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La lettera

“Io, infermiere a domicilio, da settimane attendo l’esito del tampone: è così che ci considerano?”

"Va tutelato il 'diritto alla salute' anche per le persone fragili che sono a casa. Se non lo abbiamo ancora capito, la sanità territoriale è la vera priorità"

Riceviamo e pubblichiamo la lettera di S.B., infermiere che lavora per una casa di riposo del territorio bergamasco.

“Pochi giorni fa Ats ha dichiarato che si fanno mille tamponi per ricerca Covid al giorno e che presto sarà possibile farne anche 2000.
È una bellissima notizia, ma ora vi racconto la mia storia. Sono un infermiere che lavora sul territorio, per dirla in parole povere faccio assistenza domiciliare integrata in una delle tante strutture cui fa capo l’Ats per erogare i propri servizi ai malati che si trovano a casa.

Il giorno 25 marzo, al rientro dal lavoro, scopro di avere la febbre e, come stabilito dall’ordinanza della Regione Lombardia n. 514 del 21/03/2020 sospendo la mia attività lavorativa in attesa che mi venga effettuato un tampone naso-faringeo per ricerca di SARS-CoV2, come previsto dall’ordinanza stessa.

Nei giorni successivi vengo contattato più volte dalla mia responsabile che mi comunica che, purtroppo, non c’è modo di effettuare il tampone poiché i tamponi stessi non sono disponibili.

In seguito la Regione Lombardia, con nota del 01.04.2020, stabilisce l’assoluta impossibilità a rientrare al lavoro per gli operatori sociosanitari assenti per malattia se non dopo l’effettuazione di un doppio tampone negativo per la ricerca di Covid19 e demanda inoltre alle singole Ats l’emanazione delle relative procedure operative.

Quella di Bergamo, durante un incontro tenuto l’8 aprile, comunica la procedura operativa decisa indicando le modalità pratiche per l’effettuazione dei tamponi. Finalmente, dato che la mia sintomatologia è regredita nei primi giorni di aprile, il 20 aprile vengo sottoposto a un tampone e, a tutt’oggi, 13 giorni dopo, non mi è stato ancora comunicato l’esito.

A questo punto mi sorgono spontanee alcune domande: come mai gli operatori sociosanitari che lavorano in strutture pubbliche o private convenzionate, quando effettuano i due tamponi hanno risposte celeri, nell’ordine delle 24-48 ore? Se non addirittura in giornata? Come mai noi operatori del territorio, e in questi ci metto anche quelli che lavorano nelle RSA perché anche miei colleghi che lavorano in case di riposo sono nella stessa situazione, dobbiamo aspettare così tanto?

Leggo sui giornali che in parecchie RSA (e penso sia la stessa cosa anche per chi lavora sul territorio) manca il 30-40% del personale perché a casa in malattia, magari in attesa di tampone. Non è bastato quello che è successo finora sul territorio e nelle RSA? Ci siamo già dimenticati di come il territorio e le case di riposo siano stati trascurati e fortemente penalizzati durante l’emergenza Covid? Dobbiamo penalizzare la sanità territoriale ulteriormente? O per l’ennesima volta si è deciso di privilegiare l’ospedale a discapito del territorio? Scusate lo sfogo, non ce l’ho di certo con chi lavora in ospedale, ci ho lavorato anche io e so che certe decisioni non dipendono di certo dagli operatori.

Vorrei solo un po’ più di considerazione per chi lavora, con la stessa professionalità, dedizione e dignità, anche in luoghi che non siano l’ospedale, ma vorrei soprattutto che venisse tutelato il “diritto alla salute” anche per gli ospiti delle RSA e per tutti quelli, soprattutto in condizione di fragilità, che vengono assistiti a casa perché, se non l’abbiamo ancora capito, è la sanità territoriale la vera priorità!”

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