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Pregiudizi

Il caso Floyd cambierà le nostre consuetudini?

Un confronto fra la sete di giustizia che ha mobilitato migliaia di persone nel mondo e lo sguardo di una ragazza bergamasca di origine ghanese.

“A volte non servono le parole, bastano dei gesti o degli sguardi, per farti capire che ti considerano straniera e diversa da loro”. Con queste parole Innocential Konadu, sedicenne bergamasca di famiglia ghanese, descrive una sensazione che più volte si è trovata a percepire sulla sua pelle.

Il potere che uno sguardo può esercitare è estremamente significativo e spesso, senza accorgersene, piccoli comportamenti che quotidianamente vengono assunti nei confronti di chi si considera “diverso”, hanno un’influenza non indifferente sull’opinione che, magari involontariamente, si dimostra.

Quasi l’11% dei residenti nella nostra provincia, al primo gennaio 2019, ha una provenienza non italiana, secondo quanto emerso dalle indagini statistiche. Il 14% di questi proviene dal Marocco, perciò la convivenza di etnie differenti non dovrebbe rappresentare una novità per la società odierna. Tuttavia, il panorama concreto della realtà quotidiana è, spesso e volentieri, profondamente diverso.

È senza dubbio una qualità intrinseca della natura umana l’esigenza di classificare e “ordinare”. Il rischio è che questa categorizzazione venga applicata non solo agli oggetti, ma anche alle persone. Questa esigenza ci spinge, nel momento in cui si è in procinto di riferire un avvenimento, a specificare, come prima informazione, la nazionalità del soggetto coinvolto come metodo di classificazione.

Nonostante Innocential sia nata in Italia, le sue origini ghanesi la rendono “etichettabile”, tant’è che più volte viene scambiata per straniera, come se il colore della sua pelle decretasse la sua italianità.

Se è vero che gli sguardi e le parole hanno un peso, i fatti non sono da meno.

Recentemente il caso Floyd ha sconvolto il mondo intero: a partire dal 25 maggio, giorno in cui George Floyd, afroamericano, venne ucciso per soffocamento dall’agente di polizia di Minneapolis, Derek Chauvin, i media si sono messi in moto, non limitandosi a diffondere rapidamente la notizia, ma spingendo ognuno a riflettere e aprire gli occhi, relazionando questo spiacevole avvenimento alla propria quotidianità. Ad aver tanto scosso il popolo del web sono state le parole “I can’t breathe”, pronunciate da Floyd, mentre il suo collo veniva schiacciato dal ginocchio del suo assassino.

Ad accentuare l’intensità di queste immagini, già forti, è stato l’evidente razzismo che emergeva da tale gesto.

A seguito dei numerosi messaggi solidali verso la comunità afroamericana, parecchie manifestazioni pacifiche sono state messe in atto, con larga partecipazione, in moltissimi paesi, primi tra cui, naturalmente, gli Stati Uniti (in particolare Portland fu una delle prime città a muoversi verso questa direzione). In altri luoghi, al contrario, il risentimento verso le istituzioni ha anche condotto a saccheggiamenti di negozi e tensioni tra cittadini e forze dell’ordine, ne è un noto esempio Manhattan.

Tra gli innumerevoli italiani che hanno dimostrato di avere a cuore la questione, anche Innocential si è sentita moralmente colpita, al punto da definire “disumani” e “ingiustificati” gli atteggiamenti assunti dall’agente Chauvin; sottolinea, inoltre, quanto questo comportamento sia anche maggiormente sconcertante, considerando che il ruolo sociale di un poliziotto dovrebbe essere l’opposto, unicamente finalizzato alla protezione disinteressata.

Nonostante questo avvenimento abbia avuto luogo a un oceano di distanza da noi, la solidarietà dimostrata è stata parecchio evidente.

Tutti quanti sembrano concordare che quanto accaduto riguardi tutti, senza alcuna distinzione, dal momento che questo caso non è stato il primo, e purtroppo, si teme, non sarà l’ultimo.

Dunque com’è possibile che, nonostante tutto ciò dimostri che ognuno è consapevole di quali comportamenti bisognerebbe assumere nei confronti di ogni essere umano indistintamente, si verifichino ancora episodi spiacevoli, come quelli analizzati in precedenza?

Possiamo affermare che una società “razzista” – si intende discriminatoria nei confronti di chi è, secondo i criteri dell’opinione pubblica, diverso – affondi le radici nella mentalità della nostra collettività. Nell’immaginario sociale è, per esempio, consuetudine credere che i capi di abbigliamento indossati da chiunque abbia una pelle scura non possano essere di marca, come ricorda anche Innocential: “Spesso è capitato che alcune persone dicessero ‘Tutti i vestiti che hai di marca sono falsi, voi neri non potete permettervi cose costose’”.

Questa catena di pregiudizi, dunque, non fa che alimentare il divario tra etnie, che, innegabilmente sono profondamente diverse, ma non per questo dovrebbero essere distaccate.

Per quanto utopistico possa sembrare, una diffusa quanto invisibile bontà rimane sempre nascosta, seppur presente, dal momento che, come Innocential ha ricordato al termine dell’intervista, “è anche bello sapere che non tutti gli italiani sono razzisti e possiamo contare su alcuni di loro”.

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