Sono più di mille, e sono tra gli invisibili dell’emergenza occupazionale successiva al Coronavirus. Sono i lavoratori e le lavoratrici (la maggioranza) delle mense scolastiche, dallo scorso febbraio lasciate senza lavoro e senza stipendio, da allora in attesa del FIS, il Fondo d’integrazione salariale.
“Sono lavoratrici già contrattualmente deboli in partenza – racconta Luca Bottani di Fisascat Cisl Bergamo: quasi tutte vengono sospese dal lavoro a fine anno scolastico o per le chiusure festive e riassunte alla ripartenza. Tanti addetti al servizio mensa hanno contratti verticali da 15 ore settimanali, per soli nove mesi l’anno. Oggi, i ritardi nell’erogazione del sostegno al reddito previsto per la categoria e di competenza dell’Inps stanno lasciando molte famiglie sul lastrico”.
Adesso, inoltre, inizia a farsi forte la preoccupazione per quanto accadrà a settembre.
“L’ingresso a scuola scaglionato e contingentato, come ipotizzato dal Ministero, comporterà giocoforza ricadute negative anche sul servizio mensa e sul numero di addetti necessario, e di conseguenza anche sulle aziende, molte delle quali con sede sul territorio bergamasco. I redditi che percepiscono soprattutto le lavoratrici sono molto bassi. Il FIS non prevede la maturazione dei ratei di tredicesima e quattordicesima. Questo non permette alle lavoratrici di crearsi quel piccolo ‘salvadanaio’ per sopravvivere anche nei mesi estivi in cui non si percepisce lo stipendio”.
“Crediamo – conclude Claudia Belotti di Fisascat Cisl di Bergamo – che debbano essere individuate ad ogni livello forme di sostegno specifico sia per i lavoratori che per le aziende che vivono prevalentemente dell’attività di questo settore”.
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