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La mappatura

Coronavirus, in Bergamasca 3.320 test sierologici: ecco i primi risultati

Elevata prevalenza di positivi in Valseriana (62%), mentre le analisi sugli operatori sanitari mostrano una prevalenza di positivi più bassa (23,2%)

A una settimana dall’avvio dei test sierologici in Bergamasca, l’Agenzia di Tutela della Salute rende noti gli esiti dei primi prelievi ematici che hanno riguardato, come da indicazioni di Regione Lombardia, gli operatori sanitari e la cittadinanza. Sono stati 3.320 i test sierologici fatti dal 23 aprile a mercoledì, 2.581 quelli processati e 739 quelli che sono in lavorazione in queste ore.

Le tabelle

dati Ats

La tabella 1, relativa alla popolazione generale di età 18-64 anni, evidenzia l’elevata prevalenza di positivi nel territorio della Valle Seriana (62%); la tabella 2, che sintetizza i risultati dei test eseguiti sugli operatori sanitari delle tre ASST, mostra invece una prevalenza di positivi bassa (23,2%).

Il basso numero complessivo di test “dubbi” rappresenta l’ottima capacità del test di selezionare i positivi ed i negativi (confermando quindi le informazioni iniziali di alta specificità ed alta sensibilità, come spiegato più avanti nell’approfondimento tecnico).

L’indagine epidemiologica sulla popolazione

Questi sono i risultati dei primi giorni dell’indagine epidemiologica di popolazione tramite test sierologici messa in atto da Regione Lombardia, che ha individuato i soggetti al termine della quarantena fiduciaria come eligibili all’indagine; in particolare sono state declinate tre categorie di persone:

  • Soggetti sintomatici con quadro Covid compatibile, segnalati da MMG ad ATS
  • Contatti sintomatici di caso accertato (identificati da ATS con indagine epidemiologica)
  • Contatti asintomatici di caso (identificati da ATS con indagine epidemiologica)

È importante ricordare che l’indagine epidemiologica di popolazione in corso ha la finalità principale di chiarire, attraverso stime statistiche derivate da un campione, la dimensione quantitativa che l’epidemia ha assunto, attraverso lo sviluppo dei contagi, sul territorio. In particolare, per quanto riguarda l’epidemia da Coronavirus, questa indagine epidemiologica programmata da Regione Lombardia risponde alle necessità di un monitoraggio mirato, con estensione campionaria adeguata, per individuare il tasso di positività nella popolazione generale, compresi i casi asintomatici e paucisintomatici tra la popolazione generale, che rimangono incogniti per entità e distribuzione.

I benefici di questa indagine epidemiologica sono di tutela generale immediata, nella fase attiva dell’epidemia, per porre in atto tutte le misure di minimizzazione dell’ampliamento dei contagi, ma soprattutto consente di disporre, su un più lungo periodo, di un campione random della popolazione attiva sufficientemente ampio e rappresentativo, analizzabile per vari parametri e quindi adatto al monitoraggio dei principali indicatori epidemiologici e di politica sanitaria (mortalità, letalità tasso di contagio, previsione sull’utilizzo dei ricoveri e delle terapie intensive, necessità di prosecuzione delle strategie di lockdown, etc.

Gli approfondimenti

Che cos’è un test sierologico?

I test sierologici servono per rilevare la presenza di particolari sostanze nel siero, una parte del sangue. Il test si effettua partendo da un comune prelievo di sangue venoso (di solito dalla vena di un braccio) e implica poi un’analisi di laboratorio per misurare la quantità e le tipologie degli anticorpi (immunoglobuline, Ig) prodotti dal nostro sistema immunitario per difendersi da ciò che proviene dall’esterno (antigeni), e che può costituire una minaccia, come appunto il coronavirus. Solitamente si ricercano le IgM, immunoglobuline che l’organismo produce come prima risposta a un antigene: la loro concentrazione tende ad aumentare per alcuni giorni nel momento dell’infezione, e poi decresce lasciando spazio alle IgG. Le IgG sono di norma le immunoglobuline più presenti nel sangue e sono specifiche per i singoli tipi di antigeni. In parole povere, dopo la fase acuta dell’infezione la loro quantità diminuisce, ma mantengono la memoria della minaccia che avevano incontrato, consentendo quindi all’organismo di impedire allo stesso antigene di fare nuovamente danni.

Cosa indica il risultato di un test sierologico?

I test sierologici indicano se una persona sia venuta o meno in contatto con un agente infettivo, come il coronavirus. Se il risultato è negativo, significa che l’individuo non è probabilmente stato esposto al virus fino al momento del test, ma questo non implica che possa essere infettato. Un risultato positivo indica invece che è avvenuta una reazione da parte del sistema immunitario, a causa della presenza del virus.

Un test positivo alla IgM indica che il soggetto è entrato in contatto con il virus da poco tempo (ore o giorni). Se il test è positivo sia alla IgM sia alla IgG, significa che probabilmente il contatto è avvenuto diversi giorni o una settimana prima. Un risultato che indica la sola positività alla IgG segnala invece un contatto con il virus più distante nel tempo e oltre la settimana.

Che differenza c’è con il tampone?

Il test con il tampone prevede un prelievo di muco e saliva tramite un lungo cotton fioc (tampone), poi analizzato per cercare le tracce genetiche del coronavirus. Se l’esito del test è positivo, significa che nel momento in cui la persona è stata sottoposta al tampone aveva un’infezione attiva da coronavirus.

Il tampone serve quindi per scoprire l’infezione da coronavirus in un esatto momento, una sorta di fotografia istantanea per vedere se si ha il virus. Il test sierologico, come detto, serve invece a capire se la persona interessata abbia avuto contatti con il coronavirus e sia poi riuscita a superare l’infezione, con il sistema immunitario che ha mantenuto traccia di questo contatto, in modo da saperla affrontare più prontamente qualora si ripresentasse.

Immunità

Ad oggi non è chiaro se e per quanto tempo il sistema immunitario mantenga la memoria del coronavirus. Le incertezze sono dovute al fatto che conosciamo da pochi mesi questo virus e che serve tempo per verificare se si resti o meno immuni e per quanto. Dalla durata dell’immunizzazione, inoltre, potrebbe dipendere il successo di un vaccino per ridurre la diffusione della COVID-19.

Le ricerche condotte finora su altri coronavirus, come quelli che causano il comune raffreddore e quello della SARS, sembrano indicare la capacità del nostro sistema immunitario di tenere traccia dell’infezione. Per alcuni coronavirus l’immunità dura poco meno di un anno, un periodo che potrebbe essere accettabile per immaginare future campagne vaccinali annuali, come avviene già per l’influenza (che è causata da virus diversi dai coronavirus).

Patente di immunità

Nelle ultime settimane in Italia e in altri paesi occidentali si è parlato dei test sierologici come mezzo per fornire una “patente di immunità”, per distinguere chi è già stato contagiato e ha superato l’infezione virale (anche se asintomatico) da chi invece è ancora esposto. In questo modo si potrebbe teoricamente garantire una ripresa delle attività lavorative e un alleggerimento delle misure restrittive, consentendo a chi risulta ormai immune di tornare al lavoro e di circolare più liberamente.

In realtà, a oggi sembra difficile immaginare che con i test sierologici si possa sviluppare uno strumento efficace e affidabile per questa “patente di immunità”: sia perché non sappiamo ancora se e per quanto si resti immuni dopo avere superato l’infezione da coronavirus, sia perché i test disponibili finora non offrono margini di affidabilità completamente soddisfacenti (presenza di falsi positivi e di falsi negativi ancora non del tutto accertata).

Specificità di un esame diagnostico

Si definisce specificità di un esame diagnostico la capacità di identificare correttamente i soggetti sani, ovvero non affetti dalla malattia o dalla condizione che ci si propone di individuare. Se un test ha un’ottima specificità, allora è basso il rischio di falsi positivi, cioè di soggetti che pur presentando valori anomali non sono affetti dalla patologia che si sta ricercando. Si definisce sensibilità di un esame diagnostico la capacità di identificare correttamente i soggetti ammalati, ovvero affetti dalla malattia o dalla condizione che ci si propone di individuare. Se un test ha un’ottima sensibilità, allora è basso il rischio di falsi negativi, cioè di soggetti che pur presentando valori normali sono comunque affetti dalla patologia o dalla condizione che si sta ricercando.

In sintesi:

ALTA SPECIFICITÀ = alta probabilità che un soggetto sano risulti negativo al test; = bassa probabilità che un soggetto sano risulti positivo al test;

ALTA SENSIBILITÀ = alta probabilità che un soggetto malato risulti positivo al test; = bassa probabilità che un soggetto malato risulti negativo al test.

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