• Abbonati
La storia

Martina, infermiera in corsia: “Quel dolce ultimo incontro tra due anziani malati”

Gli occhi di Martina sono stanchi. Sono gli occhi di una ragazza che ha dato anima e corpo agli altri, senza curarsi troppo di sé; sono gli occhi di una ragazza che ha avuto il coraggio di lottare contro il temutissimo nemico invisibile, che ormai da troppo tempo occupa le prime pagine dei quotidiani.

Martina è una giovanissima infermiera, nata nel 1995, che lavora all’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo. Quando ha scelto di intraprendere questa carriera sicuramente non si sarebbe mai aspettata di ritrovarsi dentro questo tornado che in pochi mesi ha costretto il mondo a chiudersi in casa.

“Essere un’infermiera ai tempi del Coronavirus significa avere capacità di adattamento e di collaborazione.”

Gli occhi di Martina sono stanchi. Sono gli occhi di una ragazza che ha dato anima e corpo agli altri, senza curarsi troppo di sé; sono gli occhi di una ragazza che ha avuto il coraggio di lottare contro il temutissimo nemico invisibile, che ormai da troppo tempo occupa le prime pagine dei quotidiani.

martina infermiera coronavirus

“Questo virus è del tutto nuovo anche per noi e all’inizio non è stato facile” – spiega Martina- ho avuto il piacere di lavorare con colleghe che prima del turno piangevano e dicevano che non erano in grado di fare nulla ma ora sono diventate bravissime.” La testa di Martina è piena di ricordi: “Il primo giorno in un reparto Covid resterà impresso in tutte le nostre menti. C’era confusione, non si sapeva cosa fare, dove erano allocati gli oggetti. Ci siamo arrangiati e ce l’abbiamo fatta. Piano piano tutti sono riusciti ad adeguarsi alla tipologia di lavoro e alla tipologia di paziente. Questo è potuto accadere solo grazie alla grandissima collaborazione che c’è stata nel nostro team. Tutti aiutano tutti. Per me essere infermiera in questo momento ha significato solamente ‘fare la mia parte’; se so fare qualcosa, lo insegno a te e dopo lo saprai fare anche tu. Se non so fare qualcosa allora aiutami e insegnami”.

Non sempre, purtroppo, la determinazione e il sorriso di Martina e del team sono stati in grado di vincere: “Aver indossato la divisa in questo periodo duro ha significato essere di aiuto ai pazienti sofferenti, significa sgridarli perché non potevano mollare e poi significa anche saper lasciare andare perché questo male purtroppo su alcuni ha avuto la meglio. Abbiamo teso le mani a chi lo desiderava, ma non aveva più la forza di chiedercelo. Io ho fatto e sto facendo la mia parte e non mi sento un’eroina. Forse aiutare le persone è una cosa che ti senti dentro: le aiuti a rialzarsi oppure le aiuti ad andarsene.”

“Il numero di decessi è stato il fattore più difficile da digerire – racconta ancora – alla morte, purtroppo e per fortuna, non ci si abitua mai; ma anche in questi casi ci si fa forza e si tende la mano per l’ultima volta. Ho visto persone soffrire e avere fame d’aria. Ho visto persone sentire la mancanza di casa, ma con la forza e la voglia di lottare sul loro volto.”

martina infermiera coronavirus

Le corsie degli ospedali sono state spesso scenografie di spettacoli televisivi come Scrubs, Grey’s Anatomy o Dottor House, ma nessuna storia d’amore avvenuta tra quelle camere è intensa come quella che è stata possibile grazie a Martina: “Un pomeriggio ero di turno e una signora anziana continuava a chiedere di suo marito. Non capivamo se stesse perdendo colpi o se ci fosse qualcosa che la turbasse visto che era spesso agitata. Abbiamo scoperto che il marito era ricoverato qualche camera dopo la sua. Le promisi di portarla a salutare suo marito se si fosse tranquillizzata. Dopo aver finito di fare il solito giro, in accordo con la mia collega dell’altro settore, li abbiamo fatti incontrare. La signora, in linea di massima, stava bene, aveva qualche litro di ossigeno e doveva camminare per circa dieci-quindici metri. Lui invece aveva il casco Cpap ed era parecchio anziano. L’accompagnammo da lui, a piedi perché si rifiutò di farsi vedere in sedia a rotelle con la nostra bombola dell’ossigeno. L’abbiamo fatta sedere di fianco al letto del marito, lei gli ha preso la mano e ha iniziato a parlargli ‘Mi manchi e ho sete’. I due sposini poi hanno iniziato a parlare, lei urlava per farsi sentire e non capiva cosa diceva il marito perché era un po’ sorda e il rumore del casco di lui era troppo forte. Si sono detti che si volevano bene, lui le ha raccomandato di mangiare, ci hanno raccontato che erano 58 anni che erano sposati. Ormai tutti in quella camera piangevamo, stavamo assistendo ad una cosa meravigliosa: l’amore dopo tanti giorni di sola sofferenza. Dopo qualche giorno lei venne dimessa e lui invece non ce la fece. Il fatto di essersi visti un’ultima volta, magari sapendo anche che sarebbe stata l’ultima, mi rincuora.”

martina infermiera coronavirus

La giovanissima infermiera, però su un punto vuole essere ben chiara: “Non siamo angeli e non siamo eroi. Siamo persone che amano il proprio lavoro e lo faranno tutti i giorni con la stessa dedizione e la stessa passione di sempre.”

martina infermiera coronavirus
Iscriviti al nostro canale Whatsapp e rimani aggiornato.
Vuoi leggere BergamoNews senza pubblicità?   Abbonati!
Più informazioni
leggi anche
Infermieri
Il presidente
Furto del bancomat al malato, l’Ordine degli infermieri: “Reato odioso, inaccettabile”
commenta

NEWSLETTER

Notizie e approfondimenti quotidiani sulla tua città.

ISCRIVITI