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A bordo campo

“Noi migliori dopo il Covid? Solo se saremo più sobri”

La fragilità umana nel mondo globalizzato: Giuseppe Zois ha intervistato la sensibile e geniale scrittrice Dacia Maraini

Una scrittrice, uno stile di raffinata eleganza, un impegno mai allentato per la dignità della persona. Con Dacia Maraini il linguaggio prende respiro, profondo nei contenuti, denso nella comunicazione, puntando sulla verità.

Dacia dà calore e colore alla parola – parla non a caso di “incantesimo della parola” – imprimendole come lievito la sua carica di umanità. È delicata e tenera e al tempo stesso coraggiosa, ferma e appassionata sulla frontiera delle sue idee e dei suoi ideali di donna e intellettuale. Scrive per la Libertà, in difesa di troppi diritti ancora calpestati, per la promozione delle cause in cui crede, come la giustizia, l’uguaglianza, il rispetto, la solidarietà per tutto ciò che offende e sfregia la vita.

Con la scrittrice abbiamo considerato la fragilità umana nel vortice planetario del “coronavirus”, un morbo ignoto, misterioso, mutevole e letale che ha flagellato i continenti e i popoli, dalla Cina all’America, con interrogativi su questa società. Nel volgere di alcuni mesi, si sono sbriciolate molte certezze e ci si è sentiti di colpo smarriti e angosciati. Poi, appena scattata la “fase 2” della ripartenza, con assembramenti e movide dalla nostra Città Alta fino a Palermo, abbiamo visto in molti quanto può essere letale anche il contagio della irresponsabilità (eufemismo).

Dacia Maraini, lei visse da giovanissima l’internamento in un campo di concentramento a Tokyo durante l’ultima guerra mondiale; ora sta vivendo come tutti questo isolamento forzato per il coronavirus. In che rapporto mette queste due esperienze?

Sono due cose diversissime. Allora l’internamento voleva dire non solo segregazione ma fame, malattie, parassiti, bombe e terremoti e nessuna comunicazione con l’esterno: ogni sera mi stupivo di essere ancora viva. Qui oggi si tratta di stare in casa, dove si mangia, si comunica con l’esterno, si è relativamente sicuri.

Che cosa le pesa di più in questa vita coatta?

Durante il giorno mi va bene perché sono abituata a stare sola e scrivere. La sera, dopo avere finito di scrivere, di solito uscivo con gli amici, andavo a teatro, al cinema, a mangiare una pizza o un gelato. Questo mi manca , non la pizza ma la compagnia degli amici, dei parenti.

E quale paura mette al primo posto della sua vita?

La paura della malattia, anche se non sono una ipocondriaca. Io sono di carattere e abitudini indipendente. L’idea di dipendere da qualcuno mi spaventa.

Abbiamo fatto progressi enormi in tutti i campi. Nessuna epoca ha conosciuto la corsa della modernità. Spesso però non sappiamo dove siamo diretti. Strumenti avanzatissimi, ma viaggiamo nella nebbia.

Questo virus in effetti è molto insidioso e misterioso. Ancora ne sappiamo poco. Solo quando sarà finito e avremo raccolto tutti i dati del mondo forse potremo saperne di più e avremo anche, lo spero, un vaccino.

Stavamo facendo poco per noi, nel vortice del “non ho tempo”. Poi è arrivato il coronavirus a fermarci ai box a tempo indeterminato, anzi con un tempo che molti concordano nel dire non sarà più come quello di prima… Lei pensa che usciremo davvero cambiati? In meglio o anche in peggio?

Dipenderà da noi. Se prenderemo questa malattia come un insegnamento e un incitamento a vivere con più sobrietà e umiltà, miglioreremo. Altrimenti finiremo per autodistruggerci.

Ritiene sarà possibile conciliare meglio che finora le ragioni dell’economia e della scienza con quelle dell’etica?

Gli esseri umano l’hanno sempre fatto. Credo che siamo capaci di farlo anche ora. Certo ci sono coloro che si oppongono, sia per ragioni di interesse che di potere, ma è una strategia stupida perché proprio come ci ha insegnato questa pandemia, siamo molto più collegati, molto più vicini e simili di quanto pensiamo. Non si può ragionare in termini di paese isolato, chiuso e autonomo, dobbiamo capire che siamo dentro una globalizzazione, ma nello stesso tempo dobbiamo spingere la globalizzazione a non muoversi solo sul valore del denaro e del potere ma che vanno ritrovati i meriti della solidarietà e del sentimento comunitario.

Qual è il suo ultimo pensiero prima di dormire e il suo primo saluto al nuovo giorno?

Mi sveglio pensando a come andrò avanti col mio romanzo. E prima di dormire mi soffermo sulle pagine dei romanzi altrui che leggo in continuazione, sia perché sono nella giuria di molti premi ma anche per il piacere di farlo.

Tra i suoi molti libri quale suggerirebbe come più indicato per questo tempo e perché… (meglio La grande festa o Corpo felice, con l’intenso fraseggio su cosa significa diventare donna e uomo nel XXI secolo… )

Penso che La grande festa sia più adatto perché vi si parla di malattia e di morte e in questo momento siamo turbati proprio da malattia e morte, anche quando, nel nostro piccolo, stiamo bene.

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