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Roberta villa

“Una ripresa dell’epidemia mi preoccupa: non vedo un’organizzazione efficiente”

Saremmo pronti a un eventuale ritorno significativo dei contagi? Risponde la giornalista e divulgatrice scientifica bergamasca Roberta Villa, laureata in medicina e chirurgia

Al momento la pandemia ha allentato la sua morsa. La curva dei contagi da Covid-19 è in calo: la fase più acuta dell’emergenza pare passata anche se non bisogna abbassare la guardia perchè il Coronavirus sta ancora circolando.

Ma saremmo pronti a un eventuale ritorno dell’emergenza? L’auspicio è che la situazione possa migliorare sempre più ma, come recita un vecchio adagio, prevenire è meglio che curare, soprattutto pensando all’arrivo dell’autunno con l’influenza. Abbiamo chiesto un parere alla giornalista e divulgatrice scientifica bergamasca Roberta Villa, laureata in medicina e chirurgia.

Siamo attrezzati per affrontare un ipotetico ritorno significativo dei contagi?

Sono preoccupata perché finora tutte le misure sono state sul versante dei cittadini che, secondo me, hanno risposto bene al lockdown, alle raccomandazioni relative all’uso delle mascherine e a tutto quello che bisogna fare per contrastare il contagio. Vedo meno attenzione sul fronte delle istituzioni.

Ci spieghi

I due focolai ospedalieri che si sono verificati a Roma e a Milano in questi giorni dimostrano che all’interno degli ospedali ancora le misure di sicurezza che dovrebbero esserci non ci sono. Il fatto che le persone debbano aspettare ancora dei giorni per effettuare i tamponi e il fatto che non siano stati formati migliaia di responsabili dei tracciamenti dei casi – e questo rende inutile a mio parere sia l’app sia i test sierologici – significa che siamo poco pronti a fare quello che sarebbe più importante cioè sorvegliare l’insorgenza di nuovi piccoli focolai che inevitabilmente si creeranno. Sono preoccupata perchè non vedo una grande organizzazione soprattutto in Lombardia che, tra l’altro, è la regione più colpita. Sono preoccupata di un ritorno perchè non vedo un’organizzazione efficiente, un sistema che fila, un protocollo chiaro e definito di come bisogna procedere non solo per i cittadini ma soprattutto a livello di sorveglianza.

Nuovi focolai si creeranno inevitabilmente?

Non voglio essere allarmista perchè è indubbio che adesso i casi sono pochi e sono meno gravi, però il virus sta continuando a circolare altrimenti non se ne riscontrerebbero. Il termine “inevitabilmente” scaturisce dalla considerazione che se ci sono in giro persone infette possono contagiarne altre. Sono abbastanza sicura che non ci sarà un’ondata grave come quella che abbiamo vissuto in primavera perchè siamo più preparati con le cure, non saremmo presi alla sprovvista come a febbraio, si usano le protezioni, non vengono frequentati gli ambienti affollati e si riesce a riconoscere meglio la malattia, ma mi sembra che manchi ancora un adeguato sistema di sorveglianza.

E da dove comincerebbe per implementare la sorveglianza?

Continuo a non capire la difficoltà a effettuare il numero di tamponi previsto: anche nei giorni scorsi sono stati 3-4mila a fronte di una capacità dichiarata di 20-25mila. Non riesco a capire perchè ci siano ancora tante persone a casa che aspettano di eseguire il tampone per sapere se possono tornare a uscire e non capisco come mai la Lombardia non riesca a tenere il passo con tutti i tamponi che devono essere svolti. Ma ci sono anche altri aspetti.

Quali?

Oltre a potenziare i tamponi, bisogna formare migliaia di persone per realizzare il tracciamento, le indagini per ricostruire i contatti delle persone risultate positive e soprattutto una campagna sui sintomi di Covid per spiegare ai cittadini in quali situazioni con l’arrivo dell’autunno dovranno stare attenti, evitare di uscire ed isolarsi. Sarà un problema quando cominceranno le normali infezioni della stagione autunnale e invernale, dall’influenza a tutte le forme para-influenzali.

Come si potranno distinguere?

Dal punto di vista del cittadino, se si entra nell’ordine di idee che quando uno è ammalato debba isolarsi e stare a casa si riduce anche la diffusione dell’influenza. In presenza di sintomi più importanti, invece, il medico dovrà capire la terapia da attuare.

Per concludere, un altro tema è la medicina territoriale: durante l’emergenza i medici di famiglia si sono sentiti abbandonati

Penso che sia stato un punto fondamentale di crisi. Bisogna coinvolgerli maggiormente e informali e mettere in condivisione le loro conoscenze, ma anche fornire loro indicazioni più chiare e le protezioni di cui necessitano.

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