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Giornalista di bergamo

Cristiano Gatti a Briatore: “Consiglio da uno sfigato, quando uscirà di lì si metta la mascherina”

"Nessuno vince e nessuno perde, in questa storia. Il virus è andato dritto per la sua strada, facendo strage senza criteri classisti, infierendo ora sui più disarmati: non gli anziani delle Rsa, ma gli idioti della bella vita, ammucchiati soprattutto in Sardegna"

Cristiano Gatti*, giornalista e scrittore di Bergamo, rivolge una lettera a Flavio Briatore, ricoverato all’ospedale San Raffaele di Milano dopo avere contratto il Covid-19. Nei giorni scorsi l’imprenditore, 70 anni, ha portato avanti una dura polemica contro il governo e il sindaco di Arzachena, Roberto Ragnedda, riguardo alle ordinanze di chiusura delle discoteche, compreso il suo Billionaire di Porto Cervo: tra i dipendenti del locale, sono risultati infetti 63 dipendenti. Qui di seguito il testo pubblicato su ‘@ltroPensiero Libere idee sul mondo d’oggi’.

La lettera

Signor Briatore, glielo dico subito, inutile girarci tanto attorno, sono uno di quelli che nei vostri giri billionari definireste con ghigno di disprezzo poveri sfigati. Sono un perdente. Uno che dunque nei mesi del Covid furibondo è vissuto nell’angoscia, davanti a tutti quei morti prossimi o distanti, ma che anche adesso, in questi mesi di relativo sollievo, non ha smesso un attimo di temere, prendere precauzioni, mettersi la mascherina, evitare ammucchiate. Magari è vero che il peggio è passato, ma nel dubbio meglio uno scrupolo in più: con uno scrupolo in meno, si vede poi cosa succede.

Non tema: noi perdenti non viviamo di vittorie e sconfitte, non vediamo la vita come un campo di gara, competizione e agonismo non ci interessano molto. Abbiamo un’idea tutta particolare del successo, inutile star qui adesso a farla lunga su questo. Per cui, a questo punto, non cadiamo facilmente nella tentazione di ridere della sua disgrazia, meglio, della sua storica figuraccia, come un Johnson in sedicesimo, prima tracotante davanti al virus e ai fifoni come noi, poi ricoverato in ospedale, nel suo caso sotto le premurose cure dell’amico Zangrillo, un altro del giro stupendo che non ne può più di noi perdenti.

No, non ridiamo del suo ricovero. Il rispetto, prima di tutto. Non so se questa parola le dice qualcosa. Neppure siamo qui a recitarle proverbi in serie, ben le sta, chi è causa del suo mal pianga se stesso, eccetera eccetera. Il libro dei luoghi comuni non lo apriamo nemmeno per lei. Tanto meno ci passa per la testa di coltivare sotto sotto un meschinissimo senso di rivincita, dopo averla ascoltata tutta l’estate con i suoi berci da imprenditore perseguitato. Non riusciremmo a godere del suo ricovero anche solo per un motivo semplicissimo: assieme a lei, teorico dei negazionisti, risultano malate decine e decine di incolpevoli lavoratori del suo locale, costretti a pagare il clima allegro e provocatoriamente trullalero, senza quelle noiosissime e paranoiche precauzioni di noialtri sfigati, che lei da gran califfo ha instaurato nel suo regno di lustrini e bollicine.

Niente, nessuno vince e nessuno perde, in questa storia. Diciamo soltanto che il virus, come con Johnson e con tanti altri bullisti della prima ora, non guarda in faccia a nessuno. Saltando tutte le nostre fisime umane, è andato diritto per la sua strada, facendo strage senza criteri classisti, infettando chiunque gli capitasse a tiro, recentemente infierendo sui più disarmati di ultima generazione, che non sono gli anziani delle Rsa, ma gli idioti della bella vita, ammucchiati soprattutto in Sardegna.

È un fatto, non una malignità: tutte le foto che voi del bel mondo, calciatori per primi, avete mandato in giro sui social per documentare quanto foste liberi e felici, senza mascherine, senza paura, senza paranoie, tra un torneo di padel e una partitella di calcetto, tra un brindisi all’happy-hour e quattro salti al Billionaire, tutte queste foto da beati impuniti si stanno tramutando in una Spoon River del nuovo contagio, a dimostrazione di come tutto sommato questa epidemia non sia poi così passata, come andate dicendo seccatissimi a ruota di Salvini.

No, signor Briatore: come lei può testimoniare personalmente, non è passato proprio un bel niente. Il Covid non è archiviato in una brutta pagina della nostra storia: fa parte ancora del nostro presente e tutto fa credere che farà parte pure del nostro futuro, almeno del più imminente.

Per cui, senza offesa, accetti almeno questo, da noi perdenti e sfigati: quando uscirà da lì, si metta la mascherina anche lei. Sempre. Come tutti.

È vero che nel suo caso c’è un congruo investimento in lifting da tutelare, un vero peccato dover nascondere il lavoro di rifacimento, ma creda, di questi tempi è il male minore. Certo, proprio così: nella vita arriva sempre il momento in cui bisogna scegliere tra forma e sostanza. Stabilire una gerarchia, in questo caso decidere sostanzialmente se sia più importante la salute o il fatturato.

Noi perdenti e sfigati l’abbiamo scelto subito, senza neanche tanto pensarci, tanto tempo fa. Eppure, di certo questo non ci mette al riparo da niente. Tanto meno dal Covid. Dal ridicolo, però, almeno da quello, sì.

*Cristiano Gatti (1957), laureato in economia, vive a Bergamo, dove ha iniziato la sua carriera al Giornale di Bergamo. Successivamente passa al Giorno, dove diventa inviato speciale. Dal 1994 al 2015 è inviato e opinionista de Il giornale: si occupa, in particolare, di attualità, cronaca e costume. Attualmente scrive sul ‘Corriere della Sera’. Nel corso della sua carriera ha collaborato con diverse testate nazionali e locali scrivendo tre romanzi: La grande idea (2003), L’amore sublime (2005), Memo e il generale (2009) pubblicati da Prima Pagina Edizioni. Ha inoltre vinto diversi premi giornalistici.

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