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Serial ma non troppo

“Glee”, un inno agli sfigati: è proprio questa la sua forza

A seguito della morte di Naya Rivera, è importante ricordare quella serie TV che più di tutte ha dato risalto alla vita dei ragazzi

Glee è un inno agli sfigati, agli emarginati, alle vittime del liceo. È stato così nel 2009, anno di uscita della serie e ancora oggi, nel 2020, non ha perso il suo fascino e continua ad essere un manifesto importante, un grido alla volontà di essere se stessi, nonostante i pregiudizi e le difficoltà che si possono incontrare sul proprio percorso. Ryan Murphy, regista e creatore della serie insieme a Brad Falchuk e Ian Brennan, ha saputo dare voce a personaggi ben delineati, ciascuno capace di rappresentare un aspetto di una realtà multi-sfaccettata, unendo sotto la sua direzione uno dei primi cast davvero inclusivi, che purtroppo, ancora oggi faticano ad essere la normalità.

Tutto ha inizio al liceo William McKinley, quando il professore di spagnolo Will Schuester ha il desiderio di rifondare il “Glee Club”, gruppo scolastico di ballo e canto, di cui era stato componente lui stesso da giovane e con cui aveva vinto il titolo dei regionali. Purtroppo, i suoi studenti non sembrano mostrare nessun tipo di interesse nel mettersi in ridicolo cantando e ballando davanti ai loro coetanei, tranne che per Rachel Berry, una talentuosa ma egocentrica futura diva. Oltre a lei, sembrano essere interessati al gruppo Mercedes Jones, portentosa cantante che entrerà in contrasto subito con Rachel, Kurt Hummel: ragazzo dichiaratamente gay, Artie, un bassista sulla sedia a rotelle e Tina Chang, ma il professore realizza che a questo gruppo di ragazzi serve un leader, un trascinatore. E questa figura la trova in Finn Hudson (Cory Monteith), quarterback della squadra di football della scuola e ragazzo di Quinn, la popolare capa cheerleader, il quale nonostante le prime perplessità alla fine decide di entrare a far parte di quel gruppo così stranamente assortito.

A loro, che mostrano fin da subito notevoli capacità, si aggiungeranno successivamente nuovi personaggi indimenticabili: come Noah Puckerman, atleta ribelle e le tre cheerleader Quinn, Santana (Naya Rivera) e Brittany, inviate dalla coach Sue Sylvester per spiare il suo rivale Schuester, con il quale è in forte competizione. La serie nel corso delle stagioni vede la crescita dei personaggi e il conseguente cambiamento nella composizione del glee club, per seguire anche i “veterani” nel loro tentativo di trovare la propria strada dopo il liceo.

La forza di Glee è stata quella di aver forgiato una generazione e di averla saputa rappresentare, sulla scia di Skins, uscendo dai limitanti stereotipi dello “sfigato”, del “bullo”, del “popolare” e mostrando storie, persone dietro ad ogni etichetta, scoprendo una faccia veritiera del liceo, che non è fatta solo di voti, di pomposi balli scolastici – almeno in America – ma anche una parte più “sporca”, brutta, difficile. Le ansie, le pressioni, le violenze, le incertezze verso il futuro, la volontà di capire la propria identità, di relazionarsi con la propria sessualità, con il proprio corpo, le passioni e le conseguenze quando ciò che si è non rientra negli standard. Cosa significa doversi preoccupare per il proprio futuro, per la propria famiglia e trovare nella musica e negli amici, un riparo, un rifugio. Un modo per affrontare quella giungla, che sembra non risparmiare proprio nessuno: studenti, genitori e insegnanti.

Glee ha saputo raccontare questo a una nuova generazione, mescolando cover di grandi classici e canzoni moderne, rendendo questa serie davvero unica nel suo genere. I numeri musicali diventati iconici sono molti: dalla cover della sigla Don’t stop Believing, emblema della serie, a Smooth Criminal, Umbrella e molte altre ancora, tra cui anche ritmici mash up.

Se anche voi siete cresciuti con Glee, allora sapete perfettamente il peso e il significato che la serie ha acquistato, che a cinque anni dalla sua fine, con in archivio sei stagioni e un’infinità di premi, sa ancora farci sentire accettati, accolti e in grado di fare qualsiasi cosa, anche se siamo degli sfigati.

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