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Il reportage

Alzano, il lento ritorno alla vita: “Non si vedeva la fine del tunnel, ci ha salvato il senso di comunità” fotogallery video

Dalla casa di riposo ai negozi del centro, tappa nell'altro paese martire dell'epidemia. Il sindaco: "Zona rossa? La troppa incertezza ci ha danneggiato"

Sono diventati le mani e le braccia dei parenti: tutte le carezze e gli abbracci che il coronavirus ha reso impossibili, i dipendenti della Fondazione Martino Zanchi li portano agli anziani della casa di riposo di Alzano, paese martire dell’epidemia: 120 morti, concentrati soprattutto nel mese di marzo.

“Spesso dobbiamo frenare gli slanci d’affetto dei parenti”, racconta la responsabile Maria Giulia Madaschi. Lo abbiamo verificato con i nostri occhi. “Non possiamo distrarci un attimo – spiega – perché avvicinarsi ad una persona cara, toccarla, è un qualcosa che viene spontaneo, soprattutto quando non lo si fa da parecchio tempo”. Quasi un riflesso involontario. Un’umana ‘debolezza’, se così la si può definire.

RSA Martino Zanchi alzano
Le regole di accesso alla casa di riposo

Alla Rsa di Alzano il virus si è portato via 21 dei 98 ospiti (20 nel solo mese di marzo), nonostante l’immediata chiusura della struttura abbia permesso di limitare i danni. Cosa che non è successa nel vicino ospedale, sulla cui gestione la procura di Bergamo ha aperto un’inchiesta.

Qui la fase 2 è iniziata un giorno di maggio. Le visite sono consentite, seppur a distanza: 77 da organizzare durante la settimana, 15 minuti ciascuna con la supervisione degli operatori. C’è chi saluta i figli o i nipotini affacciato dal balcone, chi dal vetro di una finestra o nel cortile al pian terreno. L’emozione è tangibile. “Cerchiamo di accontantare tutti nel rispetto delle norme sanitarie” assicura la responsabile. Anche se per i motivi che abbiamo spiegato non è sempre facile.

RSA Martino Zanchi alzano
Una moglie in visita al marito, a notevole distanza

Dal parco Montecchio – polmone verde del paese dove si trova la Rsa – ci spostiamo per le vie del centro. Passeggiando, notiamo un cartello appeso fuori dalla porta di un bar: ne annuncia la chiusura, forse definitiva. All’interno, perlomeno, non c’è nulla che faccia pensare ad un’immediata ripresa dell’attività: dalle sedie in disordine all’assenza alla cassa dei pannelli di protezione in plexiglass. Altri commercianti, invece, attendono l’arrivo dei clienti, prudenti nel riaffacciarsi alla nuova quotidianità fatta di mascherine, guanti e igienizzante per le mani.

Tra di loro Xiuxiu Xu, arrivata in Italia dalla Cina 13 anni fa e da 8 residente ad Alzano: gestisce il Caffè del Museo in piazza Italia, accanto alla basilica di San Martino. Nonostante la posizione apparentemente vantaggiosa, di clienti se ne vedono pochi.

Bar museo alzano
Il Caffè del Museo in piazza Italia

Alla fine del lockdown (lunedì 18 maggio) la sua unica preoccupazione è stata sanificare il locale per riaccogliere la gente. “Abbiamo aperto solo il mercoledì per fare tutte le pulizie – ci spiega -. Nonostante fossimo rimasti senza entrate per tre mesi, dovevamo sostenere queste spese se volevamo ripartire”. Soprattutto per i suoi due bambini. “Un incasso di 20 o 50 euro al giorno può fare la differenza – osserva Xiuxiu Xu -. Ho provato a chiedere il finanziamento da 25mila euro, ma non ho avuto risposte. Senza quello faccio fatica perchè le bollette arrivano comunque”, anche se per i mesi di chiusura il parrocco –  proprietario dei muri – non le ha chiesto di pagare l’affitto. “È stato un bel gesto”, ringrazia lei.

“Resistere, resistere” e ancora “resistere” è il motto di Gino Rossi, proprietario dell’omonima merceria di via Fantoni: un’istituzione con i suoi 157 anni di storia, fatta di passaggi di consegna in famiglia. Su Facebook, nei giorni della pandemia, qualcuno lo dava per morto. Una fake news. “Io sono ancora qui – risponde con la stessa energia di sempre, nonostante le 87 primavere -. Il mio posto è in mezzo alla gente. Finché il Padre Eterno mi lascia la salute, io vado avanti! Il giorno che mi dice ‘Gino, adès basta’ starò ai suoi ordini!”.

Merceria Gino Rossi alzano
Gino Rossi, 87 anni, titolare dell'omonima merceria

È anche a quelli come lui che vanno i complimenti del sindaco Camillo Bertocchi, fiero del comportamento tenuto dai suoi concittadini nei mesi forse più difficili dell’intera storia comunale: “Da subito si sono adeguati a regole difficilissime, ma hanno sempre mostrato rispetto – sottolinea -. Abbiamo chiesto loro uno sforzo ulteriore, mantenendo norme ferree anche nel passaggio dalla fase 1 alla fase 2: si sono dimostrati molto diligenti”.

Come per il collega di Nembro Claudio Cancelli, anche il primo cittadino di Alzano individua nel mese di marzo il momento emotivamente più complicato della gestione dell’emergenza: “I decessi hanno raggiunto livelli impressionanti, non riuscivamo a vedere l’orizzonte della crisi. Nel dramma, quando mancava anche l’ossigeno per i malati, ci siamo aggrappati al senso di comunità”.

Impossibile, visti gli ultimi sviluppi e la tappa in procura a Bergamo dei vertici regionali, non tornare a parlare della mancata istituzione della zona rossa: “Non sta a me stabilire eventuali responsabilità, sarà la magistratura a dare tutti i chiarimenti che è giusto dare – precisa il leghista Bertocchi -. In quei giorni siamo rimasti tutti sospesi: sapevamo benissimo che era tutto pronto per la chiusura, con le forze dell’ordine sul territorio e turni già stabiliti per la sorveglianza di non sa bene quali comuni. Poi non sappiamo cosa sia successo, ma si è deciso di chiudere la Lombardia. Noi in quella fase non siamo riusciti a dare comunicazioni precise ai nostri concittadini e l’incertezza rischiava di distrarci dalla missione principale: limitare la diffusione del contagio”.

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