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A treviolo

“Sopravvissuto al campo di concentramento, papà è stato stroncato dal Covid”

Maria Pina Sardo racconta la storia di suo padre Francesco, 96 anni: "Cade martire di una guerra in cui non ha potuto salvarsi come la prima volta"

Un altro dramma legato al Covid 19 ripercorso da chi l’ha vissuto. Maria Pina Sardo, di origine sarda ma residente in Bergamasca da 25 anni, racconta la storia di suo padre Francesco, 96 anni, che è venuto a mancare a causa di questa pandemia.

Papà era rimasto vedovo l’anno scorso. Abitava in Sardegna ed era venuto a stare qui da me a Treviolo. Ai primi di marzo sognavo già il momento in cui saremmo ritornati là a riaprire la sua casa.

Era per noi un grande orgoglio che lui fosse arrivato a quell’età senza malattie gravi e con un ancora tanta voglia di vivere, di conoscere, di osservare e di stupirsi. Aveva fatto la Seconda Guerra Mondiale ed era stato catturato insieme ai suoi colleghi militari dai tedeschi e portato in un campo di lavoro in Germania, dove era rimasto per due anni prigioniero, in condizioni disumane. Una notte avendo saputo che probabilmente per anticipare l’arrivo degli americani avrebbero ucciso tutti nel campo, era scappato insieme a un suo amico e attraversando la foresta nera era andato in un campo di militari americani e si era salvato.

Due mesi fa, il 13 marzo, io sono stata male accusando febbre e vomito. Ho chiamato subito la guardia medica e mi hanno detto di star tranquilla perché era il virus gastrointestinale. Sono rimasta chiusa nella mia stanza per tre giorni ma quando mi sono alzata papà iniziava a sentirsi debole e a stare poco bene.

Martedi 17 marzo gli ho misurato la febbre e l’aveva a 38. Ho chiamato il mio medico che mi ha fatto comprare il saturimetro. La sua saturazione era 89 -90. Ho chiamato subito il 118 e mi hanno detto “no stia tranquilla 89 -90 va ancora bene, ci richiami quando alla saturazione arriverà 85” .

Il mio medico di base era malato anche lui di di coronavirus e lavorava da casa. Ci prescrive antibiotico e tachipirina.

Passano i giorni e la febbre è sempre molto alta, sui 39. Domenica 22 marzo la saturazione scende a 85, chiamo dunque il 118 e mi rispondono senza troppi giri di parole quando vengono a sapere l’età “no, noi non veniamo”.

Purtroppo erano le settimane più dure e devastanti, quelle in cui si facevano ottanta ricoveri al giorno al Papa Giovanni e dunque erano tutti impegnati a salvare vite di persone più giovani. Allora chiamo la guardia medica affinché qualcuno mi dicesse qualcosa. Sono arrivati due giovani medici da Dalmine, hanno visto chiaramente che aveva la polmonite e mi hanno fatto due impegnative per la cura di ossigeno, una per quello liquido una per quello gassoso.

Chiamo molte farmacie e mi risponde solo la farmacia Santa Lucia di Bergamo. La farmacista, gentilissima, mi attiva subito la pratica per ottenere la bombola grande di ossigeno liquido a casa, che però sarebbe arrivata il mercoledì successivo. A quel punto ci rendiamo conto che mercoledì era troppo lontano e papà non poteva stare senza ossigeno per tre giorni. Da quel momento è iniziata una caccia estenuante, straziante, all’ultimo minuto per la ricerca delle bombole di ossigeno gassoso.

Nel frattempo i miei sintomi però erano nettamente peggiorati, avevo perso gusto e olfatto e tutte le sere mi sembrava di avere la febbre ma non l’avevo, ero stanca spossata e dopo una settimana mi è arrivata anche la tosse secca.

Tornando a mio padre, è scattata dunque una corsa contro il tempo per recuperare le impegnative e l’ossigeno gassoso. Io da casa e le mie sorelle una da Siena e l’altra da Napoli abbiamo chiamato tutte le farmacie di Bergamo e provincia ma la risposta era sempre la stessa “no, non abbiamo l’ossigeno”.

Mia sorella da Siena trova una bombola della Farmacia Centrale di Bergamo e mio figlio corre a prenderla, e così ancora un’altra farmacia risponde di sì a Seriate. Il mio medico mi manda le impegnative firmate scritte a mano su WhatsApp e vado avanti con quelle implorando le farmacie di accettarle.

Mio figlio per tre giorni corre da una parte all’altra di Bergamo, prima per prendere le bombole poi il giorno dopo per restituirle. La farmacia Bianchi di Treviolo, anche su consiglio del sindaco di Treviolo, per il primo giorno mi dà un macchinario che genera ossigeno e li ringrazierò per sempre perché mi hanno aiutato in quel momento così difficile.

Nel frattempo il mio riferimento è sempre stato mia nipote Veronica, infermiera che lavora all’ospedale le Scotte di Siena, ogni dubbio ogni cosa chiedevo a lei, con videotelefonate e report giornalieri costanti.

Finalmente mercoledì arriva la bombola di ossigeno liquido e tiriamo un sospiro di sollievo perché ci avevano detto che sarebbe durata almeno una settimana. Invece il giorno dopo ci rendiamo conto che la bombola grande era già arrivata alla metà perché papà stava cominciando ad aggravarsi aveva bisogno di tanto ossigeno. Quindi sono costretta a contattare il mio medico e così è continuata la ricerca dell’ossigeno aspettando che arrivasse l’altra bombola grande, Nel frattempo avevo attivato anche l’assistenza di una infermiera privata che per tre giorni ha messo le flebo a papà perché cominciava a non mangiare.

Venerdì 27 marzo nel pomeriggio gli ho fatto sentire la canzone di Roby Facchinetti “Rinascerò Rinascerai” e lui da amante della musica l’aveva ascoltata in un silenzio contemplativo. Dopo un’ora la serenità era già volata via perché comincia ad accusare dolore forte alla gamba e mi rendo conto che ha un piede completamente giallo senza circolazione sanguigna. Varie telefonate e consulti finché non trovo la guardia medica la quale alle ore 21 del venerdì sera viene e si accorge che papà aveva avuto una trombosi alla gamba.

Così abbiamo chiamato il 118 i quali tempestivamente sono arrivati e lo hanno portato all’Humanitas Gavazzeni. Non dimenticherò mai quando mentre lo vestivo cercando di tranquillizzarlo gli dicevo che doveva andare all’ospedale per fare le lastre, gli accertamenti e le analisi del sangue e che dopo tutti i controlli sarebbe tornato a casa.

Il ricordo di quando lo hanno caricato prima sulla lettiga e poi sull’ambulanza è molto doloroso e mi accompagnerà per sempre. Poi  tutto passa nelle mani esperte e attente dei medici dell’ospedale.

Mia sorella li chiama all’una di notte e parla con un medico chiedendo che non venisse abbandonato vista la sua età. Questo medico paziente e gentile ha tranquillizzato mia sorella dicendole che avrebbero fatto il possibile per salvarlo.

Purtroppo però la trombosi alla gamba diventerà la sua condanna morte perché non potendolo operare visto l’età e la situazione polmonare.

Dopo tre giorni ci hanno comunicato che stava soffrendo molto per il dolore alla gamba e che quindi avrebbero dovuto sedarlo e dargli della morfina. Papà il 2 aprile è volato via dormendo.

Cade martire di una guerra in cui non ha potuto salvarsi come la prima volta. Una guerra assurda che lo ha portato via in due settimane e che ci ha lasciato attonite, impotenti e disperate.

Non meritava di morire così papà. Mi sarebbe piaciuto regalargli il suo ritorno a casa e vivere un’altra estate insieme a tutte noi. A casa sua tornerà dentro una scatola perché anche lui è stato portato via dai camion militari e condotto in provincia di Cuneo per la cremazione.

Noi sorelle abbiamo interpretato il trasporto nel camion militare come un atto di grande onore per lui che per anni ha lavorato nella forza armata dell’Aeronautica Militare Italiana.

Ringrazio comunque tutti quelli che ci hanno aiutato. Ciao Papà, riposa in pace e salutaci mamma, ora siete di nuovo insieme per sempre.

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