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Insieme nella distanza: cosa accade nei servizi per adolescenti con fragilità psichiche fotogallery

In un tempo in cui ci riscopriamo tutti vulnerabili e affaticati, in cui l’emotività a volte si comprime a volte esplode, i servizi che lavorano con adolescenti fragili vivono una prospettiva molto specifica e peculiare

In un tempo in cui ci riscopriamo tutti vulnerabili e affaticati, in cui l’emotività a volte si comprime a volte esplode, i servizi che lavorano con adolescenti fragili vivono una prospettiva molto specifica e peculiare.

Nella comunità Piccola Stella la distanza dai familiari per esempio è la norma; è invece il tempo prolungato e dilatato che è diventato difficile da gestire. Al centro diurno Kaleido, tra interventi educativi di persona e tutorial online si osservano invece oscillazioni diversissime tra loro.

In entrambi i casi, come spesso accade, gli sguardi dai margini, dalle situazioni periferiche della nostra società, permettono l’accesso a dei varchi di umanità autentica che spesso non ha voce, ma conta.

Di seguito le testimonianze di coordinatori, operatori e volontari dei due servizi dell’Area di Neuropsichiatria infantile di AEPER.

 

“Kaleido in questo momento è aperto, come da direttive di ATS, solo per interventi di tipo individuali presso il centro o che garantiscano la distanza sociale.

Siamo aperti tutti i pomeriggi con un operatore che accoglie i ragazzi, con i quali fissiamo degli appuntamenti sulla base delle richieste specifiche che arrivano di settimana in settimana.

Chiaramente oltre al distanziamento, l’operatore in servizio indossa tutti i dispositivi necessari e così i ragazzi.

Il lavoro online invece viene gestito attraverso Telegram, dove i nostri esperti (esterni maestri d’arte, volontari, artisti…) tutti i pomeriggio da remoto propongono tutorial e dirette in continuità con il lavoro che era già avviato al centro quindi scrittura, cucina, disegno etc.

È un momento molto delicato per lo staff per molti motivi. Da un lato ognuno dei nostri ragazzi ha reagito in maniera molto diversa a questa situazione: c’è chi, già tendente all’isolamento sociale, ora non esce nemmeno più dalla propria stanza, c’è chi invece esprime molta inquietudine a tratti aggressività, c’è chi vuole uscire perché non sopporta il limite delle pareti domestiche. Alcuni ancora hanno sovvertito i ritmi sonno/veglia vivendo soprattutto la notte, perché magari quello è il momento in cui la casa è meno affollata e questa è una dimensione da rispettare perché si tratta di una protezione attivata.

Per ognuno di loro bisogna pensare ad un tipo di intervento di tipo sartoriale. Con l’ulteriore fatica di una relazione mediata in cui capita che sentirsi sbattere il telefono in faccia, di venire bloccati su whatsapp, di non poter contare cioè su quel contatto fisico che rendeva maggiormente efficace il nostro intervento.

Delicatezza è la parola che maggiormente adottiamo per declinare l nostro lavoro che, oggi più che mai, ha bisogno di attenzione e cura.”

Dott.ssa Laura Marchesi, coordinatrice del centro diurno per adolescenti Kaleido

 

“Kaleido è un luogo.

In realtà Kaleido non è un luogo, è un gruppo.

In due frasi ho scritto due pensieri diversi e contrastanti tra di loro, quindi ho commesso un errore, quindi le cose non vanno bene già da qui.

Invece vorrei ribaltare ancora quanto detto, ossia che Kaleido è tutto questo, è un luogo, un gruppo e un pezzo della nostra vita dove sperimentare insieme agli altri dei comportamenti o dei pensieri che non avremmo mai condiviso altrimenti.

Kaleido è una pozione, un’essenza da bere quando si sente il bisogno di cambiare qualcosa in questo preciso momento.

Kaleido è un letto comodo ed è una sveglia, ma in realtà sono anche due mani che ti aiutano a rialzarti ma che ti possono anche spingere là; Kaleido è fatto dalle persone e da tutto ciò che portano.

Senza le persone Kaleido sarebbe grigio, incolore, invece grazie a tutto quello che i ragazzi e i meno ragazzi di oggi hanno dentro, Kaleido si colora anche delle loro opacità e brillantezze

Una volta che si è colta questa essenza, un po’ nascosta, allora si è capito cosa è Kaleido.”

Mauro, operatore Kaleido

 

“In queste settimane abbiamo dovuto affrontare un’emergenza imprevedibile e improvvisa che ha stravolto il modo di svolgere le attività quotidiane. In particolare, ha stravolto il mio modo di svolgere il servizio civile. Per fortuna la tecnologia aiuta un po’ a ridurre le distanze per quel che possibile. Gruppi Telegram e contatti telefonici ci aiutano a dare un po’ di continuità coi percorsi intrapresi dal centro. Certo non è equiparabile al lavoro svolto coi ragazzi al centro ma è un modo per far sapere loro che ci siamo, che non devono sentirsi abbandonati e che se vogliono sono liberi di condividere ansie, emozioni e vissuti che possono affliggerli in questa situazione per certi versi surreale anche per noi. È un modesto tentativo per far capire ai ragazzi che ci siamo per loro anche se non fisicamente, testimonianza della volontà di noi tutti di ESSERCI e STARE IN RELAZIONE CON LORO. Certo non è semplice, per certi versi è frustante anche per noi non poter svolgere il nostro ruolo come vorremmo, ma siamo fiduciosi perché insieme questo macigno è più leggero. Questo periodo fa riflettere molto su temi quali la malattia, la morte, la solitudine; credo sia giusto parlarne insieme, vivere emozioni quali la paura e trovare strategie che permettano di affrontare le difficoltà in modo funzionale ed adattivo.”

Tina, volontaria servizio civile Kaleido

 

“In questo periodo di limitazioni, di distacco, ricominciamo (o forse iniziamo) ad apprezzare il vero valore delle piccole cose, dei piccoli gesti, dell’essenziale. La pandemia ha tolto certezze, ci ha spogliati, ci ha reso più veri. Porto sempre con me una frase di una ragazza, non più in Piccola Stella, che a fine progetto, nel tradizionale discorso, di saluto dice: “La Piccola Stella mi ha insegnato ad apprezzare le piccole cose, per essere felici basta poco…”

Il coronavirus e l’isolamento che ne è conseguito hanno posto tutti di fronte ad una grande sfida: reinventarsi. Reinventarsi nel lavoro da casa, reinventarsi nel rapporto con gli altri, reinventarsi anche nel modo in cui vivere la relazione con sé stessi. Ciò è particolarmente vero per una comunità terapeutica per adolescenti.

Qui la quotidianità è stata riorganizzata. Le mani di qualche ragazzo appaiono secche e screpolate per i lavaggi frequenti. Il saluto con i gomiti, a debita distanza, sostituisce gli abbracci, ai quali i ragazzi danno grande importanza: è sentire che l’altro c’è. Anche la rilevazione della temperatura corporea è cambiata, è diventata una “coccola”, un atto di cura e di protezione, una modalità per ritagliarsi uno spazio esclusivo.

I tempi morti, aumentati in maniera esponenziale per la sospensione dei vari laboratori, sono stati riempiti con un uso potenziato, ma sempre protetto, dei videogiochi (meravigliosi i passi e le voci dei ragazzi con la wii), della tv e dello smartphone, che ha permesso loro di prendere consapevolezza sul tema che ci accompagna ormai da 2 mesi.

Ma l’atteggiamento dei nostri ragazzi è diverso da quello dei loro coetanei: non hanno paura del COVID allo stesso modo in cui lo temono gli altri, anche i più grandi. E non perché non siano a conoscenza dei rischi, dei numeri, ma perché il virus, a confronto di quello che portano dentro, sembra il più debole dei nemici. Ai loro occhi il virus è la causa dell’interruzione di un percorso terapeutico. È un mostro invisibile che ha rallentato la corsa ad ostacoli al loro reinserimento nel contesto familiare e sociale.

A loro la quarantena non fa così tanta paura. Hanno imparato a convivere con la mancanza di qualcuno o qualcosa molto prima che un microbo ci imponesse il distanziamento sociale. Loro sanno bene cosa significhi stare lontano dalle persone a cui tengono. Sanno che la famiglia è un buon contenitore quando i legami sono funzionanti e le basi solide, ma sono consapevoli che, se fondata su fragilità, può portare a rapporti distruttivi e conseguenze gravi almeno quanto quelle causate dal COVID.

La residenzialità ti porta inevitabilmente a vivere in un altro mondo. Oggi, forse per la prima volta, i nostri guerrieri sono i più “fortunati” tra gli sfortunati. Vivono a contatto con la natura, hanno la possibilità di stare in gruppo, di fare gruppo, di sostenersi a vicenda, di giocare insieme e condividere tutti i sentimenti che la quarantena possa comportare.  Si sono goduti all’aperto una delle Pasquette più soleggiate degli ultimi anni, con tanto di grigliata. Per non parlare della caccia al tesoro Pasquale, organizzata con cura dalle nostre educatrici, con maxi-uovo finale donato da un gruppo di tifosi dell’Atalanta. Infine, ma non meno importante, hanno al loro servizio quotidianamente il sostegno psicologico e relazionale dei “nostri eroi in prima linea”.

Ma, purtroppo, alla domanda “come procede la quarantena in comunità?” non è così facile rispondere.

Dopo una prima fase di sensibilizzazione, creatività e sport, stiamo vivendo una “fase 2” nella quale la stasi progettuale ha generato stanchezza e un clima pesante come un macigno. I dubbi del presente, che si sommano alle incertezze del futuro, danno la percezione di vivere in un mondo instabile, insicuro e le giornate si allungano tanto da sembrare una vita.

In questo momento storico è importante far sentire a casa i nostri ragazzi, senza sottrarci a tutte le misure a cui è chiamata una struttura sanitaria. I nostri operatori stanno dando grande prova di professionalità e senso di appartenenza. Sono orgoglioso di ognuno di loro, così come sono orgoglioso dei ragazzi, che ce la stanno mettendo tutta. Si sono dimostrati comprensivi rispetto ad una situazione che, inevitabilmente, ha influenzato le nostre vite, ma che siamo sicuri, ci rafforzerà, anche come comunità.

Torneremo ad abbracciarci, più forte di prima.”

Angelo, infermiere e coordinatore dello staff presso la comunità per adolescenti Piccola Stella

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