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L'intervista

Coronavirus, Roberta Villa: “Chi si è ammalato ha gli anticorpi? Non si sa ancora”

Abbiamo chiesto alla giornalista e divulgatrice scientifica bergamasca Roberta Villa, laureata in medicina e chirurgia, di spiegarci i dubbi e gli scenari relativi all'immunità nei pazienti Covid

Ogni giorno si susseguono tante notizie sul Coronavirus. Si parla dell’andamento dei contagi, dei test e della ripresa delle attività lavorative ma alla base di tutti questi aspetti rimane un nodo da sciogliere: capire se chi ha avuto il virus è diventato immune oppure no e, in caso di risposta affermativa, per quanto tempo.

Si tratta di un punto cruciale sia per poter effettuare riaperture in sicurezza sia per capire quale sia il percorso terapeutico migliore, cioè se è meglio puntare sul vaccino o sul farmaco. In tutto il mondo molti ricercatori stanno analizzando questo aspetto ma, come ha ribadito l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ad ora “non c’è alcuna prova che le persone che si sono ammalate e poi sono guarite dal Covid-19 siano immuni da un secondo contagio anche se hanno anticorpi”.

I dati attualmente disponibili non permettono di escludere nessuna ipotesi. La giornalista e divulgatrice scientifica bergamasca Roberta Villa, laureata in medicina e chirurgia, spiega: “Con il suo intervento l’OMS ha confermato che ancora non abbiamo certezze sul fatto che questa infezione possa determinare un’immunità. Non significa che non ci sia, anzi a tutt’oggi tendenzialmente è più probabile il contrario, ma nessuna di queste due affermazioni è certa. Sono stati riscontrati dei casi dubbi in cui sembra possibile la reinfezione ma non è sicuro perchè potrebbe essere che, per errore del test, non sia stata individuata la persistenza del virus. Non sappiamo ancora come funzioni l’immunità in questa patologia: al momento ci sono prove sia in un senso sia nell’altro e in alcuni soggetti non è escluso l’incidenza di fattori come l’età, la forma di Covid che contraggono e con quale carica virale, ma ci sono reazioni diverse anche a livello individuale”.

Non è nemmeno automatico che chi si è ammalato abbia gli anticorpi. La dottoressa Villa rileva: “Il 30% dei giovani ha avuto forme lievi di Coronavirus e non ha sviluppato anticorpi, non sappiamo quanto sia protetto così come non ne abbiamo idea per gli altri. Non sappiamo perchè in alcuni casi si abbiano gli anticorpi e in altri no: tutto è ancora in fase di studio, non dimentichiamoci che conosciamo questo virus da due mesi. Nel dubbio, non possiamo dare per scontato che chi ha avuto la malattia non possa contrarla nuovamente, quindi le considerazioni sulla patente d’immunità data con i test anticorpali non ha fondamento scientifico”.

I test immunologici hanno un’utilità di carattere generale. Roberta Villa specifica: “Servono su scala nazionale o regionale per uno studio epidemiologico che permetta di sapere – con un margine di errore – se all’interno di una determinata popolazione il 5, il 10 o il 30% delle persone ha avuto la malattia. I dati raccolti saranno utili per impostare le strategie per affrontare la situazione e per effettuare le scelte politiche, ma non a livello individuale perchè servirebbe una maggior attendibilità. Per la singola persona non sono raccomandati perchè possono dare informazioni false che sono più pericolose. Facendo un paio di esempi, nel caso in cui un paziente avesse avuto i sintomi da Covid e il test risultasse negativo, penserebbe di non averlo fatto, ma sarebbe ancora peggio il contrario, perchè se l’esito fosse positivo crederebbe di essere protetto ma se poi non fosse così si esporrebbe a rischi inutili. Ritengo, quindi, che bisogna stare attenti e non attribuire ai test un valore maggiore di quello che hanno, cioè molto poco”.

Considerando le loro caratteristiche, i test vengono realizzati su un determinato campione di popolazione. Roberta Villa afferma: “Eseguendoli agli operatori sanitari sono utili per comprendere, per esempio, se rispetto al resto della popolazione siano particolarmente colpiti dal virus e valutare se il tipo di protezione che hanno a disposizione sia sufficiente. Se invece fra loro si evidenziasse un contagio tre volte superiore agli altri significherebbe che non è così. Ci sono due tipi di anticorpi, IgM e IgG: l’esame che prevede il prelievo di sangue misura l’IgG rilevando se si è avuto un’infezione che ha già dato un’immunità teoricamente protettiva, mentre il test rapido (con una gocciolina di sangue dal dito) va alla ricerca degli anticorpi IgM e IgG e dovrebbe segnalare se l’infezione è ancora in corso o si è verificata molto recentemente, poi bisogna fare il tampone per essere sicuri che la persona non sia ancora infetta. Considerando che l’attendibilità è relativa, però, li sconsiglio”.

Chiarire i dubbi sulla possibilità di riprendere il virus è importante per organizzare la riapertura delle attività in sicurezza ma anche per capire quale sia la prospettiva terapeutica più efficace. La dottoressa Villa annota: “Abbiamo buone ragioni per credere che l’immunità ci sia ma bisogna avere un po’ pazienza: molti ricercatori in tutto il mondo stanno lavorando assiduamente ed è auspicabile che si abbiano novità. Un altro aspetto da considerare, nel caso venisse accertata l’immunità, è la durata della protezione, perchè in alcuni vaccini – come l’influenza – svanisce con il tempo e bisogna rifarlo. Se non ci fosse l’immunità, invece, si delineerebbe una situazione simile a quella di altri virus contro i quali non si riesce a produrre un vaccino efficace. Il Coronavirus continuerebbe a circolare e soltanto un farmaco antivirale efficace, che comunque è possibile avere come è successo nel caso dell’epatite C, potrebbe contrastarne la diffusione. La ricerca è molto attiva anche in quest’ambito: si stanno studiando diverse soluzioni come Remdesivir, già utilizzato per Ebola”.

Illustrando cosa si può fare nell’immediato, la dottoressa Villa conclude: “È fondamentale la sorveglianza dei nuovi casi e di chi non si sente bene (in questo caso va osservato l’isolamento). Inoltre, sarebbe importante che una persona non torni al lavoro prima di ricevere un tampone che le assicuri di non essere positiva ma questo purtroppo il sistema ad ora non è in grado di garantirlo e per questo la riapertura è pericolosa. Non abbiamo un sistema ancora ottimizzato per gestire i nuovi casi, che comunque non sono pochi: continuiamo ad averne un numero significativo anche in Lombardia. Non siamo a una fase con contagi sporadici: si è verificato un leggero rallentamento, le terapie intensive non sono più in sovraccarico, ma l’emergenza non è finita. Ci sono ancora tante persone infette, anche con orme lievi: basta poco perchè si crei una nuova ondata, bisogna mantenere alta la soglia d’attenzione”.

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