponenti della maggior parte delle forze politiche presenti in Parlamento. L’unico a non aver contribuito con nemmeno una firma è il gruppo di Fratelli d’Italia.

Inizialmente, il referendum era stato fissato per il 29 marzo, ma l’emergenza Covid ha fatto slittare la data al 20 e 21 settembre. Per quanto riguarda le intenzioni di voto, i sondaggi più recenti danno il Sì in grande vantaggio, attorno al 70 per cento, ma con una ampia percentuale (20%) di indecisi e un altra fetta che non è a conoscenza che si terrà il referendum.

I risparmi per lo Stato

Ogni anno lo stato spende 230 mila euro per ogni deputato. Riducendo di 230 eletti, il risparmio potenziale è di 52,9 milioni di euro l’anno, a fronte di una attuale spesa complessiva per il funzionamento della Camera dei deputati di 943 milioni di euro circa.

A Palazzo Madama il costo è di 249 mila euro l’anno per ogni senatore, dunque il risparmio con il taglio di 115 membri è di circa 28,7 milioni di euro l’anno. Annualmente, il bilancio complessivo di Palazzo Madama ammonta a circa 540 milioni di euro.

Sempre stando ai bilanci, che comprendono tutte le voci di spesa per il funzionamento delle due camere, il taglio degli eletti permette di risparmiare il 5,5 per cento delle spese totali di Montecitorio e del 5,4 per cento di quelle di Palazzo Madama. In totale, il risparmio effettivo annuo che si otterrà con la riduzione del numero dei parlamentari ammonta a circa 80 milioni di euro.

Camere e rappresentanza dei cittadini

Oggi il rapporto tra eletti nei due rami del Parlamento e cittadini – sono circa 60 milioni, secondo i dati del ministero dell’Interno – è in media di uno ogni 63 mila persone. Riducendo a 600 i parlamentari, il rapporto diminuisce a uno ogni 101 mila. In questo modo, secondo un dossier della Camera, il numero di deputati ogni 100 mila abitanti scende a 0,7.

Cambierà anche la ripartizione sul territorio del numero di eletti. Rispetto a oggi, i parlamentari espressi da ciascuna regione si ridurranno in media di oltre di un terzo. Eccezioni fanno i casi di Basilicata e Umbria, dove i senatori vengono più che dimezzati e gli eletti nelle due regioni passano da 7 a 3.

L’elemento determinante per valutare l’impatto del taglio, però, sarà la nuova legge elettorale, che – secondo la bozza ancora ferma in commissione Affari costituzionali della Camera – dovrebbe eliminare tutti i collegi uninominali e suddividere tutto il territorio nazionale in collegi plurinominali, di dimensioni maggiori rispetto a quelli previsti ora.

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