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Il caso

Istanbul, l’ex basilica cristiana di Santa Sofia tornerà moschea?

Il 2 luglio 2020 decide il Consiglio di Stato, sempre dominato da Erdogan.

Istanbul, l’ex basilica cristiana di Santa Sofia («Agya Sophya») o «Cupola Blu» – tornerà moschea? Recep Tayyip Erdogan, il sultano-dittatore di Ankara, e i musulmami lo vogliono; i cristiani no: sono contrari il Patriarcato ortodosso di Mosca e la Chiesa greco-ortodossa; la Santa Sede per ora tace; la Chiesa armena chiede uno spazio per i cristiani. Il 2 luglio 2020 decide il Consiglio di Stato, sempre dominato da Erdogan.

LA CHIESA

La più importante del mondo bizantino, è dedicata non a una santa ma alla Divina Sapienza. L’imperatore Costantino, sconfitto Licinio, vuole fare di Costantinopoli «la nuova Roma» e nel 330 la inaugura come capitale dell’Impero e getta le fondamenta della chiesa. Dal 537 al 1453 è la Cattedrale greco-cattolica e poi ortodossa e sede del Patriarcato di Costantinopoli. Durante la quarta Crociata (1202- 04), la chiesa è saccheggiata e depredata delle reliquie: anche la Sindone di Torino prende la via della Francia. Durante l’occupazione latina (1204-61) diventa Cattedrale cattolica. Nel 1261 i Bizantini riconquistano la città e la chiesa è fatiscente a causa di saccheggi e terremoti.

LA MOSCHEA

Nel 1453 il sultano Maometto II assedia Costantinopoli, distrugge edifici e chiese, tra cui Santa Sofia, dove si rifugia la gente: gli uomini diventano schiavi, le donne sono stuprate. Il 29 maggio 1453 il sultano la converte in moschea. Dove c’era l’altare sorge il «miḥrāb», orientato verso la Mecca. Al restauro più famoso (1847-1849), ordinato dal sultano Abdul Mejid I, lavorano 800 operai, diretti dai ticinesi Gaspare (architetto) e Giuseppe (ingegnere) Fossati.

IL MUSEO

Mustafa Kemal Atatürk, eroe e padre della Nazione, fondatore della Repubblica e primo presidente, il 1º febbraio 1935 la trasforma in un museo; fa rimuovere l’intonaco che copre i mosaici e i tappeti che nascondono le decorazioni delle pareti. Vuole togliere ogni connotazione che possa dar luogo a scontri religiosi.

IL PATRIARCATO

Costantinopoli, antica Bisanzio e attuale Istanbul, e il suo Patriarcato risalgono ad Andrea, fratello di Simon Pietro. La metropoli deve nome e prestigio a Costantino il Grande. Il Concilio Costantinopolitano I (381) attribuisce al Patriarca il secondo posto dopo il Vescovo di Roma. La morte di Teodosio I (395) sancisce la divisione fra Occidente e Oriente. Il Concilio di Calcedonia (451) riconosce la parità tra le due sedi. Nel luglio 1054 si consuma il grande scisma. Il Patriarcato è il punto di riferimento per gli ortodossi e il Patriarca è «primus inter pares» tra Chiese «autocefale» e indipendenti e per secoli ha sede accanto a Santa Sofia. Con la fine dell’Impero Bizantino, si trasferisce in diversi quartieri e dal 1601 si stabilisce nel quartiere del Fanar. La Turchia non riconosce nessuna Chiesa né il titolo di Patriarca ecumenico ma solo quello di Patriarca del Fanar. Le Chiese non hanno personalità giuridica, non possono costruire né restaurare i luoghi di culto, non possono possedere edifici e terreni né aprire scuole.

L’ECUMENISMO

Nel 1961 Giovanni XXIII – dopo la ventennale immersione nel mondo ortodosso (1925-44) come delegato apostolico a Sofia in Bulgaria e poi a Istanbul per Turchia e Grecia – invita gli «osservatori» delle «Chiese separate» al Concilio Vaticano II (1962-65). Paolo VI il 5 gennaio 1964 a Gerusalemme abbraccia il Patriarca Atenagoras mettendo fine a nove secoli di lotte, incomprensioni e scomuniche. Il 7 dicembre 1965 in Concilio e al Fanar viene letta la «dichiarazione comune» di Paolo VI e Atenagoras, che cancella e «toglie dalla memoria e nel mezzo della Chiesa le scomuniche». Il 25-26 luglio 1967 Paolo VI visita Costantinopoli e il 14 dicembre 1974 nella Cappella Sistina bacia i piedi a Melitone, metropolita di Calcedonia. Giovanni Paolo II è accolto gelidamente a Istanbul il 28-30 novembre 1979. Nell’aprile 2004 il Patriarca Bartolomeo concede ai cattolici «il perdono» 800 anni dopo il «sacco» di Costantinopoli. Benedetto XVI, in Turchia il 28-30 novembre 2006, nella «Moschea Blu» accetta l’invito del muftì a raccogliersi davanti al «miḥrāb», la nicchia che indica La Mecca: non prega ma sosta in silenzioso raccoglimento. Cosa che fa Papa Francesco nella visita del 28-30 novembre 2014.

LA DISPUTA MILLENARIA

Nel 2006 il governo turco permette di destinare una stanza a luogo di preghiera per chiunque lo voglia. Dal 2010 gli estremisti islamici pretendono l’esclusiva e dal 2013 il muezzin invita alla preghiera dai minareti. Il 31 marzo 2018 Erdogan, nonostante i severissimi divieti, recita il primo versetto del Corano dedicandolo «a coloro che hanno contribuito a costruirla e in particolare a chi
l’ha conquistata». Nel marzo 2019 annuncia la volontà di trasformare l’edificio in un luogo di culto islamico: «È stato un errore molto grande trasformarla in un museo».
È la fine del sogno di Atatürk e il ritorno a uno Stato teocratico, come Israele e Iran.

LE REAZIONI

Sahak Bashalian, Patriarca della Chiesa apostolica armena, propone il ritorno al culto di musulmani e cristiani «perché è abbastanza grande per essere usata da tutti. Credenti che si inginocchiano e si prostrano si adattano meglio alla natura del luogo rispetto ai turisti che vagano. Sia aperta al culto e una zona sia riservata ai cristiani. Sarebbe un segno di dialogo: la salvezza del Pianeta nasce
dall’alleanza fra croce e mezzaluna». I Patriarcati di Mosca e Istanbul criticano con asprezza il disegno del sultano-dittatore, accusato da una parte dell’opposizione di utilizzare la questione per non far pensare alla crisi economica. Un sondaggio dice che il 73 per cento dei turchi (ovviamente) è favorevole alla moschea. Atene chiede all’Unesco di intervenire: infatti Santa Sofia è patrimonio dell’umanità. Per la Chiesa greco-ortodossa «è un capolavoro architettonico e uno dei monumenti più importanti della civilizzazione cristiana. Il tentativo di riportarla a moschea trasformerebbe uno spazio cultuale in un trofeo, simbolo di conquista». Per il metropolita Hilarion, capo del Dipartimento relazioni esterne del Patriarcato di Mosca, «per milioni di cristiani,
in particolare ortodossi, è un simbolo dell’ortodossia».

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