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Lettere

L'appello

Contagi under 20: cari ragazzi, siate responsabili, non sentitevi invincibili

La lettera di un sessantenne consapevole della differenza di approccio tra se stesso e i giovani

È ormai un dato di fatto: la curva dei contagi risale e la tanto temuta seconda ondata, prevista per l’autunno, ha anticipato la sua comparsa. Già molto è stato scritto e detto sulle cause di ciò che sta accadendo in questi giorni; non vorrei pertanto aggiungere altro a questo proposito, ma piuttosto fare un passo indietro e ricordare, soprattutto ai più giovani, come abbiamo vissuto, noi che non lo siamo più, la nostra vita, e come ciò abbia influito con il nostro approccio al Covid19, per poi fare loro un accorato appello.

Sappiamo quanto la generazione a cui appartengo, cosiddetta dei “baby boomers”, è stata particolarmente colpita dalla pandemia, in termine di vittime certo, ma non solo. Per capire meglio ciò che voglio dire, è necessario ricordare un po’ di storia, che accomuna molte delle persone ultrasessantenni. A quei tempi esistevano molti stimoli culturali, che si incarnavano anche nella lotta per i diritti civili e il pacifismo; ci accompagnava uno spirito di meraviglia che ci dava forza per esprimere le potenzialità insite in noi che, attraverso ideali condivisi, ci permetteva di vedere un futuro di pace e benessere.

Permanevano ancora tensioni a livello sociale (come dimenticare gli anni di piombo?), ma l’etica del lavoro e le suddette condizioni, fecero dimenticare presto le difficoltà, permettendo anche di crescere i figli in relativa abbondanza. Si viveva in pace o, quantomeno, le guerre non ci appartenevano perché lontane geograficamente o, quando vicine, non ci toccavano direttamente; lo stesso valga per gli eventi catastrofali che, al più, ci toccavano emotivamente per un breve lasso di tempo. Decenni vissuti quindi senza l’angoscia della fame o della paura di essere coinvolti in qualcosa di terribile: una generazione di privilegiati.

Sport, cultura, viaggi, salute erano le nostre priorità dato che ce le potevamo permettere e, allo stesso tempo, contribuivamo a costruire una società civile migliore.

Nel ricordare i giorni di piena emergenza, così angoscianti, fra febbraio e aprile, tempi avvolti da un silenzio fitto di inquietudine, lacerato da dolorosi suoni e da echi mesti, mi ritrovo così a pensare a quanta fortuna abbiamo avuto a nascere in quegli anni. Già da tempo pensavo che certe condizioni fossero irripetibili e come i giovani d’oggi devono, e dovranno ancor di più in futuro, crescere invece in un mondo devastato non solo dal punto di vista ambientale, economico e sociale, ma anche pieno di difficoltà a noi quasi sconosciute.

Nessuno è mai pronto ad affrontare questi problemi, ma chi ha vissuto per decenni dove non esisteva, in generale, una cultura del rischio, forse sente ancor di più questa distonia fra la propria esistenza passata e ciò che accade ora.

Osservando quindi la questione da un punto di vista generazionale, con lo sguardo di chi, come me, ha vissuto immerso in una cultura narcisistica e di abbondanti stimoli (la prima ben presente anche nei giovani, la seconda quasi assente), ritengo che con la maturità si sia sviluppata la capacità di affrontare ed elaborare rischi di questo genere. Cosicché quando ci siamo trovati di fronte al primo vero pericolo esogeno della nostra vita, diventandone le prime vittime, ci siamo anche resi consapevoli delle profonde ferite che ciò avrebbe lasciato dietro di sé, sia dal punto di vista sanitario, sia dal punto di vista umanitario.

Penso che un’ulteriore complicazione per le nuove generazioni per riuscire a elaborare questi drammatici momenti e porre maggiore attenzioné affinchè non si ripetano, risieda nel fatto che loro sono convinti di avere già tutte le risposte a disposizione. Eppure la tragedia attuale non permette nemmeno di porre le domande giuste. Gli anziani portatori dell’antica arte della memoria hanno almeno la possibilità di accedervi e tornare almeno coi ricordi al mondo migliore che avevano immaginato e in parte vissuto.

Sottolineando quindi le evidenti differenze esistenti fra i due mondi (ovviamente generalizzando), vorrei rivolgermi ai giovani d’oggi, a coloro che, a quanto sembra dalle prime indagini epidemiologiche, stanno aiutando con i loro comportamenti non rispettosi delle norme la diffusione del Covid19, invitandoli a comportarsi da responsabili. Il virus è vivo. Si trasmette ancora con relativa facilità. Non sentitevi invincibili, eroi immortali dell’epos della gioventù.

In conclusione, temo che quello che sta accadendo sia solo l’ultima goccia che ci porterà a vivere in un mondo inimmaginabile fino a pochi anni fa, con implicazioni sociali, politiche, ambientali ed economiche drammatiche. Ci attendono quindi sfide interdipendenti, che potranno essere vinte solo se le nuove generazioni ritroveranno i nostri sogni. E leader mondiali capaci di renderli reali.

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