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L'intervista

Primo maggio senza palchi e musica in piazza: “Noi lavoratori dello spettacolo viviamo nell’incertezza”

"Siamo fermi dal 23 febbraio" raccontano Andrea Pelis, contitolare di un'attività di service strutture e audio, e Stefano Piazzoli, tecnico del suono. Nella totale incertezza su quando torneranno a lavoro, vivono un insolito primo maggio

Fare il lavoro che si ama non è una fortuna che tutti hanno. Chi lavora nel mondo della musica e dello spettacolo lo fa perché mosso da una passione non quantificabile. Non si tratta solo degli artisti, ma di tutti coloro che rendono possibile un concerto in piazza o uno spettacolo in teatro. Macchinisti, addetti luci, scenografi, tecnici del suono e addetti stampa, tutti professionisti che vivono grazie all’arte.

Una categoria messa in ginocchio dalla pandemia in corso. Sono state dette tante cose, sono state fatte tante polemiche inutili, che hanno fatto emergere il vero problema, già esistente prima della pandemia: una percezione sociale di un mestiere a cui non viene riconosciuto il giusto status di servizio fondamentale per la comunità.

“Siamo fermi dal 23 febbraio scorso” raccontano Andrea Pelis, contitolare di un’attività di service strutture e audio, e Stefano Piazzoli, tecnico del suono, entrambi di Bergamo. Nella totale incertezza su quando torneranno a lavorare, gli operatori dello spettacolo oggi vivono un primo maggio che mai si sarebbero aspettati, lontano dai palchi e dalle piazze.

Perché avete scelto di fare questo mestiere?

Andrea Pelis: Per caso. Studiavo e mi serviva un lavoro per mantenermi. Ricordo ancora il mio primo impiego a chiamata nel ‘97 al Teatro Donizetti. Da vent’anni vivo nel mondo dello spettacolo. Ora sono socio di una piccola società di service di allestimenti e spettacoli, che collabora con molti festival e teatri. Era un lavoretto, poi è diventato il lavoro della mia vita. Per caso, mi sono ritrovato ad innamorarmi di questo mestiere.

Stefano Piazzoli: Mi occupo di audio, faccio quasi solo esclusivamente il fonico. Questo perché nasco dalla musica, tanti anni fa, da ragazzino avevo iniziato a suonare e sempre di più mi sono appassionato dalla parte più tecnica del suono. Ho poi lasciato lo strumento e poi, per “testaduraggine”, sono riuscito a far diventare la mia passione il mio mestiere.

Qual è la cosa che amate di più del vostro lavoro?

Andrea Pelis: La possibilità di avere contatti con tante persone e di lavorare in posti sempre diversi. Per come sono fatto io, non riuscirei mai a chiudermi in un ufficio. Questo lavoro mi consente di fare nuove esperienze diverse e di trovare nuovi legami che durano nel tempo. Collaboriamo con festival grandi e piccoli, mi piace l’idea di poter realizzare i progetti delle persone. Non potrei fare altri mestieri.

Stefano Piazzoli: è difficile per me dirlo perché ci sono tanti aspetti che amo. Non nego che il concerto sia forse l’esperienza più bella del mio lavoro. Anche se recentemente ho scoperto un nuovo mondo, quello del teatro che mi ha coinvolto totalmente. Da due anni sono in tournee teatrale, mi occupo del montaggio di parte audio e della scenografia. È un’esperienza totalizzante, la vivo nel senso totale, dal montaggio allo spettacolo. È un mondo veramente straordinario. Dietro ogni concerto, dietro ogni spettacolo ci sono persone che lavorano e che rendono possibile tutto questo.

Come state vivendo questo momento?

Andrea Pelis: Sono fermo dal 23 febbraio, sono in attesa. Mi fa pensare che non ci sia attenzione sufficiente al nostro settore. Non vedo tavoli di discussione. Tanto è vero che non siamo stati nemmeno citati nel Dpcm del 26 aprile. In realtà, questa situazione non è nata sicuramente solo ora. In Italia il settore della cultura ha sempre avuto delle falle, in parte anche per colpa nostra. Da anni si cerca tra le microimprese del settore di costituirsi in associazioni ma non è mai stato fatto. In parte è un problema sociale, perché si tende a vedere il nostro settore come marginale, quasi alla soglia dell’inutilità. Bisogna ripartire da qui per cambiare le cose.

Stefano Piazzoli: Non bene. Da una parte ci sono i problemi economici, dall’altro i pensieri. Chi fa il mio mestiere è abituato a non avere orari, ad essere spesso fuori casa anche per giorni, a non avere una routine. Ora siamo tutti costretti a stare in casa, non è facile per nessuno. Sto cercando comunque di mantenere un contatto, seppur a distanza con i miei affetti. Vivo con l’accettazione del fatto che non sappiamo quando potremo ritornare a lavorare.

Cosa vi preoccupa di più?

Andrea Pelis: In questo momento sono molto, molto preoccupato. Prima di tutto dall’aspetto economico, noi operatori dello spettacolo dobbiamo pensare a come sopravvivere. Poi mi spaventa l’impossibilità di progettazione futura. L’emergenza in cui siamo pone delle grandissime difficoltà, ma per il nostro settore si pongono dei problemi maggiori perché non esistono soluzioni di passaggio. Secondo me, quanto proposto finora, come le piattaforme in streaming a pagamento o i concerti al Drive In, non sono soluzioni che consentono al settore di riprendersi. Inoltre, rispetto ad altre categorie, noi non abbiamo ancora una data certa di ripartenza. Ovviamente capisco che, date le circostanze, non sia facile averla.

Stefano Piazzoli: Oltre all’affitto da pagare e le rate della macchina, la cosa che mi preoccupa di più è che tutto questo si ripercuota duramente sul dopo. Stiamo parlando di un settore che è già abbastanza in crisi, in cui c’è una vera guerra tra poveri per accaparrarsi il lavoro. Detto questo, sicuramente la fame di concerti e spettacolo dopo questo periodo ci darà la possibilità di ripartire. Sui social ho condiviso l’hashtag ‘#iononsonoinutile’ per far capire alle persone che tutto quello che facciamo non è solo divertimento, non è passatempo, ma si tratta di una parte integrante della vita delle persone. Che dietro a un concerto o uno spettacolo ci sono tante persone che lavorano per far sì che questo accada. Senza musica e senza teatro la vita di tutti è un po’ più vuota. Spero che dopo questa emergenza sarà più chiaro a tutti quanti.

Vi siete sentiti lasciati soli dalle istituzioni, invisibili?

Andrea Pelis: Si, ci sentiamo così. E poi dall’essere invisibili all’essere dimenticati del tutto il passo è breve. Per questo, in futuro, ripartire e basta non sarà sufficiente. Quando ritorneremo alla normalità, mi auguro che non si sia indifferenza della gente nel tornare in un teatro e in una piazza. Con la consapevolezza che la cultura è fondamentale.

Stefano Piazzoli: Questo purtroppo è un sentimento comune alla nostra categoria, non solo ora in piena pandemia ma da vari anni. Non esiste ad ora un sindacato o una classe lavorativa in cui possiamo inquadrarci. Devo ammettere che questa è una colpa bipartisan, sia dello stato che nostra, perché non siamo stati in grado di unirci per essere riconosciuti come tutti gli altri lavoratori.

Se vi venisse data ora l’opportunità di parlare direttamente alle Istituzioni cosa direste?

Andrea Pelis: Si prefigge un lungo stop, che andrà fino alla fine dell’estate, il che per noi vuol dire sei mesi senza lavoro, sei mesi senza entrate. Per cui direi sicuramente di non dimenticarci a livello economico, perché quanto fatto non è sufficiente. La cassa integrazione per piccolissime realtà, come quella in cui lavoro, è una novità. È la quarta volta che spedisco la domanda ma ancora non ho avuto la risposta che verrà accertata, questo perché le linee guida della Regione erano sbagliate. E in ogni caso, qualora fosse accettata, sarei coperto solo per due mesi, solo fino a fine maggio. Questo è chiaro problema di burocrazia.

Come passerete questo primo maggio?

Andrea Pelis: Non lavorando, cosa per me impensabile. È la prima volta in ventitre anni che starò a casa il primo maggio. È da sempre una giornata segnata da musica e concerti in piazza, che mi porta a lavorare fuori.

Stefano Piazzoli: Come gli ultimi due mesi, a casa. Mi sembra stranissimo, perché sono da sempre abituato a viverlo in piazza al lavoro con la musica. Sicuramente ricorderò la giornata dei lavoratori come ho sempre fatto, una giornata che da lavoratore ritengo molto importante.

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