Sostiene Pereira di aver sentito parlare per la prima volta di una città del nord Italia, Bergamo, e della sua squadra in un giorno d’estate. Una magnifica giornata d’estate, soleggiata e ventilata. Lisbona sfavillava. Pare che Pereira stesse in redazione, non sapeva che fare, il direttore era in ferie, lui si trovava nell’imbarazzo di mettere su la pagina sportiva, perché il “Lisboa” aveva ormai una pagina sportiva e l’avevano affidata a lui.
Sostiene Pereira che gli fossero giunte voci. In quella città lontana del nord Italia gli appassionati di football avrebbero voluto essere tutti lì, allo stadio da Luz per vedere la loro squadra, l’Atalanta, tentar di entrare nell’Olimpo delle squadre più blasonate della vecchia Europa. Ma no. Non si poteva. C’era questo fatto, sì, la pandemia (si dice così anche in Italia?) che lo impediva.
Sostiene Pereira che giunsero voci di tifosi che ormai da tre giorni non mangiavano e non dormivano dall’ansia per la partita del 12 agosto.
Sostiene Pereira che, dopo una omelette innaffiata da una limonata nel primo pomeriggio, consultò qualche informazione su Bergamo e la pandemìa. E realizzò che tra i due argomenti c’era una stretta correlazione. Troppo stretta. Impastata di dolore e di coraggio.
Sostiene Pereira di essersi seduto davanti alla tastiera della vecchia macchina da scrivere e di aver attaccato il pezzo così: “Oggi nella nostra città gioca l’Atalanta, la squadra di questa graziosa cittadina, Bergamo, contro una famosa squadra di Parigi. Speriamo che vinca. Questa piccola città merita di lenire le proprie ferite. E a cosa serve il football se non a questo?”
Guardò il foglio soddisfatto dell’attacco e si disse: “Sì è proprio così. Un bell’auspicio davvero”. E si bevve un’altra limonata.
commenta