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Niccolò carretta

“In Lombardia pochi tamponi: 99 ogni 100mila abitanti, in Veneto sono 166”

L'analisi dell'emergenza di Niccolò Carretta, consigliere regionale bergamasco del gruppo Lombardi civici europeisti e membro della commissione sanità: "Ospedali eccellenti ma scarsa territorialità, agli errori del passato non si rimedia in due mesi"

L’intervento di Niccolò Carretta, consigliere regionale bergamasco del gruppo Lombardi civici europeisti e membro della commissione sanità: “La contraddizione della Lombardia, ospedali eccellenti ma zero (o quasi) territorialità: gli errori del passato non si sistemano in due mesi”.

L’analisi dell’emergenza

Il sistema sanitario lombardo rappresenta una delle più grandi ed evidenti contraddizioni esistenti in Italia: gli ospedali della Lombardia, infatti, figurano nella prima metà della classifica stilata pochi giorni fa dal settimanale americano Newsweek che, in un articolo molto discusso e letto, ha selezionato i primi 100 ospedali al mondo per qualità dell’assistenza offerta dai medici e dal personale sanitario. Secondo questa classifica, basata su punteggi specifici, la struttura ASST Papa Giovanni XXIII, per esempio, è il quarto ospedale in Italia, un primato che “stona” se confrontato con la crisi sanitaria che stiamo vivendo in questi mesi.

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Per comprendere questa grandissima contraddizione, però, bisogna riavvolgere il nastro di qualche anno, quasi venti per l’esattezza, quando la Giunta Regionale guidata dal presidente Formigoni decise di cambiare radicalmente il sistema sanitario della Lombardia e quando successivamente Maroni scelse di “azzoppare” definitivamente la sanità di prossimità.

C’è una distinzione che occorre fare prima di affrontare il tema, che è tra sistema sanitario “ospedalizzato” e “territoriale”. In questa enorme trasformazione formigoniana – va detto – i nostri ospedali si sono specializzati molto, diventando i migliori per trapianti, operazioni e terapie, ma l’errore che è stato commesso dalla politica lombarda, oltre a quello di privatizzare nel modo sbagliato e con i criteri confusi, è stato di dimenticarsi che esiste un sistema sanitario territoriale ugualmente importante, che è quello che avrebbe salvato moltissime vite in questi ormai 3 maledetti mesi e che ha completamente abbandonato i tanti bravi medici di base della nostra Regione.

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Il problema, per Regione Lombardia, che all’improvviso si è trovata travolta da uno tsunami di dimensioni inimmaginabili è stato proprio quello di non avere una struttura territoriale solida in grado di reggere il colpo e, correndo ai ripari, ha scelto l’unica strategia percorribile: ha ospedalizzato la crisi, portando il Covid-19 nelle strutture eccellenti di Regione Lombardia, sperando che l’altissima preparazione di medici e personale sanitario sarebbe bastata per gestire l’emergenza.

Così, purtroppo però, non è stato e la crisi è degenerata con picchi di 90/100 ospedalizzati al giorno per singola struttura. La pressione è stata troppa e un insieme di fattori tra cui la zona rossa mai arrivata, una partita con 40.000 bergamaschi a San Siro e una fortissima spinta commerciale tra bergamasca e Est del mondo, legata ad un’alta densità abitativa, ha fatto il resto.

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Oggi la situazione è più stabile, ma stiamo procedendo a tentoni in una fase 2 che doveva incominciare con una mappatura completa dei contagi e con un adeguato livello di conoscenza dell’indice di trasmissibilità per ogni area. Oggi in Lombardia ogni tre persone testate con tampone se ne trova una positiva, mentre in Veneto il rapporto è di uno su tredici.

Sempre il Veneto, che ha aggredito in maniera diversa questa epidemia, analizza lo stesso numero di tamponi della Lombardia, ma il rapporto tra test rinofaringei e abitanti non può essere paragonato. Nella Regione governata da Fontana si fanno 99 tamponi ogni 100.000 abitanti, mentre Zaia ne analizza ben 166.

Agli inizi di maggio l’indice di trasmissibilità è sceso tantissimo, arrivando a toccare addirittura r=0,55, un risultato buono, ma frutto di un severo lockdown osservato e rispettato in maniera impeccabile dai bergamaschi e dai lombardi.

Il rapporto percentuale tra positivi e il numero degli abitanti è allo 0,32%, sempre secondo i dati forniti da Regione Lombardia, un dato neutro e incompleto che non può farci star tranquilli considerando l’altissimo numero di positivi potenziali non diagnosticati che in questa fase 2 ha iniziato a circolare.

Infine il rapporto, e qui ritorno sul tema relativo alla territorialità della sanità Lombarda, tra il numero di pazienti e Medici di Medicina Generale è impietoso: 1322.

Infine, credo sinceramente che non faccia bene al morale e alla fiducia delle persone il fascicolo conoscitivo aperto dalla Procura di Milano sulla scelta di Regione Lombardia di incaricare con affidamento diretto la multinazionale Diasorin per la sperimentazione dei test sierologici.

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Anche il Governo, sul piano nazionale, ha commesso errori che potevano essere evitati. Uno sicuramente è quello relativo alla gara sui reagenti per i tamponi che dovevano essere inviati alla nostra Regione, un territorio in emergenza da più di due mesi e una gara che parte in queste ore. Clamoroso e ingiustificabile il ritardo.

Concludo dicendo con rammarico che purtroppo un sistema martoriato per anni, tra tagli e riorganizzazioni, non può essere sistemato in pochi mesi: i danni sono stati arrecati anno dopo anno e chi ci ha rimesso, oltre ai malati e alle vittime, sono tutti quei bravissimi medici e infermieri che con impegno e uno sforzo sovrumano si sono caricati sulle spalle quest’emergenza sanitaria.

Il ruolo della politica, in questa fase 2, ma soprattutto ormai in vista della fase 3 è quello di smetterla di litigare e iniziare a proporre, con una catena di comando chiara, e a produrre risultati concreti per aiutare chi ha bisogno, siano essi cittadini o imprese, assicurarsi che i DPI siano disponibili per tutti e dare il più possibile poche regole chiare.

La politica ora ha il compito di iniziare ad essere concreta e deve fidarsi dei cittadini, delle persone straordinariamente normali che ci hanno salvato, continuando a lavorare o restando a casa.

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