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Salute

Bergamo

Humanitas Gavazzeni: l’Alzheimer Cafè compie 10 anni

Il 3 giugno il progetto di Humanitas Gavazzeni per assistere malati di Alzheimer e i loro famigliari spegne 10 candeline. Un’assistenza che non è mai mancata, nemmeno durante l’isolamento della pandemia

L’Alzheimer Cafè di Humanitas Gavazzeni compie dieci anni. Ogni giovedì pomeriggio per 10 anni, in Villa Elios e da 2 anni alla Casa del Giovane di via Gavazzeni, l’équipe di Neurologia diretta dalla dottoressa Paola Merlo, gli psicologi Raquel Taddeucci e Andrea Algeri e i Volontari di Insieme con Humanitas, coordinati da Maura Gavazzeni e Maria Bellati, hanno dato vita ad un momento speciale per i malati di Alzheimer e per i loro famigliari, secondo il modello scientifico del neurogeriatra olandese BèreMiesen che per primo inventò questo progetto.

“L’Alzheimer Cafè è un’iniziativa, un lavoro importante che unisce scienza e assistenza, che vede insieme pazienti, medici, psicologici, volontari ecaregiversracconta Paola Merlo, responsabile della Neurologia di HumanitasGavazzeni -. Come da nostra tradizione festeggeremo, anche se a distanza, questo traguardo. Più avanti potremo incontrarci tutti e come ci diciamo sempre “con una fetta di torta e un caffè ritroveremo il sorriso”.

Al gruppo aderiscono dalle 12 alle 15 persone affette da patologie delle demenze e un loro accompagnatore, parente caregiver o assistente privato. Scopo del progetto è donare supporto, fare formazione dei caregivere aiutare le famiglie a vivere la nuova condizione imposta dalla malattia, eliminando il senso di solitudine.

Tante sono state le iniziative proposte in questi anni: dal laboratorio sensoriale a quello di stimolazione cognitiva, dal racconto delle storie personali tramite le foto di famiglia alla musica e alla ginnastica dolce, fino alle video idee. E poi le feste e le gite culturali “fuori sede”, anche al Museo Accademia Carrara che il gruppo è riuscito a visitare prima dell’inizio dell’emergenza sanitaria.

Con l’arrivo del lockdown, il progetto degli “Amici del giovedì” non si è fermato ed è proseguito in altre modalità: si è trasformato in un Cafè Alzheimer 2.0 organizzato con un gruppo WhatsApp che si è evoluto in uno spazio virtuale di condivisione ed ascolto. A questo si sono aggiunti momenti video realizzati dai volontari con il canto, la musica e gli esercizi fisici da fare a casa e le telefonate di supporto psicologico.

Più di recente, gli psicologici guidati da Raquel Taddeucci hanno iniziato a fare visite domiciliari ad ogni ospite per mantenere il contatto visivo, secondo le norme di protezione vigenti.

“Il canale comunicativo che si privilegia durante l’Azheimer Cafè – spiega la psicologa Raquel Taddeucci – è molto fisico, con saluti, strette di mano, abbracci e baci su ogni guancia.Il nostro ultimo incontro risale a giovedì 20 febbraio 2020. Con l’inizio della quarantena, consapevoli che cessare ogni tipo di rapporto con le famiglie avrebbe provocato un senso di abbandono molto forte, abbiamo deciso di spostare le relazioni sul piano virtuale. Rimanere connessi ha permesso alle famiglie di non sentirsi sole, scambiandosi consigli, suggerimenti, saluti quotidiani ma anche fatiche e difficoltà giornaliere. L’obiettivo iniziale della nostra iniziativa si è mantenuto, evitando di aggiungere un senso di isolamento alla situazione difficile che già di per sé le famiglie vivono nell’assistenza ad un malato di demenza”.

Non sono mancati ovviamente i momenti di difficoltà, di sconforto e di fragilità. L’isolamento ha inevitabilmente messo alla prova alcuni nuclei familiari e in particolar modo alcuni caregiver che già vivevano, prima della pandemia, situazioni estremamente delicate.

“La grande difficoltà – continua lo psicologo Andrea Algeri – è data dallo stare costantemente a contatto con il proprio parente malato, senza nemmeno la possibilità di uscire o di avere dei piccoli momenti di socialità condivisa. Ci siamo adoperati per aiutare queste persone con suggerimenti e consigli per affrontare questo nuovo modo di vivere la quotidianità con il proprio caro”.

Le storie ascoltate al telefono sono storie di resilienza familiare, dove i caregiver e i propri cari hanno saputo trovare il giusto equilibrio in un momento così difficile per tutti. Come il signor T., che ha in cura la moglie malata di demenza, e che ha saputo adattarsi all’isolamento sfruttando la tecnologia e facendosi “coccolare” da film, serie tv e videochiamate in compagnia della figlia.

C’è chi non ha smesso di fare quello che faceva prima ma si è solo adeguato alla quarantena, come R. che, alcune sere a settimana, insieme al marito ha portato avanti la passione per film e opere teatrali. Oppure M. che ha sviluppato uno spazio personale di pazienza e tolleranza che sembrava non avere prima, trovando il modo di trascorrere la quotidianità con la smemoratezza del marito, prima così difficilmente accettata. Altri ancora hanno saputo dedicarsi alle faccende di casa o hanno riscoperto vecchie passioni come il cucito o l’orto. Restando uniti, seppur virtualmente, tutti hanno saputo tirare fuori il meglio da questa situazione, a tratti angosciante e dominata da un clima di incertezza e impotenza.

La fase 2 dell’assistenza dell’Alzheimer Cafè è iniziata con le visite a domicilio, nate dalla tanta voglia di re-incontrarsi per dare risposta ai nuovi bisogni emersi durante i mesi di isolamento forzato. Attraverso gli sguardi che spuntano dalle mascherine è stato possibile ritrovare il dialogo personale.

Così, nel massimo della prudenza, sempre a distanza ma insieme, ci si racconta, si ripercorrono questi mesi di tanta preoccupazione, dei ritrovi sulla piattaforma virtuale del gruppo WhatsApp, delle giornate che sembravano non finire mai ma che si dileguavano così velocemente. Un’oretta di condivisione, di monitoraggio per poi darsi appuntamento alla prossima visita.

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