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L'intervista

Paolo Fresu e il lockdown: “La musica ha imboccato nuove vie. Bergamo? Ce la farà”

Trombettista sardo conosciuto in tutto il mondo, direttore artistico di Bergamo Jazz Festival dal 2009 al 2011, sarà ospite della terza puntata di FTD Offstage – Dialoghi in streaming, nuovo format social ideato dalla Fondazione Teatro Donizetti.

Strumentista, compositore, anche scrittore, coltivatore instancabile di cultura e bellezza. Paolo Fresu, trombettista sardo conosciuto in tutto il mondo, direttore artistico di Bergamo Jazz Festival dal 2009 al 2011, sarà ospite della terza puntata di FTD Offstage – Dialoghi in streaming, nuovo format social ideato dalla Fondazione Teatro Donizetti.

Nell’incontro di giovedì 11 giugno, alle 18.30, Fresu, sarà accompagnato da Maria Pia De Vito, attuale direttore artistico della rassegna. Il passato e il presente di Bergamo Jazz, insieme, ma a distanza, per raccontare il jazz italiano, alla luce delle ripartenze dei festival per la stagione estiva in arrivo.

Da sempre curatore del festival Time In Jazz di Berchidda, paesino del Nord della Sardegna che gli ha dato i natali, Paolo Fresu è anche apprezzato didatta e ideatore del marchio discografico Tuk Music, nonché Presidente della Federazione Nazionale Il Jazz Italiano. Grande sostenitore di ogni forma di bellezza, il trombettista sardo ha dato prova, durante i momenti più bui dell’emergenza Covid, di essere anche un punto di riferimento per la comunità di lavoratori dello spettacolo. Dopo aver chiamato a raccolta gli artisti e i professionisti del settore dello spettacolo con la petizione #velesuoniamo, è più volte intervenuto, anche attraverso i social, a sostegno di tutta la categoria, al momento in forti difficoltà. “Molti pensano che la musica e l’arte non siano beni necessari e/o che noi non si lavori e si viva d’aria e di poesia, ma non è così” – spiega Fresu “si tratta di circa mezzo milione di persone che contribuiscono all’industria culturale, il 16% del PIL nazionale”.

La quarantena e il conseguente periodo di pausa dalle scene sono state un periodo di fermentazione artistica per Fresu che da intramontabile “ostinato” si è dedicato alla registrazione di nuova musica, alla produzione di video, come quelli della rubrica “Da casa a casa”, in cui il musicista racconta, rigorosamente in lingua sarda e con sottotitoli in italiano, dischi e libri che ama.

In “La musica siamo noi” lei scrive: “La musica è la chiave per il mondo: quello dentro di noi e quello che ci sta intorno. Apre la porta, ci indica la via”. Nei mesi di lockdown e nelle settimane in cui non le è stato possibile esibirsi dal vivo, la musica le ha indicato una nuova via?

Assolutamente sì. Mi ha indicato una nuova via per la creatività visto che ero impossibilitato a raccontarmi attraverso la musica agli altri e con gli altri. Ho registrato molte cose da solo a casa usando scampoli di vecchie cose registrate da me e da tanti amici ed ho montato video che poi ho postato sui miei social.

Ho inoltre registrato musica con altri ognuno nella propria rispettiva casa. Con Ornella Vanoni, Luca Barbarossa, Daniele di Bonaventura, Rita Marcotulli, Bebo Ferra, Mirko Casadei e coinvolto Lella Costa, Peter Gabriel, il coro di Santuslussurgiu in cose che già esistevano. La musica si è fatta nuova ma portandosi appresso il passato. Ho inoltre scritto riflessioni sul presente oltre ad avere dato vita alla rubrica video “Da casa a casa” in cui ho prestato, rigorosamente in lingua sarda e con i sottotitoli in italiano, i dischi e i libri che amo. E poi sono stato con la famiglia e ho visto con altri occhi la mia casa e quello che vi era dentro.

Le recenti, sterili polemiche social intorno al mondo del lavoro dello spettacolo hanno messo in luce il fatto che la società ancora non ha la percezione corretta del mestiere e del valore di chi opera nel settore. Durante questi mesi i lavoratori dello spettacolo si sono mobilitati e molto è stato fatto. Le cose ora stanno cambiando?

Non mi pare che le cose stiano cambiando e la percezione è la stessa. Ma soprattutto è la percezione degli altri a non essere cambiata. Perché molti pensano che la musica e l’arte non siano beni necessari e/o che noi non si lavori e si viva d’aria e di poesia. Al di là delle polemiche, c’è bisogno di attenzione e di informazione oltre che di aiuti per un mondo, quello dello spettacolo, che versa in condizioni di grande disagio e che consta di circa mezzo milione di persone che contribuiscono all’industria culturale, che occupa invece un milione e mezzo di persone generando il 16% del PIL nazionale. In questo senso non bisogna puntare il dito solo sulla politica, ma bisogna che noi ci si interroghi sul perché siamo rimasti sopiti per tutto questo tempo.

Lei è stato direttore del Bergamo Jazz festival per tre anni, sicuramente avrà un’affezione particolare per la città. Quale è ora il suo messaggio per Bergamo?

Il mio è un messaggio di vicinanza per una città che conoscevo molto bene anche prima della mia esperienza di direttore artistico del festival, per via di Tino Tracanna e di altre amicizie. L’esperienza del festival mi ha dato l’opportunità di conoscerla meglio e di apprezzare le bellezze e la gente. Fa male sapere tutto ciò che ha vissuto e che lascerà un segno profondo. Dunque, un maggio di speranza e di vicinanza. Oltre a un grande in bocca al lupo. Ce la faremo.

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