Tre mesi senza stipendio, senza vedere nemmeno un euro della cassa integrazione promessa e con il dramma umano e sanitario che stava coinvolgendo l’intera provincia di Bergamo: non è stato un periodo dei più semplici per molti lavoratori bergamaschi, loro malgrado costretti a tirare all’estremo la cinghia.
Tra loro c’è Silvia Magni, di Curno, operatrice del commercio che dal 13 marzo al 18 maggio è rimasta a casa, per effetto delle chiusure imposte dai decreti del presidente del Consiglio.
“Ripensando a come è andata, di pancia, direi un sacco di parolacce – racconta – Lo stipendio di maggio è arrivato pochi giorni fa, ma da febbraio non vedevo un euro. Nel frattempo, ovviamente, spese e bollette sono arrivate puntuali da pagare. E anche mio figlio, che vive da solo, era nella mia stessa situazione e non potevo non dargli una mano: quindi abbiamo dovuto coprire tutte le spese con l’unico stipendio che entrava, quello di mio marito”.
Per tutto il periodo di lockdown, con il negozio dove lavora inevitabilmente chiuso, l’attesa più grande per Silvia è stata quella per la cassa integrazione in deroga: “Una delusione totale – spiega – Tante promesse e aspettative, ma non ho mai ricevuto nulla. E da lavoratrice dipendente non avevo diritto a fare domanda per i famosi 600 euro. Non è stato un bel periodo e la preoccupazione era sempre maggiore, non sapendo nemmeno se sarei mai più rientrata al lavoro”.
Tra le ansie sul piano economico, per Silvia e la sua famiglia anche un lutto difficile da affrontare: “A marzo è venuto a mancare mio suocero, ospite in una Rsa – racconta – Lo abbiamo visto partire sui carri dell’esercito per Bologna, dove è stato cremato. È capitato tutto insieme, emotivamente è stato pesante”.
Il 18 maggio, finalmente, il rientro al lavoro con tutte le precauzioni e le nuove disposizioni che ne hanno trasformato le abitudini: “L’incertezza rimane anche oggi, ci siamo trovati a lavorare in modalità completamente differenti e facendo anche i conti a volte con il menefreghismo della gente: dobbiamo stare attenti, perché oltre alla normale attività dobbiamo anche vigilare sul corretto accesso al negozio. Qualcuno è solo distratto, altri non rispettano volontariamente le regole e te lo dicono chiaramente che se ne fregano”.
Per chi è abituato a un rapporto stretto coi clienti, fatto di consigli, aiuti e anche contatti, ripensare all’improvviso a un nuovo metodo di approccio è complicato: “Non ci possiamo ovviamente avvicinare alla gente come facevamo prima – sottolinea – Dobbiamo mantenere la corretta distanza e anche nella fisicità della ‘prova’ non possiamo dare una mano: non è il lavoro al quale siamo sempre stati abituati, ma già il fatto di essere rientrati assomiglia a una piccola normalità”.
Il futuro resta comunque un grosso punto interrogativo e al sostegno Silvia non rinuncia: “Vorrei ben sperare che quella cassa integrazione prima o poi arrivi – si augura – Ci è stato detto che sarà così, speriamo nelle prossime settimane o il prima possibile perché di promesse ce ne sono state fatte tante. Altri settori in Lombardia l’hanno percepita, non capisco perché non a noi. Ma di pari passo spero anche che si normalizzi la situazione lavorativa, con una vera ripresa”.
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