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Il 1957, l’anno del primo vero bacio alla televisione italiana

Quell'elettrodomestico entra sempre più nelle case e il numero delle proposte aumenta. Il sovrano del feuilleton televisivo è Anton Giulio Majano

Il 1957 è un anno ricco di opere tratte da romanzi famosi. Se ne evince che dopo i primi anni di rodaggio, la televisione entra sempre più nelle case italiane (il 1956 è stato l’anno di esordio di “Lascia o Raddoppia?”, il 1957 sarà quello del “Musichiere”, trasmissioni a cui molto è dovuto in termini di sviluppo della vendita di televisori). Per inciso, ricordo che nel 1954 gli abbonati erano 24.000, cinque anni dopo si erano già venduti circa un milione di apparecchi.

11 gennaio. “Medea”, regia di Claudio Fino. Interpreti: Sarah Ferrati, Ivo Garrani, Annibale Ninci. Della tragedia greca sono stati realizzati altri due allestimenti televisivi: nel 1965 con la regia di Alexis Minotis e nel 1989 con la regia di Sepe e Shermanc e con Mariangela Melato nel ruolo di Medea e Antonio Fattorini in quello di Giasone.

Avventure e passioni dell’eroina romantica di Charlotte Brontë nella riduzione televisiva di “Jane Eyre”, con la regia di Majano che firma anche la sceneggiatura. Ilaria Occhini, Raf Vallone e Ubaldo Lay ne sono i protagonisti. Da sottolineare le musiche di Riz Ortolani, che entrano spesso violentemente nella trama, così come vuole il regista. Si ricordano anche alcune scene madri strappalacrime.

Tratto dal romanzo di Feuillet, “Il romanzo di un giovane povero” e adattato per la televisione da Carlo Pensa, viene trasmesso il 27 aprile diretto da Silverio Blasi. Interpretato da Paolo Carlini (che ottiene in quell’anno il Microfono d’Argento come attore più popolare della TV) e da Lea Padovani, Evi Maltagliati, Franco Volpi. Questa rappresentazione passerà alla storia per un lungo bacio appassionato tra i due protagonisti, in quanto fu il primo, vero bacio della televisione italiana.

Il 21 giugno D’Anza propone in televisione la versione teatrale de “La signora delle camelie”, noto romanzo autobiografico di Alexandre Dumas figlio (1848), ispirato a una sua tormentata storia d’amore. La signora delle camelie (Margherita Gauthier), è interpretata dalla eccellente Lea Padovani, mentre il giovane innamorato (Armando) ha il volto di Tino Carraro (un po’ troppo anziano per il ruolo, invero). La televisione offre comunque la possibilità di conoscere un’opera che segnò il trionfo della commedia di costume.

Dopo aver trasmesso “Ma non è una cosa seria”, una commedia pirandelliana in tre atti (poi trasmessa in altre versioni nel 1961, 1964, 1983), con Santucci, Lillo, Tofano, Torrieri Oppi, regia di D’Anza e successivamente “A casa per le sette”, un dramma dello scrittore Robert Sheriff (con Maltagliati, Volpi, Jotta, Ninchi, Alegiani, regia di Fino). Il 21 settembre va in onda “Orgoglio e pregiudizio”, tratto dal noto romanzo di Jane Austen. Diretto da D’Anza; si svolge in cinque puntate con Franco Volpi e Virna Lisa nel ruolo dei due innamorati che, come sappiamo, per differenze di carattere e l’orgoglio di lui si allontaneranno per poi incontrarsi anni dopo

Il 26 ottobre il sesto sceneggiato prodotto dalla televisione, ma il primo tratto da un romanzo italiano: “Piccolo mondo antico”. Il regista, Silverio Blasi cerca il massimo della fedeltà narrativa, stilistica e tonale creando uno spettacolo aderente allo spirito del racconto, puntualmente sottolineato dalle parole di Antonio Fogazzaro. Le cinque puntate vedono come attori Renato De Carmine e Carla del Poggio, nonché una Paola Borboni in gran vena di cattiverie e gigionerie.

Prima di addentrarci nel racconto dei successivi anni, vorrei porre l’attenzione su come la Rai, già dal marzo del 1954, quando aveva iniziato le trasmissioni regolari da appena tre mesi, decide di proporre ai (pochi) telespettatori “Delitto e castigo”, sceneggiato tratto dal romanzo di Dostoevskij. Un’unica puntata trasmessa in diretta, lunga quattro ore e un quarto, con Giorgio Albertazzi nei panni del protagonista Raskolnikov. Da allora milioni di italiani, molti dei quali analfabeti, hanno potuto scoprire i classici della letteratura, da Orgoglio e pregiudizio, a Romeo e Giulietta, da Jane Ejre a Piccolo mondo antico.(e molti altri successivamente).

Questo ruolo di veicolo letterario e culturale andò avanti per parecchi anni ancora, almeno fino alla fine degli anni Settanta. In questa logica, nel palinsesto RAI mantenne un grosso ruolo fino agli anni ’60 il teleteatro, un appuntamento fisso settimanale che passava in rassegna la produzione teatrale dagli antichi greci ai contemporanei e che arrivò sino agli anni ’60. All’inizio si trattava di riprese in diretta di spettacoli teatrali che si realizzavano dal vivo. Poi si passò a produzioni appositamente costruite per la tv in cui varie telecamere riprendevano la scena teatrale, con un linguaggio più cinematografico (piani, ecc.), anche se con l’inevitabile abbondanza di errori e papere (fino all’inizio degli anni ’60 non era possibile registrare). Fu un’importante palestra per i successivi registi televisivi.

Contemporaneamente nacque anche una fiction molto particolare, tipicamente italiana e che prese il nome, come noi tutti ben sappiamo, di sceneggiato. Dato che si trattava all’inizio di adattamenti da opere letterarie o teatrali, si utilizzò all’epoca come sinonimo anche il termine teleromanzo. Si trattava di una miniserie con un numero di puntate che di solito ruotavano intorno alle cinque.

Le loro caratteristiche all’inizio erano fortemente teatrali: la sceneggiatura prevedeva una netta predominanza di dialoghi (e addirittura monologhi) senza la preoccupazione di tradurre il tipico linguaggio letterario in uno più scorrevole e adatto alle immagini in movimento; le scenografie erano poverissime e spesso allestite come quinte; la recitazione era piuttosto enfatica (ma il pubblico vi era abituato grazie al successo del teleteatro). Dato che non era possibile registrare, le riprese erano realizzate da varie telecamere e trasmesse in diretta. L’assenza di un montaggio rendeva inoltre molto difficile il taglio dei tempi morti e spingeva ad ambientare le scene in un numero ridotto di ambienti quasi sempre interni o esterni ricostruiti.

Molte sono le differenze con la maggior parte delle fiction attuali o recenti, ad iniziare dalla recitazione più cinematografica che teatrale. Ciò non mi soddisfa, così che non mi convincono le trame, in quanto sembrano troppo costruite a tavolino, con colpi di scena prevedibili. E poi sono in genere semplicistiche, troppo rassicuranti, con i buoni e i cattivi sempre ben delineati: non hanno il coraggio di affondare nella complessità della realtà come fa un romanzo.

anton giulio majano
Anton Giulio Majano

Gli sceneggiati tratti da grandi romanzi, da noi tanto amati, furono trasmessi per circa trent’anni dalla televisione italiana, suscitando profonde emozioni in venti milioni di telespettatori di tutte le età. In comune (assieme a molti altri) avevano il loro creatore: Anton Giulio Majano, regista e “sovrano del feuilleton” televisivo. In quanto tale, mi piace qui ricordarne sinteticamente la carriera, iniziata negli anni Trenta frequentando i set cinematografici di Roma, anche se il suo esordio avvenne solo nel 1943. Diresse in tutto undici film passando dalla commedia all’horror: tra questi, l’Eterna Catena, Il padrone delle ferriere, La domenica della buona gente, dove lavorò con dei giovanissimi esordienti come Sophia Loren, Marcello Mastroianni, Virna Lisi, Nino Manfredi, Walther Chiari, Amedeo Nazzari. La sua passione fu però, come detto, i classici televisivi: sceneggiati sostanziosi, lunghi, avvincenti, curati in ogni dettaglio, potenti anche se a volte un po’ retorici, ma perfetti per il pubblico di allora. Perché Majano, oltre che un regista, fu anche un narratore, come Dumas, Dickens, Hugo, Thackeray, i grandi autori del passato da cui trasse ispirazione.

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