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Serial ma non troppo

Il ruolo importante della critica al razzismo e delle minoranze nelle serie tv

Quanto è importante rappresentare le minoranze attraverso le serie tv e quanto è necessario pur di arrivare a uno stato di equità.

Quando si parla di storie, una questione fondamentale è sicuramente la rappresentazione delle minoranze. Fortunatamente, la tematica si è sempre fatta più forte e sostenuta nel corso degli ultimi anni, arrivando ad ottenere alcuni casi cast di film e serie tv che rappresentino nel modo più verosimile una società sfaccettata e multipla come quella di oggi. Quanto è importante tutto ciò? Molto, se si considera che la rappresentazione è una prima base per l’accettazione, per la comprensione del mondo dell’altro.

È molto importante, se succedono eventi terribili, come in Georgia, il 23 febbraio 2020. Ahmaud Arbery, un venticinquenne afroamericano, è stato ucciso per strada mentre si allenava, da un ex poliziotto e suo figlio. Inizialmente i due furono assolti per auto-difesa, qualche giorno dopo, è stato diffuso online il video dell’aggressione, che mostra tutto il contrario. I due assassini sono stati arrestati per omicidio ed aggressione.

Quando nel 2020, succedono ancora atti di violenza e di discriminazione razziale, la scelta di rappresentanza delle minoranze diventa un atto politico, un atto sociale più che necessario. Ma come viene trattata la questione nel mondo particolare delle Serie Tv? Il discorso è valido per qualsiasi altro tipo di minoranza

Nel seriale, il fenomeno della rappresentazione è lungo e alquanto difficile. Si è passati dalle prime serie in cui o si aveva una totale assenza di un personaggio di colore, oppure ricoprivano solo ruoli marginali e stereotipati, come il maggiordomo oppure l’amico bonaccione. Si è giunti alle prime rappresentazioni di un’intera famiglia afroamericana (con i suoi pro e contro) con i Jefferson nel 1975, a quella anni ‘90 de” Il Principe di Bel Air”. Sono molte le sitcom che nel corso del tempo hanno trattato più o meno esplicitamente questo argomento: passiamo da “Scrubs”, sitcom iconica con protagonista Zach Braff nei panni di JD, insieme al suo amico inseparabile Turk, di cui emblema è la puntata “I miei quindici minuti”: il Dottor Kelso (direttore dell’ospedale) sfrutta l’immagine di Turk, dottore afroamericano, per permettere all’ospedale di costruirsi una reputazione di solidarietà antirazziale: “Sì, tutti credono che io sia un bravo atleta, o che sia nato povero o che ami i Sanford and Son”.

Nella fortunata Brooklyn-99, con l’episodio “Moo Moo”, l’argomento è declinato sotto l’aspetto delle forze della polizia. Il Sergente Terry Jeffords (Terry Crews) si scontra con un inconsapevole poliziotto razzista, mentre sta cercando un giocattolo per sua figlia: ”Quando mi hanno fermato l’altro giorno, non ero un poliziotto. Non ero una persona che vive nel quartiere alla ricerca del giocattolo di sua figlia. Ero un uomo nero, un pericoloso uomo nero. Questo era tutto ciò che vedeva: una minaccia”. Jeffords vorrebbe sporgere denuncia, ma poi decide di avere un faccia a faccia con l’uomo che ha quasi rovinato la sua carriera, trovandosi di fronte un poliziotto non pentito, incapace di rendersi conto dell’errore della sua azione, a cui Terry risponde: “ma questo non è il lavoro” (This is not the job, man).

La violenza a cui è sottoposta la comunità afroamericana negli Usa è talmente alta che è stato inevitabile la necessità di trattare questa tematica in qualsiasi modo possibile. Serie tv e film sono lo specchio della società in cui vengono create e concepite, dove i temi di rilevanza sociale e politica, confluiscono per restituire un riflesso reale che possa far ragionare.

Un altro esempio lampante è sicuramente l’episodio della ormai mastodontica Grey’s Anatomy: “Crash Into Me”, quando la dottoressa Bailey salva un paziente con tatuata una svastica sul petto. Sintesi di tutta la puntata, sono le parole del dottor O’Malley rivolte al paziente: “La dottoressa Bailey ha salvato la tua vita oggi. Una donna nera ha salvato la tua vita, con un alto costo personale. Quindi, la prossima volta che guarderai il tuo tatuaggio e penserai a quanto tutti quei ragazzi bianchi siano migliori di qualsiasi altro, sarà meglio che ricorderai questa cosa».

Questi sono solamente alcuni dei tantissimi episodi che trattano l’argomento, a secondo del genere e del tono della serie. In particolare due prodotti Netflix – il colossal dello streaming che ha sempre reso pubblici i suoi valori di inclusion- come “Dear White People” e “When They See Us”. La prima, tratta dall’omonimo film, racconta la storia di Samantha, una ragazza di colore (in una scuola bianca) e attivista che conduce il programma radiofonico “Dear White People” (serie ormai giunta alla terza stagione). La seconda è una mini-serie creata da Ava Duvernay, basata sul “caso della Jogger di Central Park”, uno dei fatti di cronaca di massima violenza degli anni ’80.

Emblematici sono gli esempi di “Orange is The new Black”, oppure tutte le serie del regista e produttore Ryan Murphy (Hollywood, Glee, Pose). Da notare è sicuramente la nuova serie italiana “SummerTime”, dove la protagonista di una serie a distribuzione internazionale, Coco Rebecca Edogamhe, è una ragazza di colore. L’attrice in un’intervista del 7 Maggio per Afroitalian Souls ha dichiarato: “Le persone non dovrebbero stupirsi di vedere una ragazza italiana con le mie caratteristiche perché non è nulla di eccezionale, solo che purtroppo non abbiamo mai avuto l’opportunità di essere rappresentate al 100%”.

Sicuramente sono stati fatti molti passi dalla pratica della “Blackface”; comunque siamo molto lontani da un’equa e ampia rappresentazione di tutte le sfaccettature sociali e di conseguenza l’accettazione di esse. Ora come ora il problema è sempre più evidente, e impossibile da evitare, o da nascondere. Si deve riconoscere quando è presente, parlarne e fare tutto ciò che rientra nelle proprie possibilità: che sia una serie, che sia un commento.

In modo tale che la rappresentazione delle minoranze non sia più una questione o un tema, ma che sia un dato di fatto: la normalità.

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