Smart working, il lavoro da casa ha permesso a molti di continuare la propria professione e di offrire servizi in queste lunghe settimane di chiusura totale.
Il Comune di Bergamo si è rivelato un ente pronto ad affrontare l’emergenza, nonostante la bufera che si è abbattuta sul servizio anagrafe non è mai mancata la puntualità e l’espletamento delle pratiche.
“L’idea che l’accesso ad Internet sia un diritto per ogni cittadino ci accompagna ormai da qualche anno – osserva Giacomo Angeloni, assessore all’Innovazione del Comune di Bergamo – Servirà inserirlo in Costituzione come diritto. L’Italia in questi anni nella connettività ad Internet è un Paese a due velocità. In questa emergenza ci siamo resi conto di quanto fosse necessario. Noi abbiamo due parti in commedia: come amministrazione pubblica dà delle linee guida ma siamo anche una grande azienda perché abbiamo più di 800 dipendenti”.
Prima dell’emergenza lavoravano in smart working al Comune di Bergamo 52 dipendenti.
“Oggi, nel momento dell’emergenza, sono 482 le persone che lavorano in smart working al Comune di Bergamo, pari al 53% dei dipendenti. Questo permette di tenere aperto il Comune di garantire tantissimi servizi ai cittadini”.
Possiamo parlare di primato bergamasco? “Sì, ma questo primato è stato raggiunto grazie agli investimenti fatti negli anni scorsi – risponde Angeloni -. Abbiamo investito sia dal punto valoriale, perché non sono mancate le reticenze e togliersi dalla testa l’idea dell’impiegato comunale che timbra il cartellino e poi va a bere il caffè. Con lo smart working è più facile controllare il lavoro dei dipendenti perché si è concentrati sugli obiettivi e non sulla presenza fisica. Bergamo è un primato italiano e un esempio anche grazie a Inail Bergamo. Siamo anche consapevoli che non avremmo potuto affrontare questa crisi se non avessimo investito e formato i nostri dipendenti”.
Alessandro Arioldi, presidente Giovani Imprenditori di Confindustria Bergamo e amministratore delegato di Easytech che fa dello smart working un porta bandiera.
“Il vero smart working non è proprio quello che abbiamo sperimentato in queste settimane, ma da tempo le aziende si erano preparate ad istruire i propri dipendenti per diventare smart – afferma Alessandro Arioldi – se questa pandemia fosse capitata due anni fa non avremmo affrontato così l’emergenza. Il livello mentale di un’azienda è cambiato, spesso non si immagina che una persona possa lavorare da casa. La tecnologia in questi ultimi anni ci ha aiutato perché è una tecnologia a basso costo”.
Non sono mancate delle lacune. “Noi dobbiamo ringraziare molte aziende private che hanno investito in questo settore prima ancora delle amministrazioni pubbliche – aggiunge Arioldi – penso a Planetel che ha investito molto sulla connettività dell’ultimo miglio. Chiaramente ci sono vari tipi di connessione e lo abbiamo testato in questo periodo con le video chiamate. Le connessioni di Eolo, ovvero wireless, ha dimostrato i suoi limiti. Sulla connettività fissa bisogna investire, è fondamentale: il futuro del lavoro passerà da lì”.
Di una medaglia c’è sempre un lato negativo. “Lo smart working ha dei limiti: troppe call. Poi non c’è più un orario di lavoro, ma si pensa che una persona possa lavorare 24 ore al giorno in qualsiasi momento, ma non è così – un altro aspetto è quello psicologico. Siamo abituati al legame con i colleghi, alla solidarietà del lavoro di squadra che non si può ricreare. Anche la semplice pausa caffè è importantissima per i rapporti interpersonali. Sono convinto che si deve trovare un equilibrio tra smart working e lavoro in ufficio, con una equilibrata forma che potrà permettere alle aziende un’adeguata turnazione e il raggiungimento di importanti obiettivi grazie al lavoro di squadra”.
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