“Le difficoltà si sono ampliate, ma allo stesso tempo abbiamo riscoperto il vero valore della vita”. Enrico Coppola spiega la situazione all’interno della sua Comunità di recupero Aga di Pontirolo Nuovo in tempi di emergenza Covid 19, con la gestione di 45 persone dai 18 ai 50 anni legate da un passato difficile nel mondo della droga, dell’alcol o del gioco d’azzardo, resa ancora più complessa dalle limitazioni anti-contagio.
Spazi da riadattare per assicurare il distanziamento, iniziale difficoltà nel recuperare mascherine, e momenti di tensione legati alla situazione: sono solo alcuni degli ostacoli che in queste settimane si sono aggiunti a quelli abituali per gli undici dipendenti della struttura attiva da 26 anni in una cascina isolata nel paese Bassa.
Coppola, avete avuto contagiati finora?
“Per fortuna no. O meglio, alcuni dei nostri ospiti hanno avuto sintomi riconducibili al coronavirus, ma solo lievi e non sono stati sottoposti al tampone per accertare la positività. Dopo il periodo in isolamento dagli altri, ora stanno bene e sono tornati in gruppo. Solo un ragazzo, pochi giorni fa, ha avuto una crisi respiratoria grave, ma una volta trasportato in ambulanza all’ospedale di Treviglio i sanitari hanno appurato che non era legata al virus”.
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Come state gestendo la situazione all’interno della struttura?
“Non è semplice. Prima di tutto abbiamo dovuto ridisegnare gli spazi per assicurare la distanza sfruttando anche aule che utilizzavamo per scopi ludici. Poi abbiamo avuto difficoltà nel reperire le mascherine e allora alcuni ragazzi si sono messi all’opera per realizzarle con il tessuto. Infine le crisi di ansia e panico dovute alla preoccupazione per il momento, ormai all’ordine del giorno”.
Come riuscite a gestirle?
“Il supporto psicologico è fondamentale. Il nostro personale è preparato anche per questo. Inoltre mostriamo agli ospiti due telegiornali al giorno, in modo da far capire loro che la situazione è seria e a cosa è dovuto l’isolamento in cui ci troviamo”.
Tra il personale ci sono stati infetti?
“No, anche grazie alle misure adottate, non ne abbiamo avuti. Abbiamo deciso di tenere in servizio solo gli undici principali, quelli necessari per garantire i turni diurni e notturni. Per il momento, e purtroppo chissà per quanto, abbiamo scelto di rinunciare ai 30 volontari che arrivavano da fuori per i vari laboratori di arte, musica e fotografia. Così come le visite dei parenti. Anche per questo a volte gli ospiti vanno in crisi”.
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Nella sua lunga carriera aveva mai vissuto un’esperienza simile?
“Mai. Ma devo dire che per noi ha avuto anche un risvolto positivo: attraverso l’isolamento e la riflessione spirituale, abbiamo potuto riscoprire il significato e il valore della vita. Un aspetto che può essere determinante nei nostri percorsi di recupero”.
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