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L'intervista

Zona rossa, Marinoni: “Un errore non istituirla, avrebbe potuto salvare molte vite”

Il dottor Guido Marinoni, presidente dell'Ordine dei Medici di Bergamo, commenta la mancata chiusura di Nembro e Alzano Lombardo per contrastare l'epidemia da Covid-19

“Non istituire la zona rossa è stato un errore: avrebbe potuto aiutare a contenere l’infezione e forse a salvare vite”. Così il dottor Guido Marinoni, presidente dell’Ordine dei Medici di Bergamo, commenta la mancata chiusura di Nembro e Alzano Lombardo per contrastare l’epidemia da Covid-19.

Lo abbiamo intervistato chiedendogli un parere su quanto emerso dai verbali del Comitato tecnico-scientifico che furono alla base delle decisioni del Governo dall’inizio dell’emergenza sanitaria.

I verbali sulla zona rossa l’hanno sorpreso?

No, perchè contengono le cose che dicevano tutti. Ognuno di noi ricorderà l’arrivo dei mezzi militari, tutti davano per scontato che venisse istituita la zona rossa e che avrebbe riguardato Nembro, Alzano e – si diceva – anche Albino. Tutti avevano la percezione che in quest’area della Valle Seriana stesse succedendo qualcosa di diverso rispetto al resto della provincia di Bergamo.

Erano i giorni in cui circolavano le fotografie dei militari pronti a chiudere Alzano e Nembro

Certo. La percezione che la situazione in questi paesi fosse differente rispetto al resto della provincia era diffusa tra i medici ma anche fra i cittadini. Si notava che non era la stessa anche semplicemente recandosi nella Bassa o nella città di Bergamo: era evidente che in quei paesi l’incidenza dell’epidemia era maggiore. I risultati dei test sierologici eseguiti da Ats ne hanno dato conferma: a Bergamo era il 24% e oltre il 42% nella Bassa Valseriana. In quel momento, quando non eravamo all’inizio ma non ci trovavamo ancora in una fase avanzata dell’epidemia, istituire la zona rossa avrebbe portato qualche risultato.

Ci spieghi

Col senno di poi, secondo me nessuno può dire quale sarebbe stato il risultato ma l’evidenza conferma che si tratta di un’osservazione ragionevole: se, per esempio, anzichè 6mila i morti fossero stati 5.800, adesso avremmo 200 persone ancora vive. Non voglio arrivare a delle conclusioni ma tutto quello che era possibile fare andava fatto e l’istituzione della zona rossa era una decisione che si sarebbe potuto prendere – non so con quali risultati – ma non è stato così. Forse si sarebbe potuto risparmiare vite umane e forse sarebbe diminuita la diffusione del virus fuori dalla zona rossa.

C’è chi sostiene che sarebbe stato comunque tardi: lei cosa ne pensa?

Il Covid è una malattia che nella stragrande maggioranza dei pazienti non comporta forme gravi: se, guardando agli esiti dei test sierologici, con una stima grossolana si può calcolare che nella provincia di Bergamo lo hanno contratto circa 300mila persone e i morti sono stati 6mila, la letalità non risulta elevata. Nel complesso, considerando che i casi gravi sono relativamente pochi, per averne di più è necessario che ci siano tante persone positive e bloccare un’area ad elevato contagio permette di contrastare l’epidemia anche se circolano alcuni infetti. È quello che sta succedendo anche ora.

Cioè?

Stanno circolando persone positive ma non sono così tante da poter determinare molti casi gravi. Nessuno può dire se istituire la zona rossa avrebbe cambiato il corso dell’epidemia, ma è certo che l’area della Bassa Valseriana era molto infetta mentre quella fuori molto meno: chiudendola magari si sarebbe riusciti a ridurre almeno in parte i contagi e ad attuare nel resto della provincia una politica di tracciamento e isolamento come si sta facendo ora avendo pochi infettati.

E quali sono secondo lei le “colpe” della politica?

Mi sono sempre rifiutato di parlare di colpe perchè in una situazione drammatica come questa diventa arduo e poi ci sono i magistrati, quindi me ne guarderei bene. È diverso, invece, parlare di errori: non chiudere Alzano e Nembro è stato certamente uno sbaglio. Al di là di quelle che sarebbero state le conseguenze e i risultati, valutato col senno di poi è evidente che è stato un errore.

Gli errori sono stati commessi a livello nazionale e/o regionale?

Non voglio entrare nel merito di chi avrebbe dovuto istituire la zona rossa: si esprimerà la magistratura e c’è un’inchiesta in corso. Penso che si parlerà a lungo di questo argomento e la trasparenza è fondamentale: secondo me tutti gli elementi e i dati dovrebbero essere pubblici.

Quindi anche i verbali del Comitato tecnico-scientifico

Certo. Che ragione c’è di tenerli secretati? Sono verbali approvati e sono pubblici: non vedo perchè debbano essere tenuti segreti. La trasparenza è essenziale specialmente quando si ragiona sugli errori: quando succede un disastro bisogna risalire alle cause e agli sbagli altrimenti si rischia di ripeterli. Ed è necessario separare l’analisi degli errori – da cui si parte per costruire il nostro futuro – da quella delle colpe altrimenti si rischia che le cose vengano confuse e strumentalizzate.

Che futuro stiamo costruendo?

Abbiamo superato la fase acuta dell’emergenza grazie al lockdown: è stato realizzato in modo più rigoroso rispetto ad altri Paesi europei e ha funzionato. Inoltre, la gente ha imparato a usare le misure di sicurezza (mascherine e distanziamento): salvo qualche eccezione, è attenta e molti indossano la mascherina nonostante attualmente non sia obbligatorio quando si è all’aperto rispettando le distanze. Se facciamo diventare questi accorgimenti parte della nostra mentalità – almeno fino a quando non ci sarà il vaccino – riusciremo a vivere in una relativa normalità.

Anche in autunno?

Siamo tutti preoccupati per l’influenza e bisogna organizzare la campagna antinfluenzale altrimenti quando si rileveranno le prime febbri si rischierà la confusione. La vaccinazione è essenziale, ma se le persone indosseranno la mascherina e rispetteranno il distanziamento anche l’influenza circolerà meno. Certo, nella stagione autunnale staremo maggiormente negli ambienti chiusi, ci saranno comunque gli altri virus e saremo reduci dall’estate che ci è sembrata tranquilla ma non dobbiamo lasciarci andare altrimenti siamo nei guai. C’è chi dice che siamo preparati ma le criticità sono ancora le stesse.

In che senso?

Ci sono alcuni farmaci per curare le forme più gravi ma non per cambiare l’andamento di un’epidemia. Stiamo attenti ai casi, li isoliamo e li tracciamo ma perchè sono pochi: se tornassero numerosi le forze del sistema sanitario sono ancora quelle di prima. C’è il piano per le rianimazioni con i posti emergenziali che dovrebbero essere facilmente riattivati ma sul territorio abbiamo problemi strutturali ed è difficile risolverli in qualche mese avendo il retaggio di dieci anni di incuria.

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