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Maria grazia panigada

“Il teatro è in ginocchio: non ci arrendiamo e prepariamo la ripresa, anche all’aperto”

Maria Grazia Panigada, direttore artistico della Stagione di Prosa e Altri Percorsi del Teatro Donizetti, intanto fa vivere il palcoscenico grazie ai ricordi degli spettatori

Dopo che lo tsunami sarà passato, avremo bisogna di aggrapparci a qualcosa. Quel qualcosa sarà la bellezza, quella fatta di arte ed emozioni genuine, dal vivo. “Sono convinta che i teatri, i musei e tutta l’arte saranno l’ancora di salvezza per questa ripresa”, dice Maria Grazia Panigada, direttore artistico della Stagione di Prosa e Altri Percorsi della Fondazione Teatro Donizetti, bruscamente interrotta dall’emergenza Covid. “Il nostro è un lavoro fatto inevitabilmente di comunità, di sguardi e di vicinanze. Questa relazione ci manca”.

Ora che la distanza è necessaria, sono i ricordi tenere in vita il teatro, chiuso dal 23 febbraio scorso. Spettatori, ma anche artisti e maestranze condividono sui social video, foto o pensieri dello spettacolo della Stagione di Prosa o Altri Percorsi che hanno nel cuore. Un’idea che riflette la forza della comunità del teatro, in attesa di poter tornare dal vivo.

Per ora nessuna certezza, nessuna indicazione o data di riapertura. Solo delle prescrizioni del comitato tecnico-scientifico inviate al governo per stabilire le prossime autorizzazioni, in cui si prevedono biglietti comprati in anticipo online per evitare le code e uno spettatore ogni due posti a sedere.

Un teatro che continua a vivere grazie ai ricordi. Come è nata questa idea?

L’idea è nata nel periodo di massima devastazione causata dal virus. In un primo momento sentivo di dover stare in silenzio, mi sembrava la cosa giusta da fare. Poi ci ho riflettuto. Il teatro è qualcosa di bello, è un luogo di incontro per tutta la comunità bergamasca. Come mantenere in vita tutto questo? È così che è nato tutto: l’unica cosa che possiamo fare ricordare che siamo una comunità che va a teatro insieme. È giusto che ciascuno racconti l’idea gli attimi che si porta nel cuore, proprio come succede per una canzone o per un film. Allo stesso modo accade che uno spettacolo ci attraversi o ci colpisca più di altri. È una cosa semplice e spontanea: può essere una narrazione, un video o una foto da condividere sui social per tutta la comunità.

È una iniziativa nata per il teatro e per gli spettatori, i veri muri portanti del palcoscenico…

La cosa è nata così, poi si è allargata con gli artisti, in questa comunità ci sono anche loro, fondamentali. Non solo, ci sono i ricordi di tutte le persone che lavorano in teatro. tutti quanti, dalle maschere, ai tecnici, agli addetti alla biglietteria e alla comunicazione. Sono persone che in teatro ci passano la vita.

Riuscite a sostenervi a vicenda tra voi operatori della Fondazione?

Questo periodo di lontananza forzata mi ha dato confermato del fatto che siamo davvero un bel gruppo. C’è una grandissima sintonia professionale e umana tra di noi. Lavorare con questa serenità è un privilegio e una fortuna. Per queste ragioni la lontananza non è facile. Respiriamo un clima di sospensione. Il nostro è un mestiere fatto necessariamente di relazioni, sul palco e in platea. Questa relazione ci manca tantissimo. Crediamo tanto nel contatto, negli sguardi, nelle vicinanze. In questo momento è tutto sospeso e ci muoviamo nell’incertezza di non sapere cosa sarà domani.

La stagione di Prosa e Altri Percorsi è stata interrotta sul più bello. Cosa state progettando ora?

Proviamo, nella confusione, a immaginare nuovi possibili scenari per la prosa, restando al passo con tutto ciò che sta accadendo. Il teatro fatto di relazioni, secondo me, è difficile da fare in altre dimensioni che non siano quelle tipiche del teatro. Per ora stiamo cercando di recuperare il possibile di quello che abbiamo dovuto cancellare.

State impiegando tutte le energie per riprogrammare, ma per ora non ci sono direttive né date certe.

Secondo me, il vero problema è capire come procedere nei confronti dell’emergenza sanitaria. Al di là del fatto che se ne parli o meno, il teatro è uno di quei luoghi in cui la gente si raduna. Nel caso della stagione di Prosa e Altri Percorsi della Fondazione Teatro Donizetti parliamo di 4400 abbonati. È il nostro punto di bellezza e di forza, ma complesso da gestire. È una ferita che non si parli di questo. Io sono convinta che i teatri, i musei saranno l’ancora di salvezza di questa ripresa. Anche per l’orgoglio delle nostre comunità. Ad un certo punto bisognerà aggrapparsi alla bellezza artistica che noi produciamo. Al momento della chiusura, una stagione era già programmata. Ma quando sarà possibile riaprire e a che condizioni? Finché non siamo in grado di sapere questo è difficile fare ipotesi.

State pensando a degli eventi all’aperto in estate?

Stiamo iniziando a ragionarci. Stiamo iniziando a prendere in considerazione l’ipotesi. Dobbiamo prima capire se è possibile e a quali condizioni. Non dipende tutto da noi costruire, dipende da cosa ci viene detto rispetto alle è possibilità e alle condizioni dei decreti. Ovviamente c’è anche la preoccupazione di un settore che è in ginocchio. E la preoccupazione è soprattutto per tutte le persone che collaborano a chiamata, dai tecnici alle compagnie; in particolare le piccole realtà, ma grandi da un punto di vista artistico, che non hanno aiuti né finanziamenti.

Questo renderebbe sicuramente felici spettatori e abbonati, così affezionati alla prosa.

Lo vedo dai ricordi che pubblicano. Il teatro è una parte importante della vita delle persone, quindi a maggior ragione abbiamo nei loro confronti una responsabilità.

Si ricorda la prima volta che è entrata in un teatro?

Certo, lo ricordo ancora. Ero alle medie, una bambina. Ero al Teatro Tascabile di Bergamo, che all’epoca stava alla Cittadella. Vidi uno spettacolo sulla cultura popolare che mi rimase impresso.

Il teatro adesso è il suo lavoro. Riesce a immaginare la prima volta in cui ci ritornerà?

Quando penso a quando tornerà in teatro, mi viene in mente l’ultima volta in cui Benvenuto Cuminetti, entrò nel Teatro Donizetti. Lui che rivoluzionò la prosa a Bergamo all’epoca era malato. Nei suoi confronti avevo un debito professionale e affettivo, perché è stato il mio maestro. Eravamo soliti entrare spesso in teatro insieme, ma quella volta mi disse di voler andare da solo. Mi sono convinta che quel giorno lui volesse salutare il Donizetti. Quando penso al momento in cui potremo nuovamente varcare la soglia di un teatro, mi viene in mente quel ricordo. Pur se collettivo, sarà un saluto che vivremo individualmente nel profondo.

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