E siamo arrivati alla fine degli anni Cinquanta. Nel 1959 per la prima volta la televisione affronta un compito massiccio come la riduzione dell’”Isola del tesoro” (Robert Louis Stevenson), un romanzo così fitto e che, soprattutto, si svolge all’aperto, in pieno mare e boscaglie tropicali. Non sono poche le astuzie e gli accorgimenti a cui il regista, Anton Giulio Majano, ha dovuto mettere in atto. Le principali parti della goletta, l’avventurosa Hispaniola, sono state costruite negli studi televisivi, e grazie all’avvicendarsi di scene di bordo e di inserti cinematografici con tramonti e mari in tempesta, si è riusciti a creare, per la televisione, la miglior atmosfera marinara e piratesca di cui fino ad allora si era stati capaci. Le scene di boscaglia sono state girate nei più tropicali boschi che il Lazio potesse offrire e non s’è fatto risparmio di tutti quegli effetti sonori (onde, vento ecc.) che potessero caratterizzare al massimo la vicenda.
L’impronta teatrale, determinata dalle ricostruzioni in studio e dal tipo di recitazione degli attori, contribuisce a rendere la suggestione fantastica dell’originale, grazie anche all’abilità del regista. Il successo fu grande, anche grazie al tema musicale che tutti i ragazzini, almeno quelli provvisti di televisore, cantavano: la lugubre sigla “Quindici uomini sulla cassa del morto”.
con: Alvaro Piccardi, Roldano Lupi, Giuseppe Pagliarini, Giotto Tempestini, Riccardo Cucciolla, Ivo Garrani, Vittorio Duse, Arnoldo Foà, Corrado Pani, Carla Bizzarri, Enrico Glori, Leonardo Cortese, Ubaldo Lay, Gianni Garkovic, Tullio Altamura, Enrico Urbini, Dante Biagioni, Enrico Lazzareschi, Alfredo Varelli, Guido Celano, Mirko Ellis, Massimo Pianforini, Vinicio Sofia, Renato Montalbano, Paolo Modugno.
Trasmesso dal 13 febbraio, regia e sceneggiatura: di Anton Giulio Majano, riduzione televisiva di Paolo Levi, scenografia di Carlo Cesarini da Senigallia, costumi di Giancarlo Bartolini Salimbeni.
Il dramma teatrale “Processo di famiglia“ di Diego Fabbri, arriva sul piccolo schermo il 20 febbraio, diretto da Vittorio Cottafavi e interpretato da Gianni Santuccio, Evi Maltagliati e Nando Gazzolo. La pièce racconta di una matura coppia che ha adottato da sei anni un bambino e che va in crisi quando la vera madre del piccolo, che s’è sposata, reclama per sé il piccolo. Alla lite s’aggiunge il vero padre che s’è formato una famiglia per conto suo. Il bambino mette d’accordo tutti morendo accidentalmente. Una nuova versione sarà mandata in onda nel 1968.
“I figli di Medea” è un teledramma, diretto da Anton Giulio Majano e interpretato da Enrico Maria Salerno e Alida Valli. È stato trasmesso in diretta televisiva il 9 giugno 1959 sul Programma Nazionale. Fu degno di nota perché questo originale televisivo divenne un sensazionale evento mediatico dal momento che molti telespettatori, non rendendosi conto che si trattava di una finzione, percepirono l’evento come reale, in modo analogo a quanto accaduto con la trasmissione radiofonica di Orson Welles “La guerra dei mondi” del 1938 negli Stati Uniti (a cui gli autori del programma si erano ispirati), e inondarono di telefonate il centralino di un ospedale di Torino.
La messa in onda della prima puntata dello sceneggiato, interpretato da Alida Valli, viene quindi interrotta in modo brusco per annunciare il rapimento da parte dell’attore Enrico Maria Salerno del figlio avuto dall’attrice con quest’ultimo. Il bambino necessita della somministrazione periodica di un medicinale salvavita, ma l’attore rifiuta di rivelare dove lo tiene nascosto, ottenendo in cambio di poter parlare alla televisione. Viene così chiesto ai telespettatori di telefonare al numero 696 in caso di avvistamento dell’attore in procinto di entrare in qualche abitazione per nascondere il figlio. L’attore inizia così un monologo avente come tema principale i mezzi di informazione e il loro uso distorto, monologo che viene bruscamente interrotto dall’annuncio del ritrovamento del fanciullo e dall’intervento in scena delle forze dell’ordine che arrestano l’attore. Tutto sembra tornato alla normalità, ma un nuovo collegamento in diretta si rende subito necessario poiché Enrico Maria Salerno ha estratto una pistola che teneva nascosta e minaccia ora di togliersi la vita. Riprende il monologo dell’attore verso le telecamere, che l’attore termina, addormentandosi sotto l’effetto di un sedativo somministratogli a sua insaputa nell’acqua che aveva chiesto per dissetarsi.
Tutto ciò si rivela anticipatore della televisione e dell’omologazione culturale dei tempi successivi e di tematiche controverse quali la strumentalizzazione dei mezzi di informazione, del “dolore in diretta”, così come nei reality e nei programmi con intervento del pubblico da casa, oggi tanto di moda.
“L’idiota”. Tratto dal celebre romanzo di Dostoevskij, in linea con la sua missione pedagogica, con questo sceneggiato la Rai fece conoscere al suo pubblico ancora poco alfabetizzato una delle grandi opere di cui avrebbe trovato difficoltosa la lettura. Adattato in sei puntate da Giorgio Albertazzi, che ne interpretò anche il protagonista, L’Idiota venne trasmesso dal 26 settembre al 17 ottobre. Nel ruolo del principe Myškin, appunto Albertazzi; in quello del suo alter ego passionale Rogožin, Gian Maria Volonté. Ad interpretare Nastasja Filippovna, l’oggetto del desiderio intorno a cui ruota la storia, Anna Proclemer; nei panni della bella Aglaja Epančín Anna Maria Guarnieri. Trasposizione fedele dell’opera dello scrittore russo, in cui si narra del protagonista, che benché privo di sentimenti negativi, animato solo da una sincera bontà e un’incontaminata fiducia verso il prossimo, si trova al centro di un universo in cui i personaggi agiscono in preda ai più profondi istinti umani; al loro confronto, nel corso dell’opera, l’assenza di questi istinti lo rende umanamente migliore rispetto agli altri esseri umani. Sino al finale, in cui il protagonista sembra essere tornato lo stesso “idiota” seduto nel vagone del treno.
Spesso in questi anni di televisione neonata, ci trovavamo davanti ad un’opera teatrale in presa diretta, mentre, come in quest’ultimo sceneggiato, notiamo che con il passare degli anni non solo è cresciuto il numero delle puntate, ma è cambiato anche il modo di girarle. La televisione si affranca dal teatro, creando i propri linguaggi, ma ne mantiene ancora l’impostazione: la recitazione degli attori ad esempio, ha un’impostazione ad esso fortemente debitrice. Per quanto riguarda gli spettatori invece, vi è la consapevolezza di parlare ad un pubblico ingenuo, tanto che, in apertura, viene spiegato che l’intento è quello di rappresentare un uomo completamente buono.
L’edizione televisiva del romanzo di Salvator Gotta “Ottocento” va in onda il 6 dicembre, curata da Alessandro De Stefani e diretta da Majano in cinque puntate. Un’accurata ambientazione condotta su quadri, stampe, documenti, la precisa ricostruzione dello studio e della poltrona di Cavour, e perfino dei suoi oggetti personali, ci portano direttamente nel 1859. Lo sceneggiato era stato infatti dedicato alle celebrazioni centenarie dell’Unità d’Italia e si basa sulle memorie del diplomatico piemontese Costantino Nigra, fedelissimo del Cavour. Si notino, a proposito della ricorrenza, i titoli di testa che scorrono mentre un coro intona l’inno risorgimentale. La bandiera dei tre colori. Gli interpreti sono Antonio Battistella, Lea Padovani, Sergio Fantoni e Mario Feliciani.
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