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Storia

In fondo siamo nati quel 14 luglio 1789, giorno della presa della Bastiglia

Quasi tutte le rivoluzioni partirono da nobilissimi intenti e si risolsero in mostruose carneficine. Tuttavia vi è nell’animo di quei rivoluzionari un sentimento nuovo di Europa e di umanità che ne nobilita l’azione

Le date, si sa, sono spesso crocevia convenzionali, scelti per scandire, più o meno esattamente, le giravolte della storia: il 14 luglio, però, è una data che conserva una valenza particolare, forse non del tutto meritata, ma certamente degna di una riflessione supplementare rispetto ad altre ricorrenze. Perché noi, col nostro sentimento dello Stato e della comunità, con la nostra idea di democrazia e di isonomia, in fondo siamo nati in quel 14 luglio del 1789, il giorno della presa della Bastiglia.

Oggi che la fortezza simbolo dell’assolutismo più spietato non esiste più, e che nell’omonima piazza sorge la “colonne de juillet” a ricordarne l’ordalia, facciamo perfino fatica ad immaginarci quei giorni: la rivoluzione parlamentare e quella popolare, la Pallacorda e l’Assemblea Nazionale, i sanculotti e l’assalto alle prigioni: allora, però, si fece la modernità e nel sangue si prepararono i tempi nuovi. Ovvero i nostri tempi.

La Rivoluzione francese non iniziò davvero il 14 luglio e la conquista da parte del popolo della vecchia prigione, nel frattempo divenuta un pensionato militare, non fu quell’episodio di eroismo popolare che ci venne tramandato da pittori e letterati: ma questo, al di là del dato storico, conta poco: quel che davvero importa è che il 14 luglio sta a dimostrare che la tirannide si può abbattere e che gli uomini possono dotarsi di leggi uguali per tutti, basate sui diritti naturali dei cittadini e non sul privilegio e l’abuso.

Questo, credo, dobbiamo prima di tutto ricordare celebrando questa ricorrenza: non il tremendo bagno di sangue in cui degenerò la stagione rivoluzionaria, dopo il 1792, non il genocidio vandeano o la legge sul sospetto. Insomma, non dobbiamo pensare a quel che sarebbe divenuta la rivoluzione, tradendo i suoi ideali iniziali, ma vedere la tensione civile, la bramosia di giustizia che l’89 volle incarnare. In fondo, quasi tutte le rivoluzioni partirono da nobilissimi intenti e si risolsero in mostruose carneficine: e quella francese non si discosta da questo modello. Tuttavia vi è nell’animo stesso di quei rivoluzionari, un sentimento nuovo di Europa e di umanità che ne nobilita l’azione: Parigi fu l’Atene del XVIII secolo e cercò di tradurre in azioni concrete le migliori idee di libertà e di pace che l’uomo, fino ad allora, fosse riuscito ad elaborare. Idee che, per fortuna, ancora oggi sono presenti e vive: l’idea di un’umanità di uguali, affratellata nella libertà.

Se ci domandiamo cosa rimanga, oggi, di quel messaggio rivoluzionario, non possiamo che fornire una risposta ambigua, un giudizio bipolare. Da una parte, questi valori sono divenuti dogma: si sono cristallizzati e fanno parte del patrimonio genetico delle nazioni civili. Nessuno sano di mente, oggi, si sognerebbe mai di mettere in discussione concetti come la parità dinnanzi alla legge o il diritto di voto. Eppure, moltissimi concetti di diretta derivazione illuminista ancora oggi faticano a essere messi in pratica: lo stesso Illuminismo, per la verità, si perdeva spesso in circonvoluti distinguo, quando si trattava di diritti delle donne o di certe popolazioni primitive.

Ecco, noi, forse, non siamo riusciti a fare quel piccolo passo avanti che, da una democrazia illuminata, conduce a una democrazia di fatto, reale, concreta in ogni suo risvolto: non abbiamo saputo superare davvero il 1789, realizzando quel sistema di pensiero e di Stato che gli uomini dell’Assemblea Nazionale non avrebbero potuto, non si dice realizzare, ma neppure concepire, stanti i tempi.

Un mondo davvero giusto, davvero libero dalle pastoie del privilegio. Certo, oggi l’aristocrazia è un puro elemento di folklore, buono a vendere sottaceti o a ridondare da una targa d’ottone, e il clero ha perso le sue caratteristiche reazionarie: ma il Terzo Stato, l’anima della rivoluzione, si è trasformato in un’aristocrazia dai tratti ancora più assolutistici rispetto all’Ancien Règime.

Oggi comanda il dio denaro, non la dea ragione. E, in fondo, da quel punto di vista, poco o nulla è cambiato: i poveri languiscono ancora nelle banlieue delle nostre città sanificate e ordinate, come languivano nel ventre di Parigi. Così, questo 14 luglio, possa essere un’occasione per ripensare, per un minuto, alla lezione che ci viene dal passato e a quello che noi, da quella lezione, abbiamo saputo imparare: perché il nostro futuro dipende anche da questo.

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