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Fabiano di marco

Il primario premiato da Mattarella: “La grande lezione del Covid, puntare su persone e competenze”

Il direttore della pneumologia all'ospedale Papa Giovanni: "È stata una sorpresa ma non riesco a gioire. Dedico il riconoscimento a Bergamo e ai colleghi, lo meritano quanto me"

Sono le 11 di mercoledì mattina quando Fabiano Di Marco, 46 anni, primario di Pneumologia dell’ospedale Papa Giovanni, è video-collegato con un gruppo di studenti dell’Università Statale di Milano, dove insegna Malattie dell’apparato respiratorio. Ad un certo punto, lo schermo del suo smartphone inizia a lampeggiare: una, due, tre, quattro, cinque volte nel giro di pochi minuti. “Ma che succede?” dev’essersi chiesto. Ancora non lo sapeva, ma era stato nominato Cavaliere al merito dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. La raffica di notifiche sul telefono, altro non erano che i messaggi degli amici e dei colleghi che volevano complimentarsi con lui: “il medico che ha saputo raccontare la tragica situazione della città”, come ha spiegato il Quirinale, mostrando quanto stava accadendo all’interno dell’ospedale e aprendo gli occhi ai tanti che ancora credevano alla favola dell’influenza.

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“È stata una grande sorpresa – ammette Di Marco – anche se fatico a gioire”. Il motivo s’intuisce abbastanza facilmente: “Questo riconoscimento è una conseguenza del tragico momento che ha investito Bergamo”. Città alla quale va la sua dedica. “È per tutta la comunità bergamasca, la mia famiglia e i miei colleghi. Ma ci sono moltissime persone che hanno contribuito alla causa quanto me – sottolinea il primario -. Non solo al Papa Giovanni e non solo negli ospedali”.

Già, le persone. “Questa pandemia ci ha insegnato quanto è importante il capitale umano – continua -. Al Papa Giovanni non siamo soddisfatti di come sono andate le cose, ci sono stati tanti morti ma siamo comunque riusciti a fronteggiare l’emergenza. Questo grazie alle competenze e al temperamento di tutto il personale. I ruoli sono importanti – aggiunge – ma non esistono al di là delle persone che li rivestono. Nei momenti più difficili questo è emerso in maniera evidente, a tutti i livelli”.

Il pensiero corre indietro ai primi giorni di marzo, quando c’era da mettere ordine in mezzo al caos. E bisognava farlo in fretta. “Abbiamo aperto una terapia semi intensiva respiratoria in pochissimo tempo, mentre il personale amministrativo lavorava senza sosta per assumere 200 nuove persone”, tra medici e infermieri. Non è improvvisazione, ma capacità di reazione. “Nessuno era pronto ad una sfida del genere, nessuno aveva la soluzione in tasca, ma le qualità umane hanno fatto la differenza”.

Se il peggio è alle spalle, il lavoro non è finito. “Ora la missione sarà occuparsi dei sopravvissuti – conclude Di Marco -. Ci sono persone che porteranno i segni della malattia e già sappiamo che ne troveremo tanti, con problemi polmonari residui e non solo”. In attesa del vaccino, l’unica difesa resta la prevenzione. “Mascherine, distanziamento e igiene” le parole da non dimenticare troppo in fretta.

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