Avevo prenotato i biglietti per scendere in Abruzzo a fine gennaio.
Quest’anno non mi sarei persa per nulla al mondo la Festa della Madonna della Libera.
Avrei preparato il venerdì prima della partenza il piccolo bagaglio a mano contenente il necessario per due giorni, sarei andata a scuola con regolarità quel primo sabato di maggio, avrei salutato i ragazzi e i colleghi, augurando a tutti un sereno fine settimana. Sarei uscita alle tredici e quindici, impiegando dieci minuti esatti per tornare a casa, mangiare un boccone, fare una doccia e sicuramente in ritardo sarei arrivata a Orio al Serio per prendere l’aereo delle sedici diretto a Pescara.
Quella mattina di maggio mi sono svegliata nel mio appartamento, ho preparato il caffè è non sono andata a scuola. Ho acceso il computer in cucina, ho riordinato gli appunti e gli schemi, controllato che tutti i compiti di terza fossero stati caricati correttamente su classroom. Alle dieci, puntuale, ho fatto la mia lezione di storia di un’ora, sì nella mia cucina, con le pantofole ancora ai piedi.
Terminate le faccende lavorative apro facebook: ecco c’è la diretta della Festa della Madonna della Libera e decido di proiettarla sulla televisione. Un piccolo coro fatto di poche persone intonano timidamente il canto a Maria. Così la tecnologia, che in questi mesi ci è scivolata tra le mani prepotentemente, divenendo unica via d’uscita, quel giorno mi ha fatto tornare in Abruzzo.
Ho chiuso gli occhi e tutto era così chiaro e sincero. Dalla tapparella della cameretta si intravedeva il sole di maggio. Le lenzuola stropicciate a terra era segno che il caldo era arrivato, così come erano arrivate le feste patronali. La banda era lontana, ma già in viaggio per il paese. Apro la finestra e mia madre è in giardino e frettolosa nello stendere il bucato mi dice “alla buon’ora. ‘U vu ‘o cafè?”.
A svegliarmi era il profumo del caffè di mamma, un vento tiepido mi abbracciava e rimanevo in pigiama lì, su quella finestra, ad aspettare la banda, ad aspettare la festa. Trombe e tamburi portavano a spasso il gonfalone di San Venanzio e appresso “u bastian”, così si chiama in paese, l’uomo che conduce la banda per la questa mattutina. Quelle note impresse nella memoria le ripeto sotto voce mentre giro lo zucchero nella tazzina, e sento mio padre che dice “Valentì ecco ora fanno Squinzano”.
La banda in Abruzzo è una cosa seria. Almeno un componente di ogni famiglia suona a una o a più bande e io, come mio padre, ne facevo parte. La banda in Abruzzo non è solo manifestazione e rappresentanza del folklore religioso, ma rappresenta la vita povera, sacrificata che non tradisce l’essenza della vita stessa, quella di essere vissuta nella sua semplicità.
Contadini, artigiani, studenti, pastori e pure qualche professore: sono questi i componenti delle bande di paese, e ognuno di loro attende per un anno intero le feste di maggio.
In quel pomeriggio un’altra festa mi attendeva, quella della Madonna della Libera. La camicia con la divisa era stirata sulla sedia, dovevo pulire le scarpe nere e dovevo assolutamente ricordarmi di prendere le ance nuove per il clarinetto. La piazza, gremita di gente, dall’alto sembrava un formicaio in festa, gli archi di luci sembravano occhi accesi sul paese di Pratola Peligna.
“Evviva la Madonna della Libera. Sempre Viva”. Oro e gioielli appesi alle vesti della Madonna riluccicano al sole, tante bande quanta la venerazione che ogni pratolano sente dentro di sé. Durante la processione venivo distratta da un ricordo, un aneddoto che mio padre mi raccontò tanti anni fa, di quando l’oro alla Madonna era stato rubato e la gente di Pratola, nel giro di qualche ora, aveva ridato alla Madonna i voti trafugati, le preghiere e le speranze di un paese intero e piena di oro aveva ripercorso le strade del paese. Le bancarelle attaccate alle case erano un tripudio di profumi, i bambini compravano i palloncini e i pesci rossi, si vendeva lo zucchero filato e la porchetta calda. Gente che non si salutava si sarebbe risalutata, perché i legami tra le persone nel paese sono una categoria eterna. Le donne con le messe in piega e gli uomini con i vestiti nuovi parlano di dignità e sincerità.
La sera, dopo la lunga processione e il concerto finale, la banda accompagnava il paese a vedere i fuochi d’artificio, con quel cielo quasi orientale, si adora la Madonna della Libera e ci si sente tutti pratolani, ci si sente tutti immensamente abruzzesi. E questo è una parte fondamentale in ognuno di noi, sentirsi entità e questa entità e la terra stessa in cui si è nati.
Apro gli occhi e sono a Bergamo, la diretta è finita. Mentre riordino i libri penso che infondo, questa pandemia, non ci ha privato del tutto della bellezza folklorica dell’Italia, delle feste di paese, delle bande in piazza e dei pellegrinaggi votivi, perché negli anni futuri dai balconi dell’entroterra abruzzese, la prima domenica di maggio, sarebbero volate rose e bigliettini augurali, la Madonna avrebbe percorso nuovamente le strade del paese e la gente si sarebbe abbracciata per la contentezza.
Valentina Petrilli è una giovane docente di lingua italiana in una scuola bergamasca. È abruzzese e ha terminato gli studi all’Università di Bergamo. Ha scelto di vivere e lavorare in Bergamasca. È parte della famiglia di Bergamonews, dove ha svolto uno stage.
Durante il periodo del lockdown siamo sempre rimasti in contatto e memorabili furono gli arrostici abruzzesi preparati sul terrazzo di casa a Bergamo, accompagnati da diverse bontà che arrivavano puntuali ogni settimana con “il pacco da giù”.
In queste settimane Valentina sta trascorrendo le vacanze in Abruzzo e a lei abbiamo chiesto di raccontarci questa estate dopo il lockdown. Quel desiderio di tornare alle proprie origini esploso nella reclusione per evitare la pandemia. Questo è il suo terzo “pezzo da giù”.
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