Il normale rientro al lavoro gli è stato negato per via della sua attività di volontariato: è una storia incredibile e assurda al tempo stesso quella raccontata da Alberto Togni, un soccorritore del 118 di Bergamo.
“Dal giorno del lockdown la mia azienda si è fermata perché non rientrava nei codici ATECO come necessaria – spiega -. Da allora ho continuato a svolgere in maniera più attiva servizio in ambulanza data la situazione emergenziale e il tempo libero che avevo in più.
Dal 27 aprile la mia azienda ha avuto l’autorizzazione prefettizia per la riapertura anticipata a regime ridotto e, come previsto dalle normative vigenti in materia COVID-19, è stato attuato un protocollo di sicurezza dove sono elencate procedure e regole da rispettare per evitare il possibile contagio.
Tale protocollo prevede di firmare una autocertificazione dove il dipendente attesta di non aver avuto stretti contatti con persone affette da COVID-19 negli ultimi 15 giorni.
Cosa a me impossibile per via del servizio che svolgo.
Segnalata l’incongruenza, vengo ricontattato e mi viene detto che forse è meglio aspettare un attimo nonostante io non mostri sintomi dell’infezione.
La mancata compilazione dell’autocertificazione o l’indicazione di essere entrati in contatto con pazienti positivi impedisce ai volontari di poter tornare a svolgere la loro quotidiana attività lavorativa.
Tutti noi abbiamo operato e stiamo operando nel pieno rispetto delle norme e protocolli di sicurezza, utilizzando adeguati dispositivi di protezione (molto spesso donati da Angeli benefattori) per evitare il contagio attivo e passivo del virus.
IL D.L. 9 marzo 2020 n.14 all’art. 7 Sorveglianza sanitaria recita ‘1. La disposizione di cui all’art.1, comma 2, lettera h), del decreto-legge 23 febbraio 2020, n 6, non si applica agli operatori sanitari e a quelli dei servizi pubblici essenziali che vengono sottoposti a sorveglianza. I medesimi operatori sospendono l’attività nel caso di sintomatologia o esito positivo per COVID-19′.
Ritengo tale prassi da parte dei datori di lavoro discutibile e totalmente illegittima, in quanto l’attività di volontariato non è stata limitata o impedita dalle norme emergenziali adottate.
La ritengo dunque discriminatoria verso soggetti che, con il loro impegno, stanno cercando di contribuire ad aiutare gli operatori sanitari in questa difficile e drammatica situazione”.
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