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L'intervento

Savino Pezzotta: “Con Romiti confronto duro, che in fondo ha aiutato a riformare il sindacato”

Savino Pezzotta, che è stato segretario generale nazionale della Cisl dopo una lunga militanza nel sindacato bergamasco e lombardo, ricorda lo storico dirigente Fiat spentosi a 97 anni

Già parlamentare, Savino Pezzotta, che è stato segretario generale nazionale della Cisl dopo una lunga militanza nel sindacato bergamasco e lombardo, ricorda lo storico dirigente Fiat Cesare Romiti, spentosi a 97 anni martedì (leggi).  

Non è facile per me ricordare la figura di Cesare Romiti, persona che ha rappresentato la controparte nel confronto sindacale.

Sicuramente è stato uno dei personaggi principali della storia industriale del nostro Paese, ma anche un fiero critico del sindacato. Non ho mai avuto la sensazione, anche nei momenti duri dello scontro, che lui fosse contro il sindacato, di certo non accettava alcune derive populiste ed eccessivamente classiste che di tanto in tanto emergevano nel sindacato italiano. Ne poteva accogliere, anche se gli poteva essere utile, il rafforzamento burocratico, oserei dire oligarchico, delle organizzazioni dei lavoratori. Da buon liberale aveva un concetto positivo della rappresentanza degli interessi e diffidava quando questa si ammantava di schemi eccessivamente politico-partitici.

Ha contrastato il sindacalismo ideologico e ha accettato le sfide di un sindacato pragmatico che faceva della rappresentanza il suo scopo e il suo fine. Sicuramente aveva assunto la lezione di Luigi Einaudi secondo il quale alle rappresentanze degli imprenditori e degli operai sarebbe spettato il compito di regolare le vertenze fra capitale e lavoro su base istituzionale creando così a un sistema di relazioni industriali sul modello dei paesi europei più avanzati.

Il rapporto tra Romiti e il Sindacato divenne estremamente dialettico nel 1980. Nel settembre 1980 la Fiat riduce la produzione e ricorre alla cassintegrazione per 18 mesi per 24mila dipendenti (quasi tutti operai). Dopo una settimana di inconcludenti trattative dovute alle rigidità imprenditoriali gestite e governate da Romiti la Fiat comunica 14.469 licenziamenti. A questa decisione dell’azienda governata e gestita da Romiti si contrappone la proclamazione dello sciopero e l’attuazione dei picchetti ai cancelli. Il 26 settembre, Enrico Berlinguer giunse dando l’impressione di essere l’unica figura capace di trovare una via di uscita.

Non fu, a mio parere, quella di Berlinguer una mossa appropriata, anzi contribuì a politicizzare lo scontro e a creare molte titubanze tra i lavoratori, molte furono le critiche di Cisl, Uil che interpretarono la presenza di Berlinguer come un’abile manovra per intestarsi la vertenza

All’interno di quel conflitto, che ebbe anche importanti riflessi politici, si sviluppò quella passata alla storia come la marcia dei quarantamila che porta in manifestazione i quadri Fiat e modifica i rapporti di forza. Una iniziativa di cui credo Romiti non fosse del tutto estraneo e che spinse i sindacati a profonde e significative riflessioni e a superare il concetto di conflittualità permanente e a rivalutare la negoziazione, ovvero lo strumento principe del fare sindacato e di equilibrio tra gli interessi aziendali e quelli dei lavoratori.

Romiti assumerà sempre più potere all’interno della Fiat determinando la strategia di quagli anni e che oggi possiamo valutare non del tutto positiva e che influenzerà, di conseguenza, l’intero sistema industriale italiano.

Sul finire degli anni ’90 lascerà la Fiat e si impegnerà in Gemina che controlla, attraverso Rizzoli, il Corriere della sera. Poi sarà presente nella società di costruzioni Impregilo e nel patto di sindacato degli Aeroporti di Roma da cui la sua famiglia verrà successivamente estromessa .

Credo che Romiti abbia rappresentato una fase del nostro capitalismo, anche se non certo quella che potremmo definire la migliore.

Fu sempre attento a quello che si muoveva sullo scenario politico e sindacale, rispettoso mai accomodante e molte volte utilmente provocatore. Questo suo rigore, quella che allora pensavo fosse caparbietà e arroganza, di certo contribuì, in maniera indiretta, al formarsi di una cultura realistica e riformatrice del sindacalismo. Perché il coraggio delle proprie posizioni e non accettare il compromesso e l’adeguamento conformistico sviluppa una dialettica costruttiva in cui la negazione entra a far parte dell’affermazione.

Sicuramente la marcia dei quarantamila di Torino aveva un tratto antisindacale, ma contribuì al formarsi della strategia sindacale degli anni 80 e 90 e che trovò il suo culmine nel disegno concertativo.

Sono convinto che ancora oggi il confronto tra le parti sociali e politiche stia alla base della democrazia. Il parlare e il confrontarsi sono aspetti fondamentali della vita sociale e politica. La chiarezza delle posizioni anche contrastanti permette di conoscere la diversità degli interessi e dei fini che si agitano nella sfera comune. A me sembra che oggi il confronto si sia trasformato, anche a causa delle nuove tecnologie comunicative, in chiacchiera e in slogan. L’uso smodato dei messaggini Twitter di cui la politica fa un uso esagerato porta a un prendere e lasciare che non porta a sintesi.

Il ricordare, nella dura situazione emergenziale che stiamo vivendo, i leali e duri confronti di cui Romiti è certamente stato uno dei protagonisti, può aiutarci a comprendere l’utilità e quanta bellezza vi sia nel confronto e nel dialogo aperto e senza mistificazioni o mascheramenti e di come le idee avverse possono aiutare a migliorare le tue. Queste modalità di rapporto dovrebbero sempre valere nel confronto sociale, sindacale e politico Una dimensione dialettica per sua logica interiore è sempre in grado di produrre qualche inglobamento dei contrari, utile a tutte le parti in causa. Ma purtroppo non mi sembra sia quello che sta succedendo oggi nel nostro scenario politico e sindacale.

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