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Il punto

Intesa-Ubi, l’Opas che ha spaccato i patti e lasciato diversi cocci

L’operazione è andata in porto solamente per il rilancio cash da parte di Intesa.

Con la diffusione dei risultati dell’Ops lanciata da Intesa, diventata poi tecnicamente Opas per l’apporto decisivo da parte dell’offerente del premio in denaro, si chiude il primo atto di una battaglia durata cinque mesi senza esclusione di colpi tra Intesa e Ubi.

Il tempo, come dopo tutte le guerre, ci dirà quali e quanti rimarranno sul campo, tra manager e clienti del gruppo Ubi.

Il risultato finale con 1.031.956.527 azioni di Ubi scambiate (di queste 166.191.819 nell’ultima giornata), alla sera del 30 luglio, definito provvisorio pari al 90,1835% del capitale sociale, (sarà comunicato come definitivo entro le 7,59 del 4 agosto) sgombera il campo da ogni ulteriore considerazione.

Rimangono i cocci, ma quali?

Soprattutto in terra bergamasca la gente comune fatica a comprendere che la Popolare non ci sarà più, nemmeno a livello di insegna.
Di fatto le prime affermazioni del Ceo di Intesa Carlo Messina a poche ore dall’annuncio furono fin troppo chiare: “L’insegna Ubi scomparirà, come è accaduto a Cariplo, Comit, alle Venete”. Quindi niente illusioni per i vecchi azionisti e clienti.

Una operazione a gamba tesa da parte di Intesa, anche per la tempistica, nata a sorpresa per Ubi che fino al momento dell’annuncio si era sempre considerata cacciatrice, per svegliarsi improvvisamente preda, costretta fin da subito a ripensare al primo errore di fondo: considerarsi terzo polo bancario del paese senza mai arrivare alla conclusione del progetto per esserlo.

E qui l’Antitrust non individua ciò che Ubi rivendica, Intesa intende sbarazzarsi di un concorrente.
Secondo errore quel troppo piacersi, prima Popolare a diventare Spa, con la convinzione rispetto ad altre ex-consorelle di avere un azionariato stabile e forte.

Sarà poi così? Non proprio alla luce dei recenti capovolgimenti di pensiero di molti azionisti targati come “forti” ma poco solidali di fronte al rilancio cash da parte di Intesa.

Bisogna ritornare all’autunno del 2019 per dare una spiegazione al processo che stava maturando, da un lato muoveva i primi passi il Car, (19 settembre 2019) niente altro che un nascente patto di sindacato chiamato Comitato Azionisti di Riferimento a forte trazione industriale, ma bergamasca e con il solo Beretta con la carta d’identità oltre il fiume Oglio.

Di fatto si rompono i fragili equilibri su cui regge la “governance” di Ubi.

A Brescia i mugugni non sono rimasti tali, come scopriremo fin dalle prime avvisaglie e soprattutto considerazioni degli avvenimenti a cui abbiamo assistito in tre settimane di Opas.

E se questi malumori fossero arrivati fino a Bazoli, Presidente seppur Onorario proprio di Intesa, sua geniale creatura?

La seconda di queste considerazioni porta Ubi in terra d’Emilia, lo svela Bper nella relazione all’Antitrust. Fu Massiah dopo una serie di incontri a lasciare il tavolo delle trattative come sembrerebbe leggendo le 60 pagine della relazione dell’Antitrust, l’unico organo istituzionale che ha creato qualche intoppo al procedere, non certo Bce e Banca d’Italia che in nome del facile teorema “viva viva le aggregazioni e a qualsiasi costo” hanno subito dato l’ok.

Di sicuro una operazione nata ostile e non concordata, un tempo non veniva autorizzata da Banca d’Italia.

In conclusione l’operazione è andata in porto solo per il rilancio cash da parte di Intesa.
Alla prova dei fatti i patti parasociali a cosa servono? Considerati forti si sono sgretolati con un effetto domino non indifferente per l’azionariato retail.

Le due Fondazioni, specie quella di Pavia, di fronte al rilancio cash non avevano giustificazioni da dare al proprio elettorato per insistere per il no.

Le antiche e mai sopite diversità di opinioni tra azionisti bresciani e bergamaschi sono riesplose e hanno pesato non poco. Basti pensare al lungo rinvio delle decisioni da parte di Polotti e compagni. Quando in Ubi i calcoli ottimisti facevano 28/30 per cento di contrari (19% Car – 8% Patto di Brescia – 1,6% Patto dei Mille).

Massiah non spiega la rinuncia a Bper. Qualcuno la riconduce a divergenze all’interno dei Patti. Brescia aveva già in mano l’altra opzione e per il rafforzamento di capitale in caso di accordo con Bper, c’era freddezza da parte degli azionisti bresciani? Come da Bergamo qualcuno tiene a precisare.

Sarebbe stata una operazione brillante e con potenziali non indifferenti quella tra Ubi e Bper, quasi inesistenti le sovrapposizioni che tanta preoccupazione portano per i dipendenti delle oltre 500 filiali di Ubi che finiranno sotto Bper.

E qui i toni di preoccupazione si trasformano in accuse contro il principale sindacato dei bancari: la Fabi nella vicenda ha preferito il silenzio , come del resto i parlamentari bergamaschi.

Perfino l’Atalanta avrà poco di bergamasco, come in campo anche in tribuna, sparirà la denominazione Ubi per diventare Intesa nel nuovo Gewiss Stadium, il cui patron Bosatelli guarda caso ha aderito all’Opas di Intesa.

E per Wikipedia Ubi non c’è già più: si legge “Ex Ubi Banca, a partire dal 27 luglio 2020 Ubi è parte del Gruppo Intesa Sanpaolo“.

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