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Verso la maturità

Il nostro ultimo giorno di superiori non doveva essere così

Chi l’avrebbe mai detto? Abbiamo sognato per cinque anni il famigerato ultimo giorno e poi la nostra fine è stata rappresentata dalla scritta “videochiamata terminata”.

Parlavamo degli abiti da indossare per il ballo di fine anno, discutevamo su quale bar scegliere per fare l’ultimo aperitivo insieme prima degli esami, immaginavamo il suono dell’ultima campanella della nostra vita e le corse verso l’uscita a farci i gavettoni.

Avevamo già in mente la scritta d’addio gigante da scrivere sulla lavagna con tutti i nostri nomi intorno.

E poi l’addio ai prof, ai banchi di scuola, agli zaini pieni di libri, il conto alla rovescia per gli scritti e poi dritto fino agli orali

Noi maturandi della 5°G ce lo immaginavamo così il nostro ultimo giorno di scuola.

Avevamo fatto grandi progetti ed era da cinque anni che sognavamo questo grande momento.

Saremmo dovuti saltare addosso l’uno all’altra e rincorrerci svuotandoci sacchetti di polvere colorata nei capelli, invece, ci siamo sorrisi in silenzio attraverso lo schermo di un computer o di un cellulare con le lacrime agli occhi: la fine per noi è stata semplicemente la scritta “videochiamata terminata” che è apparsa sul nostro display al termine dell’ultima video lezione.

Chi l’avrebbe mai detto? Abbiamo sognato per cinque anni il famigerato “ultimo giorno”, abbiamo sognato i pomeriggi tutti insieme a studiare per l’esame, abbiamo sognato le bevute intorno ad un tavolo mentre avremmo “sparlato” dei professori e ci saremmo disperati per l’orale e il da farsi per la notte prima degli esami. Invece, ci siamo ritrovati da soli, ognuno in casa propria, a tenerci la paura sigillata in una scatolina, senza poterla condividere con nessun altro, se non con noi stessi.

Cosa ne potevamo sapere noi? Noi che le pandemie le abbiamo studiate solo sui libri di storia, come l’influenza spagnola del 1918 o la peste del 1630.

I corridoi silenziosi e cosparsi di banchi lontani tra loro, il dizionario in spalla il primo giorno di scritti e la traccia incomprensibile tra le mani il giorno della seconda prova, il gruppo di amici in massa alle nostre spalle mentre ci saremmo seduti davanti alla commissione, il labiale del professore che ci avrebbe suggerito, la stretta di mano dei prof a fine orale, la bottiglia di spumante stappata per festeggiare la nostra piccola vittoria.

Sarebbero dovuti essere così i nostri esami di maturità.

Non sapremo mai cosa si prova a stare seduti tra quei banchi in corridoio, non proveremo mai l’ebbrezza del copiare senza farci vedere. Il nostro colloquio sarà riassunto in mascherine, guanti e gel disinfettante.

Non riusciremo neanche a guardare in faccia per l’ultima volta quelli che sono stati i nostri professori per cinque anni.

Saremo costretti a uscire dalla porta d’emergenza sul retro e a non riuscire a fare neanche il nostro urlo liberatorio nel piazzale, in segno della fine di un capitolo durato cinque anni.

Una parte fondamentale della nostra vita è terminata e noi non abbiamo neanche potuto dirle addio.

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