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A bordo campo

Il fisico Truc: “Zangrillo ha quasi ragione, il Covid si è molto indebolito”

Fabio Truc, fa ricerca da vent’anni a Parigi: “Userei qualche cautela nel sostenere che il virus è definitivamente scomparso e quindi non dobbiamo abbassare troppo il livello di guardia”

Fabio Truc, 60 anni, originario di Cogne, è un Fisico teorico, ricercatore e docente universitario.

Dopo le dirompenti dichiarazioni fatte dal professor Alberto Zangrillo, secondo cui il “covid-19” non esiste più, abbiamo raccolto il suo qualificato parere.

“Io sono fondamentalmente d’accordo con quanto ha dichiarato Alberto Zangrillo – commenta -. Userei qualche cautela nel sostenere che il virus è definitivamente scomparso e quindi non dobbiamo abbassare troppo il livello di guardia, soprattutto con le norme igieniche e di distanziamento sociale che abbiamo osservato in questi mesi, come lavarci le mani, usare i guanti, tenere le distanze e metterci le mascherine. Tutto questo sì”.

Ci spieghi.

Che il virus non sia del tutto scomparso lo confermano i dati della Regione Lombardia, dove ancora si registrano comunque alcune decine di positivi ogni giorno (lunedì 50). Dal punto di vista virologico, però, concordo con Zangrillo, sulla base anche delle esperienze fatte e non solo con il coronavirus. Il concetto portante è che il virus non ha interesse a uccidere il suo ospite e quindi a essere troppo aggressivo, perché se uccide il suo ospite, questo non gli dà più la possibilità di riprodursi, moltiplicarsi e propagarsi e infettando altre persone. Se uccide il paziente, il virus muore con lui o comunque ha poche possibilità di moltiplicarsi e diffondersi. Questi virus continuamente si modificano, un po’ di più o un po’ di meno. Come si dice in gergo evoluzionistico, si adattano. E l’adattamento prevede che ci sia un patto di non eccessiva belligeranza tra il sistema immunitario dell’ospite e il virus. “Tu lasci vivere me e io lascio moltiplicare te” e quindi il virus diventa via via meno letale, il paziente subisce meno danni e consente al virus di riprodursi. Questo è un meccanismo evolutivo: ed è – ipotizzo – su questa base che Zangrillo parla di scomparsa del virus o in ogni modo di un suo sicuro indebolimento. Dal punto di vista clinico il “covid-19” risulta depauperato, la malattia viene curata più facilmente, anche a domicilio, inoltre abbiamo capito in modo più approfondito la serie di guai che il virus innesca nel nostro organismo. A riscontro abbiamo il fatto che si stanno svuotando le rianimazioni e le terapie intensive. Normalmente in 90 giorni sono il tempo necessario per osservare la tipica curva di comportamento del virus.

Quindi il vaccino può non servire?

Se continua questo indebolimento del virus, potrebbe vacillare l’utilità del vaccino, con evidenti ripercussioni anche per la potente industria farmaceutica. Poi, cosa succederà a settembre, quando ritornerà il freddo e ci saranno forse condizioni più favorevoli al contagio sarà tutto da vedere.

Sembra ottimista.

Io continuo a rimanere abbastanza ottimista, visto che questo virus si è stabilizzato su un profilo di aggressività molto più basso rispetto agli esordi e non a caso si vedono tamponi con sempre meno carica virale. Non dimentichiamo che è importante la carica virale. Ci vuole una certa quantità di virus per contagiare, non è sufficiente ad esempio un virus agganciato a una particella di pulviscolo atmosferico.

Cosa abbiamo imparato da tutto questo?

Che la stessa virologia, l’epidemiologia e l’infettivologia andranno perfezionate alla luce di quanto è successo. In questa emergenza dobbiamo ascoltare i virologi più autorevoli, non necessariamente gli abituali frequentatori degli studi televisivi. E con loro i medici che hanno curato i pazienti e che sono stati e sono in prima linea nel fronteggiare il coronavirus. Ritengo pertanto autorevole l’opinione espressa dal prof. Zangrillo alla luce della grande esperienza clinica che gli ha consentito di ben comprendere l’eziopatogenesi e l’insidioso comportamento di questa malattia.

Chi è Fabio Truc

Appena finiti gli studi e vinta una borsa di studio approdò al Cern dove ha lavorato per 7 anni svolgendo ricerche nella fisica delle particelle elementari. Successivamente si è trasferito all’università “La Sapienza” di Roma dove ha contribuito al primo esperimento al mondo di teletrasporto quantistico realizzato con il gruppo sperimentale del professor De Martini negli anni Novanta. La svolta di vita avviene quando a un convegno conosce Lucien Israel, uno dei più prestigiosi oncologi dell’epoca che invitò Fabio a Parigi a lavorare sul cancro. È ancora lì, dove lavora da oltre vent’anni nell’oncologia sperimentale e insegna. Con Israel è stato messo a punto un modello che spiegherebbe l’origine del tumore. Ha insegnato Fisica al Politecnico di Torino, a Roma, Nizza e Parigi. Nella prima parte della vita ha lavorato principalmente sulla Fisica teorica e adesso si dedica interamente allo studio di come una cellula possa portare a sviluppare il cancro e quali relazioni corrano tra virus e cancro.

Perché questa alta concentrazione virale e letale in Lombardia e al Nord in generale, con epicentro a Bergamo-Brescia e meno al Centro e al Sud Italia?

È una domanda da cento pistole. Nessuno è in grado di dare una risposta certa. C’è stata una concomitanza di cause che hanno portato a questa diffusione così rilevante del virus nel Nord Italia e nel confinante Cantone Ticino. Alcune scuole di pensiero sono più attendibili, altre più fantasiose. Mi sono fatto l’idea della “tempesta perfetta”. La Lombardia, con Codogno – 21 febbraio 2020 – è stata la prima ad essere interessata da questo contagio che circolava da almeno un mese. L’emergenza ha colto tutti spiazzati. Nei luoghi chiusi e affollati il virus ha trovato le condizioni ideali per espandersi: dai Pronto Soccorso agli ospedali, alle residenze per anziani. Quando si è capito che la strategia da attuare era il distanziamento sociale, il guaio era già stato fatto. La gente non doveva andare ad affollare i Pronto Soccorso e gli ospedali, ma – come s’è visto fare in Germania – doveva essere curata sul territorio: purtroppo questo s’è capito dopo.

L’errore iniziale di aver abbassato la guardia

Si sono viste troppe leggerezze, incaute uscite e anche inefficienze unite ai ritardi e alle comprensibili improvvisazioni…

Indubbiamente, anche per colpa degli scienziati, molti dei quali autorevoli – li abbiamo visti tutti in televisione – che banalizzavano dicendo trattarsi di una forma influenzale poco più che leggera. E si spiegò che la prima serie di decessi non era “per” coronavirus ma “con” il coronavirus. Tutti si sono tranquillizzati, abbassando la guardia. Altro fattore precipitante: la densità di popolazione sul territorio, con rischio molto alto di contagio per contiguità.

C’è chi invoca anche il fattore inquinamento.

Se uno guarda dal satellite, vede che le zone più interessate dal virus – Piemonte, Cantone Ticino, Lombardia, Veneto e Emilia Romagna – sono ad altissimo inquinamento, fatto soprattutto di polveri sottili costituite da nanoparticelle. Il virus si aggancerebbe a queste piccole particelle che diventerebbero dei vettori, con propagazione anche per via aerea: è una correlazione che sta prendendo
consistenza.

Hanno sbagliato in molti nel costruire modelli di proiezione che non funzionano per capire le modalità di una pandemia, lo sviluppo della stessa, quando questa finirà, se ci sarà contagio di ritorno…

Quando parliamo del numero dei contagiati, si è costretti all’approssimazione perché non sono stati fatti sufficienti tamponi e perché il tampone attuale non è affidabile, restituendo troppi falsi positivi e falsi negativi. Tutto questo impianto di base ha prodotto dei numeri a loro volta molto “malati” e lavorare su questi porta a risultati sballati. Molti ci hanno detto che alla metà di aprile sarebbe stato tutto risolto, poi abbiamo visto com’è andata. Ma non perché sono sbagliati i modelli matematici, quanto per l’inserimento di numeri imprecisi. Non sono un epidemiologo, ma quello che io consiglierei è di non partire da questi numeri di contagiati: non lo sapremo mai con esattezza quanti sono. Sicuramente molti, molti di più di quelli che ogni giorno la Protezione Civile diffonde. Sono convinto che questo virus ha cominciato a girare già a dicembre e quindi le persone positive nel mondo sono milioni e milioni. È perciò inutile lavorare su numeri probabili: bisogna partire dai dati certi, che sono i decessi.

Come prova d’urto dell’epoca globale quale la sua valutazione?

Al momento l’unico strumento che siamo riusciti a mettere in campo è il distanziamento sociale, che ha innegabilmente dato dei risultati. Non è ancora chiaro dove si può porre il punto di rottura, lo vedremo alla fine, quando saremo fuori dal tunnel.

Parallelismo con il disastro di Chernobyl

Lei però sostiene che prima di questo cataclisma c’è stata una prova generale di nome Chernobyl.

Ritengo Chernobyl un piccolo allenamento di fondocampo in vista dell’attuale ciclone. C’è un parallelismo interessante. Là, un neutrone, che è una particella nucleare – una sorta di piccolo proiettile – va a colpire un nucleo di uranio e lo spacca in due. Questa operazione libera un sacco di energia ma anche altri neutroni che vanno a bersagliare altri nuclei, li rompono, scatenando uno sciame di neutroni. Si tratta di una reazione a catena che va moderata con apposite barre di controllo, altrimenti diventa una bomba atomica. Per una serie di errori umani a Chernobyl la reazione sfuggì al controllo con le conseguenze tristemente note.

Dove sta l’analogia con il coronavirus?

Anche la propagazione del “covid-19” è una catena: un soggetto infetto mediamente ne contagia altri due, poi gli altri due ne uncineranno altri due e avanti così. Il correttivo di questa pandemia è il distanziamento sociale, per fare in modo che un malato non ne contagi più due, ma uno soltanto e poi nemmeno più quello.

Parliamo di questo virus misterioso, ignoto, che muta anche velocemente e che ha invaso il pianeta.

Noi scienziati pensavamo fino a qualche tempo fa che fosse un salto di specie, passato dall’animale all’uomo, come già successo molte volte; oppure – piano B – c’è qualcuno che l’ha manipolato in laboratorio. Considerando quante volte il salto di specie dall’animale all’uomo si è ripetuto – dall’Hiv alla Sars, dall’influenza aviaria, alla rabbia, all’ebola – è ormai dato per certo che ci sia stato l’ennesimo salto dall’animale all’uomo, soprattutto pensando a Wuhan dove c’è un’altissima densità di popolazione, dove si mangiano animali di ogni genere, cotti e crudi, dove insomma ci sono le condizioni ideali per un contagio. A Wuhan però c’è anche un laboratorio dove – guarda caso – si fanno esperimenti su virus come i coronavirus, ragion per cui alcuni ambienti hanno sostenuto anche l’ipotesi che il virus sia partito dal laboratorio, forse per un errore.

Le mutazioni del virus e il “cricchetto di Muller”

È possibile immaginare quando finirà la “tempesta”?

Credo che non avremo un vaccino affidabile prima di un paio d’anni. Intravedo una speranza. Si sa che il virus muta molto rapidamente e questo potrebbe essere il suo tallone d’Achille. Si chiama “ingranaggio di Muller” o “cricchetto di Muller” (il virus che muta, non può più tornare indietro). Con le mutazioni, il virus introduce nel suo DNA delle varianti che sono quasi sempre deleterie, quindi continuando a mutare perde col tempo la sua carica patogena fino ad estinguersi.

Dovendo trovare un’analogia più riscontrabile nella quotidianità vissuta?

Mi servo di un esempio illuminante che un medico vostro bergamasco, il dottor Giancarlo Minuscoli, mi portò, partendo dall’influenza più comune, che conosciamo tutti. “I primi che la prendono – argomentava – la vivono in forma molto dura e se ne devono magari stare a letto anche per una settimana, poi, via via, le forme calano di intensità. Questo forse perché i virus mutano, per un fatto evolutivo, ed è il caso che introduce queste mutazioni che evidentemente favoriscono l’ospite in qualche modo. Gli ultimi che prendono l’influenza, la passano in piedi”. Questo coronavirus lo conosciamo troppo poco e ci ha spiazzati tutti.

Lei ha fatto autocritica dichiarando che “noi scienziati avremmo dovuto prevedere con molto anticipo”…

Col coronavirus la scienza ha mostrato i suoi limiti. Non abbiamo al momento una cura, procediamo per tentativi. Possiamo debellare il virus solo ritrovando il senso della collettività con occhio tecnico-scientifico. Il virus ha bisogno di una popolazione per propagarsi, per contro noi dobbiamo essere la popolazione che lo ferma. Una comunità che sia tale è molto di più della somma dei suoi singoli e riesce in imprese impossibili alla somma dei singoli.

Aspettando il vaccino, dove e quando arriveremo?

E adesso si aspetta il San Vaccino, ma ci sono anche molte e fondate preoccupazioni che circondano questa attesa, con percepibile strapotere dell’industria del farmaco. Dove stiamo andando?

Intanto, secondo me, fare un vaccino su questo virus è difficile per la sua continua metamorfosi. In molti ci stanno provando, vedremo. Non mi piace atteggiarmi a futurologo.

Come mai noi tutti gli anni dobbiamo vaccinarci contro l’influenza? E come si può predisporre un vaccino anti-influenzale – che è preventivo – rispetto ad un virus che ancora non si conosce?

Il virus cambia, anche poco, ma cambia. C’è da dire che i ceppi influenzali ormai sono ben conosciuti: si sa come mutano e si riesce pertanto a mettere a punto un nuovo vaccino ogni anno. Con il coronavirus non sappiamo quanto muta e pertanto “costruire” un vaccino adesso e iniettarlo a tutti potrebbe essere una perdita di tempo o un azzardo rischioso. È sufficiente un leggero mutamento per vanificare la copertura. E siamo di nuovo esposti, esattamente come per i virus influenzali, dove siamo vulnerabili, anche se abbiamo fatto la vaccinazione l’anno precedente. È un rito che si impone ogni anno, per la nostra salute.

Il grosso problema adesso è capire se chi ha già superato il “covid-19” si potrà reinfettare in futuro o no.

A questo quesito oggi la scienza non è in grado di rispondere. Realisticamente vedo lontana la soluzione del vaccino anti-coronavirus. Quello che bisogna fare adesso è concentrarsi bene sui meccanismi che questo virus innesca nel nostro corpo e che a volte sono letali. Il punto cruciale è l’interazione tra questo vaccino e il nostro sistema immunitario. I grossi guai pare che siano scatenati dal nostro sistema immunitario più che dal virus. Il virus infetta le cellule e poi succede qualcosa nel nostro corpo e in alcuni casi, soprattutto nei pazienti anziani e debilitati, si avvia un processo di degenerazione verso malattie mortali, come questa polmonite che poi non pare una polmonite, ma piuttosto un problema tromboembolico, di microembolie nei vasi polmonari (i polmoni si riempiono di microtrombi). Cade quindi la pista della polmonite interstiziale, come ci avevano spiegato e motivato i cinesi.

Da fisico, ricercatore, studioso, quale sarebbe la sua ricetta?

In primo luogo, capire per tempo cosa succede nel corpo di un malato di “covid-19”; poi cercare una cura. Secondo me, si arriverebbe ben prima alla meta, cioè a debellare il “covid-19”. Certo è però che il vaccino “produce” molti soldi e qui entriamo nella big pharma e nella pericolosità di questi scenari, perché una campagna di vaccinazioni di massa diventerebbe poi un passo obbligatorio.

Fabio Truc oggi: più ottimista, più pessimista o nella terra di mezzo dei “forse”?

Per mia indole sono ottimista, ma nella situazione attuale non riesco a vedere il bicchiere mezzo pieno. Il mio è un ottimismo di pancia, non certo di testa.

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